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Finlandia: troppo lavoro pesa sulla vecchiaia. E un gene ci aiuta a sopportare i turni notturni.

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 08/11/2016 vai ai commenti

EditorialiEstero

Uno studio condotto dall’Università di Jyvaskyla, in Finlandia, ha analizzato il follow up di stili di vita in cui il lavoro ha prevalso sul sonno per un periodo prolungato (26 anni è il tempo di osservazione del campione), individuando una correlazione tra “eccesso” di lavoro e problematiche sanitarie in vecchiaia.

 

L’indagine condotta dal gruppo di lavoro guidato da Mikaela Birgitta von Bonsdorff, ha interessato circa 1500 uomini d’affari che, nel 1974 (allora 50enni) e poi nel 2000 hanno fornito informazioni riguardo al proprio orario di lavoro, alla durata del proprio sonno e alle proprie condizioni di salute.

L’analisi dello stesso campione a distanza di 26 anni, ha consentito ai ricercatori di individuare, nella metà di loro che hanno lavorato per più di 50 ore a settimana (e dormito per meno di 47), una ricaduta negativa sulle condizioni di salute in vecchiaia rispetto ai coetanei che hanno avuto uno stile di vita più “equilibrato” tra tempi di lavoro e di riposo.

La correlazione si interseca, in ogni caso, con una serie di altre concause convergenti (come il fumo o altre cattive abitudini di vita), per cui non emerge una causalità diretta, ma sicuramente un elemento di concorrenza.

Che la privazione di sonno possa causare un peggioramento della qualità della vita non è cosa nuova, ma il dato rilevante di questo studio è che questo peggioramento può avere una dimensione a lungo periodo, ripercuotendosi sulla qualità della vita non solo immediata, ma anche nella vecchiaia.

Lo studio ha riguardato uomini d’affari, ma viene lecito chiedersi se analogamente si possa considerare concreto il rischio anche per tutti gli altri lavoratori che siano costretti a sacrificare il riposo per attendere alle funzioni lavorative; in questo gli infermieri certo non sono nelle retrovie, per cui ci chiediamo se anche la nostra categoria, trascurando forzatamente l’applicazione delle norme (giuridiche e fisiologiche) sul riposo non stia in realtà mettendo a rischio anche la propria salute in vecchiaia, oltre che quella attuale.

Parallelamente a questo studio sugli effetti della privazione di sonno, leggiamo anche di un’altra ricerca, condotta sempre in Finlandia, ma questa volta dal National Institute for Health and Welfare (THL), in collaborazione con l’Università di Helsinki, l’Istituto Finlandese di Salute Occupazionale e la Finnair, secondo cui la “sopportazione” del lavoro notturno avrebbe una componente genetica.

Una variante vicina al gene recettore della melatonina, infatti, potrebbe avere un ruolo determinante nella capacità di alcuni individui di adattarsi al lavoro notturno più (o meno) degli altri, diversificando in questo modo la risposta che l’organismo di ciascuno è in grado di dare a questo tipo di agente di stress.

La correlazione è ancora debole, ma potrebbe, in parte, spiegare perché individui diversi rispondono in maniera diversa allo stress derivante dai turni notturni e come alcuni turnisti possano essere esposti al rischio di affaticamento diurno e disturbi del sonno più di altri.

 

Fonte:

- QS: Salute. Le ore di sonno perse per il lavoro si pagano in vecchiaia

- QS: Perché qualcuno riesce a lavorare di notte ed altri no? Scoperto il gene che ‘affatica’ i turnisti