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Riforme Codice deontologico degli infermieri: intervista a Ivan Cavicchi

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 13/12/2016 vai ai commenti

Articolo 49 e DemansionamentoLe intervisteToscana

La riforma del Codice deontologico degli Infermieri è stata al centro di un interessantissimo e partecipato Convegno promosso dal Collegio IPASVI di Pisa, tenutosi il 30 novembre scorso.

Proprio il Collegio pisano, guidato da Emiliano Carlotti, nei mesi scorsi aveva sollevato in maniera forte il problema dell'inadeguatezza del Codice esistente, ma soprattutto dell'art. 49, di cui ha invocato provocatoriamente la disapplicazione (e ricevendo il severo rimbrotto della FNC per questo).

Ma a Pisa non ci si è limitati a questo, bensì si è voluto dare un contributo alla professione elaborando un progetto di riforma del Codice stesso, che si affianca oggi a quello proposto dalla Federazione IPASVI, confidando che vi sia una certa permeabilità tra le due bozze, soprattutto per i temi caldi e purtroppo irrisolti della "questione infermieristica".

Di questo abbiamo parlato con il professor Ivan Cavicchi, noto e stimato esperto di politiche e organizzazioni sanitarie, supervisore del gruppo di lavoro che a Pisa ha prodotto la proposta di revisione del Codice deontologico presentata e diffusa da Carlotti e dai suoi collaboratori.

Nell'intervista che segue il professor Cavicchi ci spiega come sia nata l'idea, come si sia sviluppata e, soprattutto, quale sia il progetto che il Codice deontologico, nella bozza pisana, riserva alla professione infermieristica.

Con l'usuale franchezza Cavicchi non risparmia le critiche al sistema sino a oggi vigente (e ai suoi dirigenti) che ha portato gli infermieri a "non essere quello che dovrebbero essere", e ci spiega come è possibile immaginare di uscire da questa situazione di impoverimento della professione: riscrivere la professione stessa ribaltando il punto di vista, con sistematico pragmatismo e una chiara idea di ricollocazione degli infermieri nel panorama delle professioni sanitarie.

 

INTERVISTA AL PROF. IVAN CAVICCHI

di Chiara D’Angelo

 

Prof. Cavicchi, lei ha supervisionato la proposta di Codice deontologico del Collegio di Pisa ed è ha anche fatto la relazione introduttiva al Convegno del 30 novembre scorso sul tema. Molte idee contenute in questo Codice costituiscono il suo cavallo di battaglia da anni (coevoluzione, post ausiliarietà, questione infermieristica, compossibilità, ausiliarietà reciproca, autore, ecc.) ma molte idee sono del tutto nuove, pertanto sembra che questo incontro tra lei e Pisa sia stato davvero una sorta di coevoluzione. Come è andata?

E’ andata che Pisa ha fatto un grosso Convegno (non ricordo esattamente quando) al quale ho partecipato con una relazione sulla “questione infermieristica”, è venuto fuori un fecondo confronto tra idee e tra idee e problemi e soprattutto un forte bisogno di fare qualcosa di concreto. Successivamente Pisa decide di fare un gesto “politico”, cioè di sospendere l’art. 49 prendendosi però l’impegno di formulare una propria proposta. Un gesto che da solo valeva più di tante chiacchiere. Quindi Carlotti mi ha chiamato a coordinare un gruppo di lavoro al quale, a partire dalla mia relazione sulla questione infermieristica, ho sottoposto una serie di idee e tutti insieme, non senza fatica, abbiamo partorito la proposta che ora è in discussione. Si ha ragione lei c’è stata una coevoluzione che credo abbia arricchito tutti. A me di sicuro.

 

“Non senza fatica” ha detto… ma è così difficile scrivere un Codice deontologico? in fin dei conti sui doveri son tutti d’ accordo, i Codici si somigliano tutti e poi molte leggi già contengono parecchie norme.

Non è difficile se si copia il passato, cioè se i vecchi Codici restano come modelli invarianti ma si aggiornano di tanto in tanto come si continua a fare, incuranti dei cambiamenti del mondo. L’ultima versione ad esempio   propostaci dalla Federazione Nazionale è un riadattamento di un Codice che a sua volta è stato riadattato rispetto a quello precedente e via di questo passo…

 

A questo proposito professore, mi scusi se la interrompo, ci può dire cosa ne pensa? Come Lei sa questo testo sarà sottoposto alla discussione e all’approvazione di tutti i Collegi e, almeno teoricamente, di tutti gli infermieri.

