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Via libera alla prescrizione ostetrica: e noi infermieri?

Nell’ albero filogenetico della professioni sanitarie la classe ostetrica è quella più affine al DNA Infermieristico; la laurea magistrale ancora ingloba nella stessa dicitura entrambe le figure e la genesi dell' assistenza vede le due divise muoversi a partire da una matrice concettuale comune. Ci può quindi fare solo enorme piacere sapere che da pochi giorni, la ASL di Trento, ha disposto finalmente il ricettario bianco, vale a dire uno strumento ad uso esclusivo della categoria ostetrica con cui i professionisti suddetti potranno avere autonomia in termini di prescrizione durante la presa in carico di donne che affrontano gravidanze fisiologiche. Questa apertura rappresenta una svolta importante perché riflette, nel mare magnum sanitario attuale, la possibilità di sperare in un cambiamento nonché la conferma del potenziale professionale che una determinata classe può avere se le viene concesso liberamente di esprimerlo. 

La conquista ottenuta ci obbliga a delle considerazioni sulla nostra situazione, quella infermieristica, ancora lontana dal raggiungimento della libertà prescrittiva e o di peculiarità professionali come la consulenza tra realtà cliniche differenti. Chiariamo che la dicitura “prescrizione infermieristica” è entrata prepotentemente negli slogan della lotta all’ autonomia professionale solo nell’ accezione di abilitazione a prescrivere farmaci come antidolorifici-integratori o antiinfiammatori, forse per il naturale paragone tra la nostra vuotezza di contenuti in materia e le conquiste ottenute dai nostri colleghi spagnoli o inglesi; notizie che ci fanno piacere ma che se diventano troppo martellanti finiscono più per aumentare il caos che ruota intorno alla vicenda piuttosto che coadiuvare all’ elaborazione di un progetto ben fatto.

Se con prescrizione infermieristica si intende l’ autonomia di ricettare su carta presidi che possono servire durante la fase di assistenza al paziente allora ci sembra giusto partire, senza salti incauti, alla messa in ricetta di quei dispositivi che usualmente il paziente sfrutta e usa durante il periodo in cui è destinatario delle cure: ausili urinari, ausili per deambulazione, materiale per la gestione di stomie, presidi per medicazioni, supporti anti-decubito. Spesso nei reparti ospedalieri, ma questo è ancora più evidente nelle lungodegenze geriatriche dove è alta la percentuale di malattie croniche invalidanti, i Medici (ancora titolari della prescrizione) chiedono agli stessi infermieri come e in che quantità dover prescrivere. Ed è normale, poiché nessuno meglio di un Infermiere può sapere quale, tra le alternative possibili, è quella migliore da suggerire a quel paziente. Nella realtà domiciliare questo aspetto è ancora più forte poiché la relazione col paziente è molto marcata e non solo essa: diventano primari gli aspetti legati al coping familiare ed alle risposte all’ ambiente di vita. Non dimentichiamoci infatti che il nostro agire professionale è legato alla matrice olistica quindi nella pianificazione del disegno infermieristico assistenziale rientrano anche tali geometrie.

Spesso, quando si parla di prescrizione, si tende a tralasciare questa dimensione clinica adducendo ai suoi connotatti come dequalificanti e poco professionali in favore di una rincorsa a ciò che in qualche modo (siamo sempre là) ricalca la classica iconografia medica, quella del “camice che prescrive farmaci”. Detto in altre parole molti Infermieri sono riluttanti all’ idea di un ricettario che serva per garantire al paziente ausili così classificati "troppo di base" come le placche mono-uso per stomia (quando poi in verità la figura dell’infermiere stoma-terapista richiede una specifica formazione) mentre restano possibilisti a percorrere la strada dell’ abilitazione alla ricetta farmacologica. Voi capirete che esiste tutto un retroterra culturale che ancora è legato, paradossalmente, alla figura Medica. Il Medico è colui che nel classico immaginario collettivo porta il fonendoscopio al collo o che scrive la ricetta. Allora sembra che, dopo aver anche noi messo il fonendoscopio al collo perché in tasca non si nota bene, sia un modulo più professionalizzante quello della prescrizione farmacologica. Si va sempre nella direzione del “ricalcare” un atto piuttosto che riempire l’ attuale “vuotezza” infermieristica di quei contenuti che costituiscono la carta d’identità professionale. Questo non significa che non si possa essere possibilisti per quanto concerne l’ attività prescrittiva di analgesici o ricostituenti alimentari ma una montagna si scala partendo dalla base; ogni percorso evolutivo ha un suo punto zero di origine e va rispettato. I voli pindarici hanno già causato notevoli danni alla nostra professione. La prescrizione di ausili urinari non è un elemento dequalificante, come molti sostengono adducendo al fatto che nel continuum assistenziale l’ elemento pannolone rimanda concettualmente a quell’ assistenza di base che nessuno vuole mentre ricettare un farmaco è sicuramente qualcosa che richiede più complessa conoscenza di alcuni meccanismi. Mi verrebbe da considerare questa tendenza a “professionalizzare una prescrizione” più dettata dal bisogno di una conferma agli occhi del paziente e dei parenti piuttosto che mirata ad arricchire la nostra professione di quei contenuti di cui necessita urgentemente. Il tentativo di cambiare la visione sociale dell’ Infermiere da eterno sub-alterno, ausiliario ancillare del Medico a professionista autonomo è legittimo ma è schizofrenico pensare di conquistarlo scopiazzando l’ iconografica di quelle figure da cui proprio ci vogliamo differenziare.

Ben venga la lotta alla prescrizione infermieristica ma visto che siamo in totale carenza legislativa e culturale per quanto riguarda questa materia allora forse è bene iniziare a mostrare interesse graduale, partendo dai presidi che costituiscono oggetto tangibile di assistenza e che sono ampiamente sfruttati da alcune tipologie di pazienti; presidi che certamente l’Infermiere può valutare in modo più oculato conoscendo i tempi e gli usi del paziente (e questo non è che non richieda le stesse capacità di analisi infermieristica che si usano ad esempio nella valutazione del dolore) e che sono dunque più adatti ad una prescrizione da parte di questo professionista piuttosto che del Medico che difficilmente valuta quanto e come il presidio sarà sfruttato.

Ci auguriamo che anche per gli Infermieri, presto arrivi questa conquista professionale e che sia il punto di partenza per graduali scalini successivi: fino alla vetta.