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Cinque domande per svelare gli enigmi: risponde Alfonso Megna, infermiere

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 06/06/2017 vai ai commenti

Cinque Domande

Risponde alle cinque domande Alfonso Megna, Catania,infermiere c/o l'INPS.

Dice di lui: dopo diverse esperienze sono approdato alla medicina legale. Chi sono? Semplicemente un infermiere.

Non lo sono per caso. Ho scelto la professione infermieristica perché credo in questa categoria. Ho scelto di essere attivo attraverso il sindacato, la formazione e l'informazione. Una scelta dettata dalla volontà di appropriami della mia professione.

Ho lavorato in diverse U.O. di varie Aziende. Ho visto realtà contraddittorie, vivaci, pigre e anche spesso rassegnate. Proprio il diffondersi di questa rassegnazione mi spinge a rimboccarmi le maniche. C'è tanto da fare. E dobbiamo farlo in modo unito...compatto. La lotta per i nostri diritti la si può fare in tanti modi, mentre si resta fermi in un solo modo.

Io scelgo di muovermi, in un modo o nell'altro.

 

1.

La sublimazione della professione sembra concretarsi nell’articolo uno della bozza del codice deontologico: l’infermiere persegue l’ideale di servizio. Cosa s’intende, secondo te, per "ideale di servizio"?

 

Una domanda ricca di significato, ma allo stesso tempo, quasi vuole rispondersi da sola. Hai usato la parola “sublimazione”, come la devo intendere? La massima elevazione della morale di una professione, oppure la transizione della professione da uno stato “solido” quasi obbligati all’immobilità dettata dal vecchio mansionario, a quello “gassoso”, di una professione che vuole occupare tutto lo spazio che merita. In entrambi i casi, le interpretazioni sposano un’evoluzione obbligata che tarda ad arrivare. Dicevo che la risposta è intrinseca nella domanda poiché il fatto di chiedermi cosa s’intende per “ideale di servizio”, si traduce in una criticità immediata di questa proposta di codice deontologico. Questo strumento dovrebbe essere di una chiarezza fulminea, specialmente su questo punto. Non può lasciare spazi interpretativi. L’art. uno deve presentare chi è l’infermiere. Lo fa in modo chiaro riferendosi al sapere scientifico del professionista ricco di valori, ma resta poco esplicito sul significato di “ideale di servizio” da perseguire. Nell’art. due si precisa come perseguire l’ideale, ma ancora non vi è traccia di cosa sia.

 

Accantonata la mia articolata premessa, rispondo in modo diretto.

L’ideale di servizio è strettamente correlato alle competenze infermieristiche. In altre parole, per un professionista, si traduce nel raggiungere costantemente l’obiettivo principale delle sue funzioni. Nel caso degli infermieri questo scopo si traduce in PERSONA. E non del semplice paziente, utente, cittadino. Parlo della persona ricca di emozioni e sentimenti che meritano la stessa, se non maggiore, attenzione della patologia. L’ideale di servizio lo definirei come l’insieme di azioni attuate al fine di avvicinare, il più possibile, la persona assistita, al concetto di salute (come definito dall’O.M.S.); rispettando l’ambito delle competenze assistenziali infermieristiche.

 

2.

E se ti dicono che nell’ambito del “fine vita” il tuo "gesto assistenziale" è di fondamentale importanza, vuol dire che sei tenuto a...?

 

La morte è un momento di enorme difficoltà. Coinvolge gli operatori sanitari, i familiari e la persona interessata. Non riesco ancora a immaginare quello che può pensare chi è in fin di vita. Ho accompagnato tante persone a questa soglia. E le parole che ho ascoltato sono sempre state cariche di significati, tutti diversi da persona a persona. Ho capito che è sempre un’esperienza nuova, non puoi sapere cosa aspettarti. Questa mia piccola conoscenza mi ha portato a pensare che si sia tenuti ad accompagnare tutti gli attori di questo momento così difficile, nel totale RISPETTO. Rispetto delle sue volontà, rispetto della sua dignità, rispetto delle sue credenze. Rispetto dei parenti e degli altri pazienti. Sembra scontato, ma in realtà è molto difficile. È semplice rispettare qualcuno che riconosciamo avere gli stessi nostri valori. Si pensi a quelli morali e spirituali. Le cose si complicano con persone che hanno valori lontani dai nostri. Credo che il rispetto della persona in punto di morte abbia un valore “speciale”. Ricordiamoci che per quella persona non avremo mai una seconda occasione di rispetto in punto di morte. Questa partita si gioca una volta sola. L’infermiere come unico responsabile dell’assistenza diventa protagonista assoluto di un momento di sofferenza tra i più devastanti.