Francamente mi sembra qualcosa di imbarazzante tanto sa di presa in giro, di disimpegno, di sciatteria. La mia impressione è che chi ha scritto quella roba consideri gli infermieri come una massa di imbecilli ai quali si può dire impunemente che Cristo è morto di freddo. E ai quali far votare di tutto, fuffa compresa. Non è serio. Ma sarebbe un errore liquidarlo così semplicemente; se quel Codice è quello che è vi sono delle ragioni che vorrei spiegarle, magari nel corso dell’intervista. Sappia che dietro alle deontologie vi sono sempre le strategie. Quel Codice non è buono neanche per accendere il fuoco tanto è bagnato di malafede. Non è solo una operazione di facciata pensata per tamponare il dissenso sull’art 49 e che fa assegnamento sulla manipolabilità dei Collegi. E’ qualcosa di più, cioè la riaffermazione di una strategia perdente.

 

A cosa si riferisce quando parla di riaffermazione di una strategia perdente? Ci sta dicendo che noi infermieri siamo autolesionisti?

A cosa mi riferisco? Ma scusi ma come si fa ad affidare la ridefinizione del Codice a chi di quel Codice è stato il primo responsabile e a chi, se pensiamo al comma 566, ha portato la professione alla sconfitta e il cui unico vero interesse è il proprio potere personale.

Come si fa a far coordinare la riscrittura del Codice a chi è deontologicamente incompatibile da ogni punto di vista… senatrice, che fa parte di in un partito politico e di un Governo che, con le sue politiche sanitarie, la deontologia se la mette regolarmente sotto i piedi. Lei affiderebbe a un baro il compito di definire le regole del gioco? Eppure nessuno parla e gli infermieri sono regolarmente ingannati da chi li rappresenta, che vergogna.

Le rammento che il Codice di Pisa dedica un intero capitolo al problema delle incompatibilità e che negli ultimi Codici curati dalla Federazione sono spariti quei pochi accenni alla questione che esistevano tre Codici fa. Chissà perché? Chissà chi sia stato? Ripeto è vergognoso.

 

Vedo professore che l’abitudine di parlar chiaro non le è passata. Tornerei a Pisa…

Le stavo dicendo che la deontologia è una questione difficile se la si deve reinventare. Il modello a cui si ispira anche l’ultima versione della Federazione grosso modo ha almeno una quarantina di anni, quindi dire che è contro tempo è il minimo. Come può quel Codice deontologico far fronte ai problemi che oggi ha la professione? La verità è che una vera deontologia l’Ipasvi nazionale non la vuole. Potrebbe creare problemi al Governo, far venire agli infermieri delle idee strane, potrebbe mettere in difficoltà i “padroncini” della professione. Insisto dietro le deontologie vi sono le strategie.

 

I padroncini? Professore a chi si riferisce?

Non sa chi sono i padroncini? In generale sono coloro che possiedono un mezzo di autotrasporto e che lo guidano direttamente. Nel caso specifico sono i Presidenti che considerano i Collegi professionali come loro proprietà personale e li guidano come dei camioncini campandoci sopra.

A Pisa non esistono nè camioncini nè padroncini ma solo gente al servizio della professione, altrimenti non si sarebbero impegolati a sospendere l’art. 49 e a fare un Codice deontologico. Lo hanno fatto perché sono convinti che gli infermieri ne hanno bisogno. E lo sforzo fatto lo testimonia.

 

In che senso?

Si è partiti dagli infermieri reali, non da quelli teorici, e dai loro problemi (l’art. 49 era solo la punta dell’iceberg), li si è analizzati a fondo fino a dedurne la deontologia che serviva. Il valore innovativo della proposta di Pisa non si capisce se si separa l’analisi dalla proposta. Non è un caso che il Codice sia preceduto da una ricognizione molto profonda della “questione infermieristica”. La vera novità è che questa volta per fare le mutande agli infermieri prima hanno preso le misure poi le hanno confezionate. Mentre fino ad ora le mutande che hanno fatto mettere agli infermieri erano già pronte e in genere erano sempre troppo piccole e troppo strette.

 

Quindi, secondo Lei, come dovremmo valutare il Codice di Pisa o, se preferisce, le mutande su misura che Pisa ci propone?

L’unico criterio che dovreste usare per me dovrebbe essere pragmatico. La domanda che dovreste farvi è solo una: le mutande fatte su misura vanno bene o no? Fatevi la stessa domanda sul Codice della Federazione e datevi una risposta. Insisto, il Codice non è un esercizio culturale per sfoggiare nuove parole. Se vi sono nuove parole, nuove idee, altri contenuti è perché tutto questo serve agli infermieri. La maggior parte di coloro che ho sentito esprimere giudizi, anche positivi, invece partono da un altro presupposto: le proposte di Pisa sono o no conformi al mio schema di deontologia? Alle consuetudini deontologiche? Cioè sono o no nello schema?

