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Cassazione n.9060-2016 Legittimo licenziamento dell’infermiera generica che rifiuta attività demansionanti, senza avallo giudiziario

Elsa Frogionidi
Elsa Frogioni
Pubblicato il: 19/06/2016 vai ai commenti

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I fatti                                                                                            

La lavoratrice già assunta come ausiliaria in una clinica privata di Cosenza, nel 1998, senza il possesso dei requisiti richiesti, ovvero il diploma abilitante per quella categoria, ottiene la qualifica di infermiera generica e corresponsione dell’indennità prevista dal contratto CCNL 2001. È quindi assegnata alla sala operatoria, con mansioni preposte dall’azienda e turnazione riconducibili alla posizione ausiliaria. I suoi piani di lavoro comprendono  attività esecutive di natura tecnico-manuale, nella quale figurano anche quelle pertinenti alla sede di lavoro attribuita, con pulizia delle apparecchiature, strumenti e degli ambienti della sala operatoria.                                                                                                                                            

In seguito l’azienda, colloca l’infermiera generica in altre unità operative della clinica, con le medesime funzioni e compiti di ausiliaria e mansioni di pulizia. In questa circostanza la dipendente oppone un netto rifiuto a eseguire queste attività, ne consegue che l’azienda le infligge molteplici sanzioni disciplinari, fino a giungere alla ratifica conclusiva del suo licenziamento.

L’Iter Legale

  • Tribunale del lavoro di Catanzaro. L’infermiera chiede l’illegittimità del suo licenziamento, dichiarando di essersi opposta  ad un ingiusto demansionamento. Le pulizie nei reparti, ritiene essere attività non confacenti all’inquadramento d’infermiera generica. Il Giudice con sentenza dell’11.6.2010 rigetta la richiesta e conferma il licenziamento.
  • Corte di Appello di Catanzaro. L’infermiera si oppone alla prima sentenza e ripropone la richiesta di illegittimità. Anche questa volta la sentenza del 2012 non le è favorevole. La Corte di Appello rigetta il ricorso con queste motivazioni: la categoria di appartenenza nella qualifica d’infermiera generica, è stata assegnata dall’azienda, solo per il godimento economico del maggior livello, non per lo svolgimento di mansioni per cui non ha i requisiti richiesti. La dipendente adibita a mansioni non rispondenti alla qualifica di appartenenza; ha  facoltà e diritto di chiedere giudizialmente, la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza avallo giudiziario, di eseguire la prestazione ordinata dall’azienda. Il licenziamento è legittimo.
  • Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro. La ex lavoratrice propone l’ultimo controricorso alla sentenza di appello. L’opposizione in difesa delle tesi della lavoratrice licenziata è in riguardo all’art. 2103 c.c. che tutela un diritto inderogabile alla tutela della professionalità dei lavoratori e che limita il potere di ius variandi del datore di lavoro. La dipendente era inquadrata in B2 e doveva essere adibita a mansioni compatibili con tale declaratoria; la tesi della Casa di cura per cui sarebbe scindibile il trattamento retributivo con le mansioni svolte, non possono essere accettabili. La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza 5 maggio 2016, n. 9060 respinge le argomentazioni della difesa, confermando la decisione della Corte di appello. Il ricorso è infondato. La Cassazione chiarisce che l’oggetto del contenzioso non è l’accertamento del demansionamento verso la lavoratrice, ovvero se l’affidamento delle mansioni di pulizia di vari reparti e locali della Casa di cura fosse compatibile con l’inquadramento attuale della ricorrente, ma se le mansioni richieste comportassero un vulnus (offesa, nocumento, lesione di un diritto) così grave ed irreparabile alla professionalità della lavoratrice da legittimare il suo rifiuto a svolgere la prestazione senza neppure poter aspettare un accertamento giudiziario.

 

Il triste epilogo della vicenda che ha comportato la perdita del lavoro ad un operatore della sanità, ci fa riflettere su diversi aspetti.

È sempre nel  diritto del lavoratore impugnare l’ordine di servizio se ritenuto dequalificante rispetto alla propria funzione professionale, ma  il principio di auto-tutela con il rifiuto ad effettuare le disposizioni aziendali deve sempre corrispondere ad una irrimediabile conseguenza sulle medesime esigenze vitali del lavoratore.

In questo caso, la gravità del danno per la ex lavoratrice non è stato dimostrato.                                                                                                   La contesa in oggetto, spiegano i Giudici, non è una ordinaria causa di demansionamento ex art.2103 c.c., la giurisprudenza ha consolidato questo principio in molte sentenze: - Corte cassazione, sezione Lav. n. 1968/2003 - Cassazione civile sez. lav. n. 25313/2007- Cassazione n.126961/2012 - Tribunale di Latina sez. lav.  27/11/2012,  Tribunale di latina se. Lavoro 14/01/2014, Tribunale di Milano sez. lavoro 23/09/2014 -…il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza avallo giudiziario, di eseguire la prestazione richiestagli, essendo egli tenuto a osservare le disposizioni per l’esecuzione dei lavoro impartite dall’imprenditore ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., da applicarsi alla stregua dei principio sancito dall’art. 41 Cost., e potendo egli invocare l’art. 1460 cod. civ. solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro, a meno che l’inadempimento di quest’ultimo sia tanto grave da incidere In maniera Irrimediabile sulle esigenze vitali dei lavoratore medesimo”.

In altre parole, il lavoratore a seguito di una sua ritenuta dequalificazione professionale, non può rifiutarsi nell’assolvere ai compiti prescritti dall’azienda. Non è consentito al lavoratore, l’inadempimento delle prestazioni d’opera nei modi e tempi descritti dalla parte datoriale; non può essere sindacabile dal lavoratore ogni ipotesi di abuso dell’azienda, ma è un suo diritto, chiedere giudizialmente  il ripristino di condizioni di lavoro adeguate alla sua  qualifica professionale.

Le eccezioni che danno diritto al rifiuto del lavoratore a mansioni  dequalificanti, è quando queste comportino un effettivo e dimostrabile pericolo grave ed irreparabile  alle personali esigenze di vita, oppure nel caso che l’azienda risulti totalmente inadempiente ai suoi obblighi, ovvero alla corresponsione ad esempio degli emolumenti, alla copertura assicurativa e previdenziale, alla sicurezza del luogo di lavoro, ecc., previsti dal contratto.

Altrimenti, tale insubordinazione, può determinare la “giusta causa” per l’azienda e legittimare il licenziamento del lavoratore inadempiente.

 

Allegata Sentenza Suprema Corte di Cassazione sez. Lavoro n.9066 del 05/05/2016

Sent-_9060_DEL_2016_demansionamento.pdf