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IPASVI Carbonia vs Cavicchi sull'iniziativa di Pisa: "senza senso". La replica del professore: "Vi disprezzo, siete in malafede!"

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 22/04/2016 vai ai commenti

Articolo 49 e Demansionamento

Il ring è "il manifesto", dove Ivan Cavicchi ha pubblicato un suo pungentissimo articolo sulla vicenda pisana in riferimento all'art. 49 del Codice Deontologico.

"Infermieri, la schiavitù è un obbligo deontologico" (Clicca) aveva titolato Cavicchi, calcando poi pesantemente la mano sulle responsabilità dell'IPASVI, sulla condizione degli infermieri e sulla (voluta?) noncuranza della Federazione riguardo ai problemi che emergono dalla base.

Replica sullo stesso quotidiano dal Collegio IPASVI di Carbonia-Iglesias, a firma di Cristiano Domenico Ciro, con una lettera intitolata "Niente schiavitù in corsia" che in poche righe smentisce tutto, finanche quello che sta scrivendo. L'art. 49 non c'entra niente. E' solo colpa del blocco del turnover che crea difficoltà organizzative in conseguenza delle quali l'infermiere è chiamato a fare anche altro. Se questo si verifica allora l'infermiere deve farlo (per salvaguardare l'assistito) e segnalarlo. E' ovvio che le due affermazioni si contraddicono, perchè quel "dovere" deriva dall'art 49 del Codice deontologico, non certo dai Vangeli. Sta scritto nelle sentenze della Magistratura. La salvaguardia dell'assistito è certamente un caposaldo, ma forse è il caso di domandarsi perchè siano solo gli "eroici" infermieri a farsene unicamente carico; che le altre professioni se ne infischino, forse? Certamente no, ma oltre all'assistito guardano anche alla tutela di se stessi, riportando all'organizzazione del lavoro (e alle sue gerarchie) le responsabilità che alla stessa competono.

Ecco perchè subito subito Cavicchi replica in maniera ancor più secca rispetto ai toni del suo articolo. Senza giri di parole definisce in malafede quanti, per conservare potere (e IPASVI così pure come le posizioni dirigenziali sono centri indiscussi di potere), guardano altrove e non ai problemi dei propri rappresentati, non affrontando, per di più, il pubblico dibattito ma delegandolo a "garzoni di bottega".

Una malafede che ispira il disprezzo del professore, che si schiera apertamente con Pisa. 

Riportiamo di seguito il testo integrale del confronto tratto da "il manifesto" di oggi, 22 aprile.

 

LA REPLICA DELL'IPASVI CARBONIA IGLESIAS ALL'ARTICOLO DI CAVICCHI DEL 14/04/2016

Spett.le redazione, in replica all’articolo “Infermieri, la schiavitù è un obbligo deontologico” di Ivan Cavicchi (pubblicato su il manifesto del 14 aprile scorso, ndr), mi corre l’obbligo di significare che l’atto politico di disobbedienza o la “pseudo-bomba” lanciata dal Collegio di Pisa non può intendersi quale sollecito alla politica o all’istituzione Ipasvi. Che il presidente dell’Ente pisano dott. Emiliano Carlotti e il dott. Cavicchi ignorino le ricadute in termini di esito assistenziale, proprio in virtù dell’art. 49 del Codice deontologico, privilegiando il ricorso alla mancata opera, ancorchè lontana dalle funzioni proprie dell’infermiere, con caratteristica del tutto eccezionale, è inaccettabile.

L’art. 49 ha una duplice funzione, quella della garanzia della prestazione rivolta quasi sempre direttamente alla persona assistita, in virtù di disservizi e carenze che devono essere rimosse nel determinato frangente (e non consuetudinariamente) in cui possono cagionare un ulteriore lesione del diritto alla salute per il quale chiede invece tutela, e quella dell’obbligo dell’infermiere di segnalare quanto e chi sistematicamente pregiudica il proprio mandato professionale.

La vacuità e la defezione dell’organizzazione, causata dal definanziamento del SSN, trova la sua massima espressione nelle dotazioni organiche fermate dal blocco del turnover.

Cosa possa c’entrare l’art. 49 con tutto questo, è inspiegabile. L’infermiere, che riveste la posizione di garanzia nei confronti degli assistiti, non può e non deve avvalersi della logica del rifiuto quando questa determini un danno alla persona assistita. Il Codice deontologico viene emanato a seguito di dibattito interno tra i professionisti infermieri anche con idee e proposte che differiscono tra loro.

Relegare l’autonomia di azione ad una visione di alcuni, non condivisa tra tutta la restante e maggioritaria componente dibattente e legiferante sul tema, è un atto antidemocratico ed irrispettoso della maggioranza professionale che condivide la contrapposta linea di pensiero.

Il presidente Ipasvi Carbonia (Iglesias) Dr. Infermiere Cristiano Domenico Ciro

 

LE CONSIDERAZIONI ALLA REPLICA DEL PROFESSOR IVAN CAVICCHI

La malafede di certi infermieri acquattati nelle pieghe del potere Ipasvi che in suo nome e per suo conto lavorano contro altri infermieri per tenerli sottomessi come schiavi lascia interdetti come quando si è davanti a una promessa o a un giuramento o peggio a un legame sacro, tradito. Questa malafede è smascherata da due fatti:

-        I tribunali che condannano gli infermieri che rifiutano la schiavitù in nome dell’art. 49 del Codice deontologico a dimostrazione che il Codice è contro di loro;

-        La decisione del Collegio Ipasvi di Pisa che per conto di una comunità di oltre 3.400 infermieri ha deciso di sospendere per esasperazione l’applicazione dell’art. 49 e procedere a una riscrittura del Codice.

Tutto il resto è solo immondizia.

Le responsabilità morali di questa “schiavitù deontologica”, come l’ho definita nel mio articolo, sono di chi l’ha concepita, cioè dell’Ipasvi.

Colgo l’occasione per esprimere il mio smisurato disprezzo per quei dirigenti dei tanti Collegi provinciali che per non rischiare di perdere la poltrona si girano dall’altra parte e tacciono, e per quelli più in alto che sino ad ora si sono sottratti a un dibattito pubblico limitandosi ad avvalersi dei servizi compiacenti di garzoni di bottega tutto fare.

Non c’è dubbio, “Io sto con Pisa”.

Ivan Cavicchi 

 

Fonte: il manifesto, 22 aprile, QUI