La risposta è no. Non possono stare nello schema perché quello schema non solo ormai ha più di mezzo secolo, ma non ha funzionato. Insomma signori chiariamoci... le mutande che avete fatto mettere sino ad ora agli infermieri sono strette. Che si fa? Le abitudini deontologiche di chiunque non possono pretendere di valutare una discontinuità con i criteri della continuità. Il Codice della Federazione è o no nello schema? E’ del tutto nello schema. Resta da capire perché è nello schema. E’ solo sciatteria?

Vorrei dire al volo intanto che Pisa tuttavia si porta a casa una sua vittoria politica che è aver cancellato dallo schema l’infamia dell’art. 49.

 

Lei ha detto che siete partiti dalla “questione infermieristica” ma ce la vuole rispiegare in poche parole?

Prima di risponderle devo chiarirle la differenza tra “problema” e “questione”. Gli infermieri hanno tanti problemi: demansionamento, art. 49, vecchie organizzazioni del lavoro, titoli di studio che non contano niente, ecc. Poi per giunta lavorano in un sistema definanziato, hanno i contratti bloccati, il blocco del turn over, sono in conflitto con i medici, hanno una Federazione con sulle spalle quel famoso gattone che non molla mai, i padroncini, ecc ecc. Ebbene tutto questo mescolato a dovere fa la “questione infermieristica”. Il risultato è una professione che anziché migliorare, in ragione delle conquiste fatte, peggiora. La professione è come bloccata, prigioniera nelle sue contraddizioni. Se la professione non cambia, gli infermieri restano ciò che sono sempre stati ma con i contesti che continuano a peggiorare, ciò equivale ad una regressione. La questione infermieristica può essere riassunta sinteticamente con l’espressione “non infermiere”, cioè un infermiere negato in luogo di quello che dovrebbe essere.

In sostanza la “questione infermieristica”, riguarda il ruolo, l’identità, l’essere e il modo di essere della professione, il suo rapporto con gli altri, ciò che a causa di tanti problemi interni e esterni l’infermiere dovrebbe essere ma non è, ecco questa è la questione infermieristica.

 

Ho capito… ora mi è molto più chiaro perché la scelta di fondo del vostro Codice è quella della deontologia del ruolo…

Ovvio se vuoi dare una mano agli infermieri non parti dal problema più piccolo ma da quello più grande. Oggi il problema più grande è il ruolo non le competenze, per cui il Codice deve farci i conti. In che modo? Trasformando il problema in una soluzione deontologica. Se l’infermiere non è l’infermiere che dovrebbe essere, cioè se il suo ruolo non è quello che dovrebbe essere, allora l’infermiere ha l’obbligo morale di difendere la propria identità professionale e di garantirla con delle condotte professionali e delle organizzazioni coerenti. Attenta alle parole… condotte non competenze… organizzazioni non prassi invarianti.

 

Ci può spiegare meglio? Non è proprio facilissimo seguirla…

Pensavo di essere stato chiaro. Ci riprovo. Fino ad ora nessun Codice si è posto il problema dell’identità perché fino ad ora tutti si sono occupati di compiti, di mansioni, di funzioni cioè di cosa avrebbe dovuto fare l’infermiere non di come avrebbe dovuto essere. Fino ad ora si è creduto che bastasse descrivere il compito per descrivere l’infermiere o, come dicono alcuni, la responsabilità per definire l’identità… ma queste sono vecchie visioni riduttive che non reggono più. Mutande ormai troppo strette. Se risolvi il problema del ruolo risolvi i principali problemi della professione, perché? Il ruolo è la sintesi di tutte le variabili che lo definiscono. Non basta definire quello che deve fare l’infermiere per definire chi effettivamente sia l’infermiere. Ma questo vuol dire che le competenze alla fine non sono definibili a prescindere dal ruolo. Chiaro? Oggi teoricamente l’infermiere dovrebbe avere un ruolo relativamente autonomo, operare in un altro genere di organizzazione e avere un altro genere di cooperazione con i medici e con gli Oss, ma siccome non ha niente di tutto questo le sue prassi restano, nonostante la legge, ausiliarie. Ma se è così, il problema non sono le prassi ma il ruolo. Cioè le mutande, sono stato chiaro?

