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Bologna : i medici di famiglia versus gli infermieri nelle Case della Salute

 

Da mesi riecheggia un ottimistico hashtag tra gli infermieri Bolognesi , il #noisiamopronti, ma pare che gli unici ad essere veramente pronti alle competenze avanzate, sono solo gli infermieri, mentre nell'altro versante, quello medico, non sono pronti per niente.

Avevamo già trattato tutta la “questione 118”, dalla sospensione dei medici che avevano permesso agli infermieri di operare da soli in ambulanza secondo protocolli stabiliti, alla presa di posizione della Giunta Regionale che ha deciso di ristabilire la prassi incriminata e di ridefinire nuovi protocolli che siano uguali in tutta la regione Emilia Romagna.

Siamo nuovamente a Bologna e stavolta i venti di guerra provengono dai medici di Famiglia, che si sentono dagli infermieri spodestati nel ruolo che fino a questo momento ricoprivano, ridotti a poveri amanuensi.

La questione nasce in seno alla Casa della Salute.

Le Case della salute, nascono per venire incontro alle esigenze del cittadino, in una società che cambia velocemente e che muta le necessità di salute dell'utente.

E' vero che il trend è cambiato , dai dati dell'ultimo studio Osservasalute 2015 l'aspettativa di vita si sta accorciando, ma adesso viviamo le conseguenze del precedente allungamento di vita e quindi una società vecchia, in cui predominano le malattie cronico degenerative e non le acuzie.

Questo sposta i bisogni di salute dall'ospedale al territorio; la Casa della Salute, è un presidio del Distretto, la cui gestione è affidato al Dipartimento delle cure primarie, nasce in questo senso, proprio per rispondere a questo tipo di esigenza: una struttura di riferimento equamente diffusa nel territorio, che garantisca accoglienza, la presa in carico del cittadino e la continuità dell'assistenza, in modo da assicurare risposte adeguate e di qualità alla cronicità ed a tutte le forme di fragilità sociale e sanitaria.

Interviene su tre piani, preventivo, di cura e riabilitativo ed ha lo scopo di: promuovere e proteggere la salute della popolazione lungo tutto l'arco della vita e ridurre l'incidenza delle malattie e degli incidenti più comuni ed alleviare le sofferenze che queste causano.

I protagonisti del progetto assistenziale sono:

L'assistito;

L'infermiere;

Il medico di famiglia;

La famiglia, laddove è presente;

Vicini di casa, volontari;

Personale di servizi specialistici.

Nella nuova vicenda bolognese, l'incriminato è l'infermiere.

La Casa della salute prevede che l'infermiere in sinergia con il medico di famiglia e gli altri interlocutori, se richiesti, decida del percorso assistenziale del paziente.

I medici bolognesi risentono della capacità decisionale degli infermieri, che definiscono i follow up, verificano i parametri clinici, ed in base a questi consigliano il paziente sul da farsi, sul rivolgersi o meno al medico di famiglia o ad uno specialista.

Il medico di famiglia quindi, rilegato ad una parte marginale del processo assistenziale risente del fatto di dover poi essere coinvolto solo quando c' è da compilare la richiesta degli accertamenti previsti, con i quali dovrebbero aprire il loro percorso infermieristico nella “Casa della Salute”.

Tre le motivazioni principe dell'opposizione a questo modus operandi, innanzitutto il nuovo ruolo di “semplice trascrittore” ai medici non va proprio giù, insinuano inoltre che da quando la prassi si è consolidata è aumentato il numero degli esami diagnostici prescritti e la ricetta compilata dal medico, ex ricetta rossa, ha dei rischi legati al ddl Lorenzin sulla appropriatezza prescrittiva, che prevede sanzioni per i medici che prescrivono prestazioni sanitarie inappropriate.

Lamentano inoltre, che il percorso assistenziale non è per niente concordato tra infermieri e e medici di famiglia, e che questi si ritrovino a dover subire le scelte fatte da infermieri e colleghi dell'organizzazione aziendale.

Si sentono quindi spodestati dal ruolo ricoperto e dal legame con l'assistito, restando solo un trascrittore e talvolta un consulente.

Fabio Maria Vespa, Segretario provinciale FIMMG Bologna, racconta: “non pensiamo di rifiutare la prospettiva di una gestione integrata dell’assistenza territoriale, che anche a noi appare come una necessità inderogabile di fronte alle complesse sfide di sostenibilità del sistema. Non potremo però rinunciare ad essere i protagonisti della selezione di quegli assistiti che potranno realmente giovarsi dei percorsi integrati e non potremo neppure rinunciare alla discrezionalità e alla responsabilità che la Legge affida, in campo diagnostico e terapeutico, al medico e solo al medico. Non potremo neppure prescindere, nel realizzare percorsi integrati, da quell’autonomia organizzativa del medico di famiglia, che è tipica dei rapporti lavorativi di chi non è un dipendente”, continua, “mentre le Aziende sanitarie e la Regione Emilia Romagna rifiutano ogni confronto sui nodi succintamente ricordati, non possiamo far altro che restare in attesa dei chiarimenti che sicuramente ci verranno dal tavolo per il rinnovo dell’Accordo collettivo nazionale e dai tavoli di concertazione che in seguito si dovranno necessariamente aprire; nel frattempo, penso che spetti ai singoli colleghi la scelta di come e se collaborare (magari, ancora una volta, copiando prestampati) a confusi e non concordati progetti volti alla progressiva rottamazione della Medicina di famiglia”.

Secondo voi, sono giuste le accuse mosse dai medici di Famiglia, forse bisognerebbe trovare un accordo che davvero rafforzi questa sinergia con l'infermiere?

O siamo sempre allo stesso punto, nella Terra dei #noisiamopronti, gli infermieri vengono continuamente attaccati, ed a loro viene impedito di muoversi all'interno delle competenze avanzate?

E se fosse permesso anche agli infermieri di prescrivere?

Siamo forse mille anni indietro rispetto agli standard Europei, e per questo nascono le diatribe a cui assistiamo continuamente?

A voi l'ardua sentenza.

 fonte: Bologna. Se nella Case della Salute a decidere i percorsi terapeutici è l'infermiere e non il medico(QS)