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Francesco Falli: la somministrazione di terapie NON deve essere interrotta

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 30/08/2014 vai ai commenti

Articolo 49 e DemansionamentoLe intervisteNursing

di Francesco Falli

Infermiere legale e forense e Presidente IPASVI La Spezia

 

Il problema, reale e concreto,  del Demansionamento dei professionisti Infermieri in questo Paese riconosce molte cause, e passa per molti motivi.

 

Quando il demansionamento, o la applicazione di piani di lavoro ''imperfetti'' o, ancora, le abitudini (le quali non sempre poggiano su evidenze scientifiche...) favoriscono situazioni critiche, o addirittura le propongono e le favoriscono, ecco che è fondamentale parlarne con serenità e fermezza.

 

Siamo nel 2014, ma per molti l'Infermiere resta una sorta di factotum, che può e deve colmare le varie ''lacune'' che si verificano nella gestione, globale, delle attività.

 

In mezzo a un mare di polemiche, spesso giustificate, talvolta no, e nel collettivo rito del tutti contro tutti che non è certo solo della nostra categoria, ma tipico di questo complesso momento storico, in Italia e non solo, forse può aiutare non tanto una mia riflessione, che assolutamente lascia il tempo che trova, ma la testimonianza di quale risultato può essere raggiunto dall'analisi della situazione, e soprattutto dalla volontà di superare, o almeno contenere il problema.

 

Le interruzioni dell'attività dell'Infermiere mentre somministra la terapia causano, secondo un recente studio della Società Italiana di Infermieristica Pediatrica (SISIP), un aumento del 12% degli errori nella fase di somminsitrazione della terapia.

L'articolo, corredato di analisi dei risultati e di ipotesi di contenimento, è leggibile qui: (Clicca)

 

La lettura e la conoscenza dei contenuti del nostro profilo professionale, che compie 20 anni fra pochi giorni, ci dimostra con una rara chiarezza che noi Infermieri siamo i ''responsabili della corretta applicazione delle prescrizioni diagnostiche-terapeutiche'' (cfr DM 739 del 14 settembre 1994, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9.1.1995).

 

Perciò se IO INFERMIERE sbaglio e confondo un farmaco, un dosaggio, un malato, una via di somministrazione, ne rispondo.

 

E non vale a scusante od attenuante se mi ha interrotto (''aiutandomi'' a fare l'errore) il Medico di corsia,  che voleva il recupero di una cartella clinica (ohibò! Ha perduto le mani dopo l'assunzione forse?) o la Coordinatrice, che pensa bene di mandarmi a dare una mano all'operatore di supporto (sembra succeda anche questo, stando alle testimonianze della Rete: ma non era il contrario, il mandato dell'Oss? Cioè, che deve supportare me Infermiere??).

 

Se agisco in una struttura dove NON ho alcun sostegno al riguardo, dove NON ho strategie di contenimento dell'errore, dove il clima d'ambiente è di per se stesso una minaccia alla sicurezza delle procedure, devo almeno ricordarmi che, in caso di conseguenze di un mio errore, ne risponderò.

 

Questo già dovrebbe rappresentare una forte motivazione, a mio modesto parere, per RESPINGERE richieste improprie.

Devo naturalmente conoscere bene il mio ruolo e mie responsabilità.

 

Chiariamo anche che per ''interruzioni di terapia'' intendiamo quelle richieste improprie, intempestive, anche di demansionamento e non solo, che spezzano la continuità dell'agire infermieristico nella delicata fase della somministrazione di un farmaco.

 

Se stiamo invece parlando di interruzioni ''per cause di forza maggiore'' siamo ''fuori categoria'' e usciamo dallo spirito di questo piccolo contributo.

 

Poichè non di rado la interruzione non è solo ''istituzionale'', cioè derivante da chi opera in struttura, ma anche da chi è ''esterno'' alla struttura stessa (telefoni, fax, parenti, ecc) è sempre molto problematico opporre ''resistenza'' ai tentativi di interruzione: è davvero opera complicata.