 

Vediamo se ho capito: se un infermiere è davvero un infermiere farà veramente le cose che fa un infermiere. Quindi tanto vale definire chi è, non cosa fa?

Ha capito bene. “Chi è” è una questione di identità professionale. L’identità professionale non dipende solo da cosa si fa ma dipende da due condizioni:

  • l’indivisibilità della professione quindi la sua unità e coerenza interna tra stato giuridico, formazione, prassi, organizzazione ecc.
  • la specificità della professione quindi la sua unicità che stabilisce la differenza esistente tra la professione di infermiere e le altre professioni.

Se tra laurea e prassi non c’è corrispondenza, se tra prassi e autonomia non c’è coerenza, allora la prassi smentisce l’identità quindi il ruolo. In sostanza è inutile incoronare lo stalliere se poi continuerà a pulire la stalla. Si rammenti la storia tragica del comma 566, cosa è avvenuto? A vecchio ruolo invariante qualcuno ha pensato di rubacchiare un po’ di competenze ai medici, quindi a ruolo invariante far fare all’infermiere qualcosa in più. La strada da seguire avrebbe dovuto essere quella di rinegoziare i ruoli. Ma per farlo sarebbe servita una strategia completamente diversa da quella della Federazione, ancora oggi, grazie a gattoni e padroncini, stupidamente incentrata sulla conflittualità contro i medici.

 

Nel Codice vi è anche un’altra idea nuova che, da quello che ho capito, è la diretta conseguenza della deontologia del ruolo e cioè comportamento atteso. Ho capito bene?

Il ruolo è tale se definisce i comportamenti attesi. Da un padre, da un professore, da un infermiere ci si aspetta dei comportamenti coerenti. Il comportamento coerente con il ruolo si chiama comportamento atteso. Veda, il ruolo è un insieme di cose il compito è solo una di queste. Oggi per fare l’infermiere bisognerebbe definire un ruolo professionale autonomo in relazione, non separato, con altri ruoli professionali, quindi con altre autonomie. Cioè oggi per avere un vero infermiere bisognerebbe cambiare le forme delle relazioni interprofessionali.

 

Ci può fare degli esempi per farci capire a cosa si riferisce?

Volentieri, anzi farò di più mi servirò del Codice deontologico che ci ha proposto la Federazione.

Lei sa che in questa ultima versione del Codice nel capitolo sull’organizzazione (cap. 5) non si spende una sola parola sul problema di ripensare le forme storiche della coopeazione tra professioni?

Lei sa che l’unica frase in questo Codice, così drammaticamente omissivo, che allude ai rapporti tra professioni se non sbaglio suona più o meno così “l’infermiere adotta comportamenti leali e collaborativi con i colleghi e gli altri operatori” e che la questione strategica dei rapporti con i medici è praticamente liquidata solo con una formalità (l’infermiere riconosce all’interazione e all’integrazione intra e inter professionale sono fondamentale per rispondere agli interessi delle persone).

Lei sa che la parola “autonomia” non compare mai in nessun articolo del Codice? Per favore ma di cosa stiamo parlando?

 

Scusi professore ma lei come si spiega tutto questo? Sciatteria?

Purtroppo non è solo sciatteria ma è qualcosa di altro. Se la deontologia cancella la parola autonomia vuol dire che la Federazione, o chi la comanda, ha deciso senza dirlo, senza discutere, senza coinvolgere nessuno di cancellare le conquiste degli anni ‘90 che hanno introdotto la parola “autonomia”, probabilmente perché le considera irrealistiche.

Oggi la Federazione cerca inutilmente e ingannevolmente altre strade perché sull’autonomia, cioè sul ruolo dell’infermiere, sulla sua identità, fino ad ora, cioè negli ultimi 20 anni, ha toppato. Il 566 è stato un tentativo di questo tipo. La proposta di spacchettare il profilo in cinque o sei (non ricordo) sub profili ha lo stesso significato. Ma la Federazione ha toppato non perchè definire un nuovo ruolo dell’infermiere sia una impresa impossibile, ma perché per i gattoni e per i padroncini è impossibile. Per Pisa, come dimostra il Codice, è possibilissimo tant’è che nel suo Codice la parola autonomia viene usata piuttosto spesso.

 

Quindi secondo lei oggi il comportamento dell’infermiere non è coerente con quello atteso dalla Legge.