Termino dicendo che si è tenuti a erogare l’assistenza infermieristica nel completo rispetto del paziente e dei familiari. Si deve agire garantendo il massimo impegno nell’alleviare le sofferenze psico-fisiche-relazionali del paziente, attraverso un’assistenza mirata e calibrata allo stato di salute e alle volontà della persona. Bisogna informare e relazionarsi con i familiari, invitandoli a supportare la persona in stato di necessità.

 

3.

Ritieni che la bozza del Codice Deontologico sia “integrata nel suo tempo”? Al passo con una professione infermieristica che chiede a gran voce il suo reale (quindi oltre la carta) riconoscimento.

 

No. A questa domanda rispondo con un secco e immediato no. Doveroso snocciolare il pensiero che mi porta a questa decisa risposta. Leggendo la bozza del codice deontologico mi sembra di poter dare voce al pensiero che cela: “sono qui, ma non sono importante. Continuate a lavorare senza di me.”

Non voglio assolutamente minimizzare la fondamentale importanza del codice deontologico. Il mio è un modo di esaltarne il valore. Mi sembra un adolescente timido in una festa di suoi coetanei. Impacciato, preoccupato, quasi invisibile agli occhi dei tanti. Il codice deontologico lo immagino fiero, importante, dovrebbe proprio “pavoneggiarsi”. Un esempio tra tanti. L’art. 49 scompare. Lo fa timidamente. Lascia spazio a una continuità assistenziale che ancora non pone limiti. Mi sarebbe piaciuto leggere all’art. 6 della proposta di codice “…rendendosi garante della continuità assistenziale, rifiutando di sopperire a mancanze organizzative e denunciando le carenze organiche anche delle figure di supporto.”

Un codice che non sbandiera l’autonomia. Nessun articolo rileva che l’infermiere agisce autonomamente con pieni poteri decisionali nell’ambito dell’assistenza. Non è posto l’accento sul lavoro di equipe inteso come collaborazione tra professionisti diversi e tutti con la propria capacità decisionale.

Per essere al passo con i tempi il nuovo codice deontologico avrebbe dovuto essere prepotente. Dobbiamo convincerci e dobbiamo convincere tutti che siamo professionisti.

Anche la persona più timida del mondo, con il tempo e nel suo ambiente impara a essere se stesso.

Sono convinto che la professione infermieristica sia matura da dimostrare a tutti chi è veramente.

Non dobbiamo più avere un basso profilo. Del resto la deontologia cosa è? Senza girarci intorno, è lo studio del dovere. Non è forse doveroso svolgere l’attività professionale per quello che ci compete? Non è forse un dovere dedicare tutte le nostre energie per le funzioni per le quali siamo scientificamente preparati e aggiornati? Non è doveroso, nel rispetto dei pazienti, garantire la migliore assistenza senza dovere affrontare carichi di lavoro improponibili?

A volte non capisco cosa ci sia di così complicato, quali strane cause ostative frenino la federazione IPASVI nel prendere una posizione forte fino al punto di metterlo nero su bianco. Del resto il profilo professionale è chiaro, e dovrebbe diventarlo anche l’elenco dei nostri doveri; il nostro codice deontologico.

 

4.

Ritieni che la bozza di Codice deontologico sarebbe facilmente comprensibile ai cittadini e in grado di fornire agli assistiti una rappresentazione chiara dell’identità professionale dell’infermiere?

 

Come risposto in precedenza, mi sembra trapeli un’esigua chiarezza nelle righe di questa bozza di codice deontologico. Una difficoltà che ho riscontrato in qualità d’infermiere, una difficoltà che si alimenta maggiormente in un cittadino lontano dalle nostre problematiche e dalla nostra professione.

Il lavoro della federazione IPASVI e dei collegi tutti, dovrebbe uscire da ideologie belle e mai applicate. Bisogna che il nostro essere infermieri entri tra la gente comune. Il necessario restyling dell’immagine della professione deve partire anche dal codice. Dovrebbe essere uno strumento d’immediata comprensione per tutti. Mi aspettavo una serie di articoli che spiegassero in modo esplicito chi è l’infermiere. Dopo anni, finalmente oggi, quando dico di essere infermiere mi associano a una persona laureata. Il mio timore è che ci vorranno ancora anni perché io dica infermiere, leggendo negli occhi dell’interlocutore l’apprezzamento per un professionista capace di scelte autonome, svincolato da subordinazioni che ancora sono radicate nella testa di troppi.

 

5.