 

Opera che può essere favorita dalla volontà della struttura, ovvero dei suoi responsabili (infermieristici inclusi, è ovvio) di contenere questo rischio, attraverso azioni concrete.

 

Sono appassionato della materia da anni, ed ho cercato nel mio doppio ruolo di formatore presso il corso di Laurea e di Presidente di Collegio di favorire la consapevolezza del problema.

Con grande soddisfazione posso testimoniare che qualche cosa è stato prodotto.

 

Presso il nostro corso di Laurea in Infermieristica, dipendente dall'Ateneo genovese, la sensibilità dello staff tutto, e della responsabile del polo spezzino, dottoressa Stefania Sannazzaro, ha portato all'inserimento, nel programma, di alcuni ADE (attività didattiche elettive) dedicate a questi aspetti, e alla responsabilità legata al ruolo, alla importanza del sapere bene ''chi fa che cosa''.

Vari esperti affrontano le questioni attuali e si parla anche del ''dopo'' percorso formativo, con orientamenti alle possibilità occupazionali in tempi difficili.

Poi, si lavora sui colleghi, con corsi dedicati, a ogni livello.

 

E' stato proprio con questo costante dialogo che abbiamo visto crescere non solo l'attenzione a un problema reale (il rischio di pagare per errori spesso dovuti a cattive abitudini o, nel nostro caso, a interruzioni prodotte da altri!) , ma anche le strategie di contenimento.

 

Almeno due strutture complesse degenziali di ASL 5 Liguria hanno sperimentato sistemi di ''dissuasione'', come i giubbotti o altra cartellonistica da usarsi durante la somministrazione del farmaco; mentre probabilmente la massima ricaduta pratica si è avuta in una struttura privata convenzionata del nostro territorio dove il nostro Vice presidente, Gianluca Ottomanelli, in pieno e totale accordo con i vertici di struttura e soprattutto col personale sanitario infermieristico, ha spiegato a tutti i vantaggi dell'utilizzo dei giubbotti dissuasori.

 

Che ovviamente non possono rappresentare la soluzione definitiva ma dimostrano:

a) la volontà di affrontare il problema;

b) un avvertimento per tutti, altre figure incluse, sulla necessità di RISPETTARE chi sta effettuando una attività delicata e potenzialmente pericolosa;

c) un momento di... educazione ai familiari - e ai degenti - sulla delicatezza del ruolo ricoperto dagli Infermieri, in generale, e nel momento della somministrazione del farmaco in particolare;

d) un cambiamento di impostazione delle abitudini rispetto a problemi e contesti nuovi, o comunque rivalutati rispetto al passato, per ciò che oggi significano davvero, come il bisogno di sicurezza per operatori tutti e assistiti.

 

nella foto, da sinistra: RSA Coopselios la Spezia: le dottoresse Alice Cocchi, Sonia Cerchi, Federica Rosati in servizio pomeridiano utilizzano, durante la fase della somministrazione del farmaco, il giubbotto dedicato.

Si tratta di tre neo laureate che sono state edotte, durante la formazione, di questi aspetti, e che hanno trovato ''normale'' una applicazione pratica.

 

Che cosa ne hanno pensato i colleghi? In pratica tutti hanno apprezzato, qualcuno naturalmente con maggior entuasiasmo e altri meno; ovviamente c'è sempre, fra i familiari, chi pone domande anche in questo nuovo contesto ma la procedura, introdotta già alcuni mesia fa, è ormai consolidata ed è diventata prassi.

 

Questa è solo una testimonianza che ha voluto citare più aspetti critici e alcune ipotesi - anche concrete - di soluzione del problema: aspetti spesso giustamente chiamati in causa da molti colleghi che hanno individuato infatti nel percorso di formazione di base, e nel clima di ambiente professionale, oltre che nel rispetto del nostro ruolo, le concause del problema sicurezza in fase di somministrazione del prodotto farmaco.

 

Grazie ancora una volta alla Redazione di Infermieristicamente per la cura e l'attenzione.

 

Per maggiori informazioni SCRIVERE A: ipasvisp@cdh.it