Proprio così. Il senso politico della proposta di Pisa è chiaro: non si rinuncia ad essere infermieri nel nostro tempo, non si rinuncia alle leggi degli anni ‘90, non si rinuncia alla coevoluzione, per cui se la Legge definisce un ruolo autonomo in relazioni ad altre autonomie allora l’infermiere ha l’obbligo deontologico di garantire i comportamenti che ci si attende da lui. Ricordo ancora che per “comportamento atteso” si intende una prassi professionale dovuta al malato, in una certa organizzazione, nei rapporti con gli altri in relazione al proprio ruolo. Il comportamento atteso per Pisa diventa così un obbligo morale giuridico, contrattuale… un dovere deontologico. Questo significa che tutto quanto ostacola o impedisce l’espressione del comportamento atteso deve essere rimosso.

 

Quindi professore lei ci sta dicendo che l’infermiere per Pisa non può più abbozzare di essere quello che non è, ma deve rimuovere tutti gli ostacoli che gli impediscono di diventare   infermiere perché è suo dovere farlo?

Brava lei ha colto l’aspetto al quale personalmente tengo di più, cioè l’aspetto politico operativo. Per dare soluzione alla questione infermieristica abbiamo bisogno di una deontologia forte; quella che ci propone la Federazione è inservibile perché non cambia niente, anzi ci fa tornare in dietro. Cioè noi abbiamo bisogno di cambiare e quindi di una deontologia che ci aiuti a farlo.

Di fronte alla questione infermieristica la funzione della deontologia deve cambiare. Oggi non si tratta più di mettere in riga l’infermiere non ortodosso, ma di mettere in condizione l’infermiere di diventare infermiere e di fare il suo dovere e quindi assicurare i comportamenti attesi che corrispondono al suo ruolo e che la società per prima si aspetta.

 

Lei professore mi sembra insista molto su una contraddizione che è quella tra ciò che è l’infermiere di fatto e ciò che dovrebbe essere. Giusto?

Giusto. Siccome parliamo di deontologia quindi di doveri e di cose che si devono fare le propongo un confronto tra Pisa e la Federazione per farle capire che il problema della deontologia non si può separare da quello della strategia. Non è un caso se tra la proposta di Pisa e quella della Federazione vi sia un abisso; questo abisso non è incolmabile ma per colmarlo bisogna intendersi sul futuro dell’infermiere. Se la strategia è non cambiare niente, il Codice della Federazione va benissimo. Se, al contrario, è cambiare qualcosa, quello di Pisa è l’ideale. Allora cercando di farmi capire direi così:

  • il Codice di Pisa ci dice che ciò che dovrebbe fare un infermiere per Legge è garantire dei comportamenti professionali attesi. Quindi Pisa ci dice che ciò che l’infermiere dovrebbe e potrebbe fare dipende dalla sua capacità a diventare infermiere, cioè a uscire dalla gabbia in cui è rinchiuso.
  • Il Codice della Federazione ci dice un'altra cosa: ciò che fa l’infermiere è ciò che può fare, e ciò che può fare è quello che ha sempre fatto, al massimo possiamo aggiustarlo un po’ qui e là.

Per Pisa quindi ciò che si deve fare, diventa l’obbligo morale di fare ciò che questa società si aspetta dall’infermiere, quindi di garantire dei comportamenti attesi.

Per la Federazione la deontologia si deve occupare di ciò che l’infermiere è, per cui non esiste il problema del dover essere.

La Federazione ragiona come Hegel: ciò che è l’infermiere è reale e ciò che è reale è razionale.

Pisa ragione come Kant: ciò che è reale non è ciò che dovrebbe essere, per cui ciò che è reale non è razionale. Ma ragiona anche come Marx quando ad Hegel, quindi alla Federazione, rimprovera di ignorare le contraddizioni: come fai a dire che realtà e razionalità coincidono e a scrivere un Codice che non cambia niente se esiste la questione infermieristica?

Questo è il vero punto: esiste o no la contraddizione? Esiste o no la questione infermieristica? Per Pisa esiste e per la Federazione no.

Per Pisa, per rimuovere la contraddizione si deve diventare infermieri e garantire comportamenti coerenti

Per la Federazione questa contraddizione non esiste, l’infermiere è quello che è, quello che è va bene, per cui il problema di diventare qualcosa di altro non si pone.

 

Professore il suo discorso è a dir poco affascinante: dietro a diverse deontologie vi sono diverse strategie e ricomporre queste diversità non sarà facile. Però ora le propongo di fermarci qui. L’intervista si sta allungando troppo. Che ne dice di riprendere il discorso più in là con altre interviste e continuare la nostra esplorazione del Codice di Pisa?

OK, per me va bene. Alla prossima intervista. Allacciate le cinture probabilmente balleremo un po’.