Esprimi un parere complessivo sulla bozza del codice deontologico.

 

Piuttosto che niente, meglio piuttosto, un modo di dire che ho sentito in Romagna. Lo cito perché convinto che vada abbracciato come filosofia, ma nel caso in cui l’impegno senza risparmiarsi in una questione qualunque, abbia portato a un risultato di compromesso. Trovarmi nelle condizioni di citare tale frase, per la sola rassegnazione, non rientra nel mio modo di essere. E se penso che discutiamo del codice deontologico, non ci sono compromessi ammissibili.

Questa bozza mi lascia l’amarezza di leggerla e ripetere: si può fare di più.

La prima impressione è che sia un buon lavoro. Si evidenzia l’importanza del ruolo infermieristico nell’assistenza anche sotto l’aspetto relazionale. Si cerca di uscire dai paletti che limitano l’immagine dell’infermiere alle sole strutture protette. Si assapora l’idea di multidisciplinarietà, si abroga il vecchio e contestato art. 49.

Poi mi ricredo, anche per avere semplicemente citato la prima impressione. La verità è che questa "impressione", accesa leggendo una riga del testo è cancellata dalla riga successiva. Allora riprendo il testo e lo osservo nel suo insieme, mi accorgo che è solo un’arrangiata modifica del precedente. Comprendo che si continua ad abbozzare, rattoppare, un taglia e cuci che tenta di accomodare un codice, in realtà inadattabile alla nuova professione infermieristica.

Quest’ultima ha subito una vera e propria rivoluzione. E dovrebbe essere lo stesso per il codice deontologico. Renderlo coerente con la professionalità, integrarlo in modo serio al tempo storico che stiamo vivendo, renderlo fruibile ai cittadini, farlo diventare uno strumento di riferimento del professionista e della legge non è una cosa che si può fare con una rivisitazione. La verità è che andrebbe riscritto da zero; bisognerebbe seriamente elaborare un codice che non lasci spazio a interpretazioni sulla figura dell’infermiere. Sono fermamente convinto che il concetto di autonomia debba essere spiegato e inserito nel codice adottando l’unica parola veramente chiara: AUTONOMIA. L’unica che penosamente non è citata in questa bozza.

Voglio terminare dando un diretto parere. Questa bozza non mi piace; dal mio punto di vista è una specie di contentino. Ha solo abrogato il vecchio art. 49, e lo fa in modo “timido”, non chiarisce la figura professionale nella sua piena autonomia decisionale e organizzativa ledendo, di fatto, il principale diritto degli infermieri: diritto a concretare i decennali anni di conquista professionale che restano relegati solo alle normative.

Se anche il codice deontologico fosse chiaro su chi siamo, come lo è per la legge, credo che lo diventeremo sul serio…INFERMIERI.

 

6. Facoltativa

Suggerisci una modifica al Codice Deontologico che, a tuo avviso, lo renderebbe concretamente più aderente ai contesti professionali e lavorativi...

 

Inizierei dall’art. 1 che dovrebbe recitare: “L’infermiere è il professionista sanitario che nasce, si sviluppa ed è sostenuto da una rete di valori e saperi scientifici. Persegue l’ideale di servizio, cioè attiva un insieme di azioni poste in essere al fine di avvicinare, il più possibile, la persona assistita, al concetto di salute (come definito dall’O.M.S.); rispettando l’ambito delle competenze assistenziali infermieristiche.

È integrato, sia nell’equipe multidisciplinare con piena autonomia organizzativa e decisionale per la sfera di sua competenza, sia nel suo tempo e si pone come agente attivo nella società cui appartiene e in cui esercita.

Anzi, mi fermerei all’art. 1.

Gradirei un’attiva collaborazione di tutta la classe infermieristica nelle proposte atte all’elaborazione di uno strumento importantissimo e che dovrebbe essere condiviso, costruito e accettato dalla maggiore parte degli infermieri italiani.

Ringrazio per avermi dato la possibilità di esprimere il mio pensiero.

 

Alfonso Megna

Orgogliosamente infermiere.

 

Ringraziamo Alfonso per la puntulità e per l'interessante disamina e vi ricordiamo che potete inviare i vostri contributi a: [email protected]  , con una tua breve presentazione ed una foto o immagine generica correlata (facoltativa). Si accettano anche contributi in anonimato. In ogni caso vanno specificati: professione (es. studente, infermiere, coordinatore, ecc.), ambito di attività (es. Ambulatorio, SO, chirurgia, ecc.), Regione, anni di servizio. 

I contributi arrivati in Redazione saranno pubblicati.

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