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Aumenti contrattuali e bonus Renzi. Allo studio una revisione del beneficio.

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 13/03/2017 vai ai commenti

NurSind dal territorio

Uno dei dubbi che hanno pervaso la fase preliminare di dialogo tra sindacati e Governo in merito agli aumenti previsti con la prossima tanto attesa tornata di rinnovo contrattuale per il pubblico impiego è stato il timore che il ventilato aumento (circa 85 euro mensili medi) potesse di fatto essere vanificato dalla perdita dei requisiti reddituali per poter, al tempo stesso, continuare a fruire del cosiddetto Bonus Renzi, i famigerati 80 euro al mese erogati sottoforma di credito d'imposta.

A tale proposito l'Esecutivo si è impegnato a garantire comunque a chi li percepisce di continuare a beneficiare del bonus, anche se l'aumento salariale comportasse uno sforamento sul tetto reddituale di ammissibilità al beneficio.

Ma il Governo Gentiloni si dice intenzionato a mettere mano allo strumento del bonus, per aggiustare alcune criticità che gli sono proprie.

Una prima idea sarebbe quello di convertirlo in detrazione d'imposta, con una fascia di attenuazione più ampia di quella attuale (anziché da 24 a 26 mila euro, da 24 a 30-32). Questo consentirebbe di evitare una situazione di deroga specifica per i dipendenti pubblici riguardo ai limiti di ammissibilità, ma al contempo allargherebbe la platea di beneficiari, richiedendo risorse aggiuntive che, come si sa, certo non largheggiano.

Si tratta dunque di un'operazione complessa i cui risvolti devono essere attentamente vagliati, per garantire l'equità dell'applicazione e, al tempo stesso, la sostenibilità della misura.

Una partita su cui i tecnici del Ministero dell'economia pare stiano lavorando e che potrebbe anche risolvere il problema dei bonus erogati e poi richiesti in restituzione e, viceversa, dei bonus non erogati ma a cui poi il contribuente in fase di dichiarazione dei redditi può però accedere.

Un'ulteriore alternativa cui si sta lavorando, infine, potrebbe essere quella di spostare il beneficio dall'area fiscale a quella contributiva, riallocando le risorse attualmente impegante per l'erogazione del bonus (circa 10 miliardi) a favore di una riduzione di pari misura dei contributi previdenziali. Anche in questo caso, però, il rischio è quello di scontentare qualcuno, che potrebbe in questo caso vedersi ridotto il beneficio economico derivante dallo spostamento.