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Riforma della P.A.: sindacati assolutamente insoddisfatti. NurSind e Confederali bocciano duramente il testo Madìa.

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 12/02/2017 vai ai commenti

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I contenuti del decreto attuativo della delega sulla riforma della pubblica amministrazione, anticipati nei giorni scorsi da fonti del Ministero (Clicca), non convincono affatto i sindacati.

 

Secondo Andrea Bottega, Segretario Nazionale del Nursind, “la riforma del testo unico sul pubblico impiego (TUPI) che la prossima settimana dovrebbe essere licenziata dal Consiglio dei Ministri, porta degli elementi sostanziali di novità, per quello che abbiamo potuto leggere, che rendono il rapporto lavoro pubblico ancor più aspro rispetto alle tutele dello statuto dei lavoratori. Che sia in atto un gioco al ribasso in tema di diritti sociali da parte dei questa maggioranza di governo lo abbiamo sempre denunciato. Ora, dopo la spogliazione del privato con le “tutele crescenti” del Jobs act, si arriva al pubblico in una escalation che non può che provocare indignazione da parte della classe lavoratrice. In una sorta di percorso parallelo, prima il privato poi il pubblico, si procede a togliere sempre più diritti e rendere sempre più vessatorio il potere datoriale. Ne è un ulteriore esempio la volontà di estendere la fasce orarie della reperibilità del pubblico al privato: per tutti non 4 ore come il privato, ma sette come il pubblico perché chi detiene il capitale, il datore di lavoro, deve poter infierire su chi si azzarda a stare in malattia. Un paradosso da vergona. Se la visita fiscale è una visita medica per la conferma della diagnosi e della certificazione della malattia basterebbe fissare un appuntamento, non c’è alcun bisogno di relegare un malato (si pensi a chi, ad esempio, ha un braccio fratturato) alla reclusione vicino al campanello di casa; pare dunque evidente che l'intento sia altro rispetto al valore medico-legale della visita.

Su questo solco si muove anche la riforma del TUPI. Una riforma in cui la parte da leone la fa ancora una volta il bastone con un inasprimento delle norme sui procedimenti disciplinari che rende non paritario il diritto di difesa rispetto a chi accusa. Per quanto attiene la produttività, tutto quello che si apprende ad ora è che essa sarà legata all'assenza dal servizio: non un cenno a criteri di valutazione delle performance, non un cenno alla valorizzazione delle competenze; però nei concorsi pubblici viene richiesta la conoscenza della lingua inglese e per anni che ci è stato chiesto di lavorare per obbiettivi. Continua ad essere presente la possibilità da parte del datore di lavoro di procedere unilateralmente anche senza accordo sindacale; sulla mobilità vale quando stabilito dalla riforma Madia (PD) nel Dl 90/2014 che rende obbligatorio il nulla osta dell’azienda cedente; il problema del precariato non trova una soluzione definitiva.

Nemmeno il giudice, con il nuovo testo, può sanzionare il datore di lavoro pubblico che licenzia ingiustamente un dipendente oltre il minimo stabilito dalla nuova norma.

"Se questo testo passerà immutato la dignità del lavoro sarà ulteriormente svilita. Il massacro della classe lavoratrice continua.” - conclude Andrea Bottega.

 

Fortemente critici verso il testo anche i sindacati confederali, che hanno disertato l'incontro con il Ministro Madìa previsto per martedì scorso.

Il decreto, secondo CGIL CISL e UIL, non evidenzia alcun passo nella direzione tracciata dagli accordi presi il 30 novembre, alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre cui sono seguite le dimissioni dell'allora premier Matteo Renzi.

L'esecutivo attuale, guidato da Paolo Gentiloni, dichiara di proseguire “in assoluta continuità” le linee di indirizzo dell'esecutivo precedente; per quanto riguarda la Funzione Pubblica, per di più, anche il Ministro è sempre lo stesso, Maria Angela Madìa.

Purtroppo però, chiosano i segretari generali dei tre sindacati confederali, per il pubblico impiego non si vede alcun segno di avanzamento verso l'attuazione delle intese di novembre. A partire dagli aumenti salariali dei dipendenti pubblici, quegli 85 euro lordi medi che dovevano essere applicati già per il 2016. Nelle ipotesi che circolavano, infatti, si parlerebbe di una possibile applicazione dal 2017 (se non dal 2018) con una piccola indennità compensativa per il 2016.

Un'indicazione insufficiente per i sindacati, che puntano il dito anche contro la vaghezza dei termini di superamento delle rigidità della Legge Brunetta sull'attribuzione delle premialità e l'assenza di linee di indirizzo per l'Aran, passo fondamentale per avviare la stagione del rinnovo contrattuale.

Anche sul primato della contrattazione – affonda Susanna Camusso, segretario generale della CGIL – mancano indicazioni chiare, mentre Carmelo Barbagallo (UIL) mette in guardia sui tempi, ormai strettissimi (la delega al Governo scadrà il 18 febbraio prossimo), che certo non giocano a favore della concertazione e alimentano il sospetto che la questione sia stata posta in secondo piano nell'agenda del Governo. Se l'incontro di martedì è saltato, i segretari dei tre sindacati confederali però stanno incontrando uno ad uno il Presidente del Consiglio Gentiloni.

Fortemente critici, oltre che verso la debolezza delle indicazioni sul fronte economico e contrattuale, anche riguardo alle norme di riordino della pubblico impiego su cui il testo prodotto dal Ministero insiste: lotta alle “furberie”, licenziamenti, tagli “disciplinari” delle retribuzioni accessorie. E' inaccettabile, secondo Anna Maria Furlan (leader della CISL), che l'immagine del dipendente pubblico sia solo e soltanto quella del furbetto e del fannullone, mentre all'occorrenza si sciorinano elogi per tutti quei dipendenti pubblici (insegnanti, medici, infermieri, forze dell'ordine ecc) che ogni giorno con il proprio lavoro e il proprio impegno fanno sì che i cittadini possano godere dei servizi cui hanno diritto, gli stessi lavoratori che poi vengono investiti da massicce campagne d'odio mediatiche. “E' tempo di rispettare la dignità e la professionalità dei lavoratori, e lo faccia per primo il Governo”, tuona la numero uno della CISL.

“Il decalogo sui licenziamenti disciplinari è solo una “scappatoia” - chiosa Susanna Camusso – mentre sarebbe molto più importante dare attuazione agli accordi di novembre per avviare effettivamente la contrattazione, rimuovere le storture della Legge Brunetta e della Buona Scuola, consentire alla Pubblica Amministrazione di avvicinarsi alla realtà”, ma anche “la semplificazione dei sistemi di contrattazione di secondo livello, nuovi e differenti strumenti di valutazione della produttività e la riduzione delle forme di precariato”, rincara Barbagallo.

 

Insomma, il traguardo (temporale) della delega per la riforma della PA è molto vicino, ma la poca strada che manca è tutta in forte salita e pare non esserci concordia nemmeno sulla direzione in cui muoversi.