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Infermiere di famiglia e comunità. IPASVI di Firenze necessaria formazione Universitaria Specialistica

Nell’attesa che il Ministero della Salute, istituisca in via definitiva il servizio dell’infermiere di famiglia e di comunità, l’IPASVI di Firenze ha in progetto di formulare le LINEE GUIDA  della nuova figura professionale infermieristica. Il documento avrà l’obiettivo di definire gli ambiti di competenza del professionista che dovrà essere capace di “ lavorare per processi e obiettivi misurabili sia sulla singola persona che sulla collettività…intervenire sui processi di governo clinico e sulle politiche sanitarie del territorio”.

 Secondo il Collegio IPASVI di Firenze è necessario stare al passo con i tempi, i cambiamenti della società ridefiniscono i nuovi modelli di assistenza e la formazione Universitaria italiana, deve sviluppare anche quest’ambito specialistico, uniformandosi all’esperienza decennale internazionale Europea e Anglosassone; dove operano da tempo a pieno titolo, professionisti infermieri specialisti come, il Clinical Nurse Specialist (Cns) e  l’Advanced Nurse Practitioner (Anp).

Il Vice Presidente IPASVI Firenze Cecilia Pollini chiarisce l’importanza della determinazione di percorsi formativi Universitari, tali da…” promuovere l’unificazione di un iter riconosciuto anche contrattualmente e nei percorsi di carriera…..la formazione universitaria dovrebbe comprendere il triennio con un corso di laurea in Scienze Infermieristiche e tre grandi indirizzi per il biennio specialistico: per l’infermiere di famiglia e di comunità; per l’infermiere in ambito ospedaliero e per il management e coordinamento”.

Valorizzare le attività infermieristiche extra-ospedaliere, implementare la rete dei servizi sanitari nelle comunità, con l’obiettivo di migliorare la salute delle persone, è questo che si prefigge l’IPASVI di Firenze nel presentare le funzioni dell’infermiere di famiglia:…”Sviluppa obiettivi di salute agendo sui corretti stili di vita, lavorando sui percorsi clinico-assistenziali in collaborazione e continuità con gli ospedali e le residenze assistenziali, in regime di dipendenza o libero professionale”.

Un ruolo e servizio che in Italia è già in “sperimentazione” in alcune regioni,  in Lombardia  (clicca qui), (clicca qui)Piemonte (qui), e nel Trentino (clicca qui), progetti che sono partiti in sordina e di cui ancora non si hanno risultati certi.

Il Nursind nel 2013 ha inviato richiesta formale al Ministero della Salute d’incrementare la cura e assistenza domiciliare con l’istituzione dell’infermiere di famiglia (clicca qui), ma a parte qualche iniziativa regionale che con delibera, prende atto dell’utilità di questa figura, nella realtà, non si assiste a sostanziali cambiamenti e miglioramenti nell’erogazione dell’assistenza alle famiglie.

La rete dei professionisti sanitari, l’integrazione ospedale-territorio, nelle comunità stenta a partire, la governance clinico sanitaria ancora troppo centralizzata e non distribuita, il mancato finanziamento dei progetti e le scarse assunzioni di  infermieri,  le cause prioritarie di un fallimento annunciato.

Infatti Donato Carrara della Direzione Nazionale Nursind e Direttore Responsabile di www.infermieristicamente.it in un commento all’articolo “Infermiere di Famiglia Prime prove di attuazione in Lombardia “ risponde alle perplessità dei colleghi: Sono in perfetta sintonia con le osservazioni dei colleghi che dubitano della novità "infermiere di famiglia" lombardo inserita nella riforma sanitaria regionale. In effetti sono le stesse perplessità che abbiamo segnalato alla IIIa Commissione Sanità al Pirellone in occasione della nostra audizione. Se si vuole attuare questa riforma occorre anche finanziarla.

Nel testo della riforma per ora ci sono solo parole... Poi chiediamo che si opti per due possibilità:

1. che si utilizzino gli infermieri del SSN con una certa esperienza professionale (20 anni) e che la priorità sia riservata: al personale anziano turnista; alle infermiere mamme con più figli;

2. attraverso una convenzione regionale tipo quella in essere con i medici di famiglia, contrattata dai sindacati di categoria e che preveda come per i medici un numero massimo di assistiti.

Con la prima opzione daremmo la possibilità a chi non riesce più a conciliare i ritmi ospedalieri con il proprio stato fisico e famigliare di continuare a professare senza dismettersi e si libererebbero numerosi posti negli ospedali e quindi si darebbe possibilità di lavoro ai tanti giovani infermieri disoccupati.

Ora non resta che picchiare i pugni sul tavolo ribadendo la necessità di concretizzare la riforma e quindi di finanziarla.

 

Fonte

http://www.quotidianosanita.it/

http://www.infermieristicamente.it/infermiere-di-famiglia-prime-prove-di-attuazione-in-lombardia