Elsa Frogioni, infermiera, risponde alle cinque domande
Concluse le consultazioni sulla bozza del nuovo Codice Deontologico iniziate il 6 febbraio di quest’anno e terminate le modalità di modifica, la bozza che tutti conosciamo potrebbe essere il Nuovo Codice Deontologico della professione infermieristica, il cui termine “Codice” sembra portare in sé quelli che sono veri e propri enigmi da risolvere.
Oggi pubblichiamo le risposte alle "Cinque Domande per svelare gli enigmi" di
Elsa Frogioni Infermiera della regione Marche, con 37 anni di servizio, attiva nell’ambito dell’area critica. Laureata in Scienza della Formazione, ha acquisito diversi master di specializzazione, si occupa di formazione e sviluppo professionale, senza aver mai scalato la seppur esigua “carriera infermieristica”.
- La sublimazione della professione sembra concretizzarsi nell’articolo 1 della bozza del Codice deontologico: l’infermiere persegue l’ideale di servizio. Cosa si intende, secondo te, per "ideale di servizio"?
Nella bozza del “nuovo codice deontologico” presentato dalla FNIPASVI, gli infermieri desiderano vedere espressi chiaramente i fondamenti della professione infermieristica, all'opposto nel documento si articolano contenuti generici che sottendono a molteplici interpretazioni.
Uno tra tanti è proprio nella locuzione “l’infermiere persegue l’ideale di servizio….” sottolineata nel primo e secondo articolo. Per gli autori, sembra essere un concetto molto importante “ideale di servizio”, l’obiettivo principale che l’infermiere deve ricercare pedissequamente nello svolgimento del suo mandato professionale.
Lo sconcerto mi assale, quando si descrivono gli obiettivi, generalmente “l’ideale da perseguire” è la facile comprensibilità da parte di tutti. Come regola generale, se un qualsiasi obiettivo dichiarato, ha necessità di spiegazione, c’è qualcosa che non quadra, l’obiettivo è confuso, l’obiettivo è formulato in modo errato.
Questa qualità è inconfutabilmente carente “nell’ideale di servizio da perseguire”, dall’oscuro significato per me, come alla maggioranza dei colleghi.
Cercando di approfondire, valuto che la perifrasi in oggetto al primo impatto risulta antiquata, ancorata all’immagine di chiamata alla professione per vocazione che rimanda all’esercizio missionario di attività assistenziali infermieristiche. Un’idea dell’infermieristica come comunità regolata da una autorità rigida e gerarchica.
L’ideale di servizio è più congruente alla descrizione di regole ordinistiche religiose e/o militari, centra poco l’esercizio di una professione intellettuale che si evolve.
Allo stesso tempo sono fiduciosa, sicuramente dopo l’approvazione del nuovo Codice Deontologico, saranno pronti decine di convegni formativi ECM, con insigni relatori, presidenti e/o consiglieri di collegi professionali infermieristici, che con fiumi di parole e auliche metafore ci spiegheranno (a noi comuni professionisti), i reconditi significati sociologici etici e morali di questa speciale perifrasi : PERSEGUIRE L’IDEALE DI SERVIZIO.
Il bisogno formativo degli infermieri è (aimè!) secondo la visione della nostra dirigenza, intellighenzia infermieristica, sempre incolmabile su queste “inutili elucubrazioni mentali”.
- E se ti dicono che nell’ambito del “fine vita” il tuo "gesto assistenziale" è di fondamentale importanza, vuol dire che sei tenuto a...?
Nella nuova bozza 3 articoli specifici sul fine vita (capo IV artt. 26 – 27 – 28 -). In questo ambito, l’infermiere è chiamato a rispondere con le modalità più appropriate al bisogno di assistenza proveniente dalla persona coinvolta e dal suo contesto socio-relazionale. “Il gesto assistenziale”, richiamato all’art.26 probabilmente desidera enfatizzare il porre attenzione alla “comunicazione non verbale”, sempre implicita in ogni intervento assistenziale e che specialmente in questo contesto assume un significato preponderante.
Il “gesto” nel fine vita è relazione, trasmissione di contenuti e sostegno. Peccato che ancora una volta questa frase, inserita nell’ambito specifico della terminalità, sembra avere un significato misterioso, mi chiedo, esiste forse un “gesto assistenziale peculiare agli infermieri”, che deve essere approfondito e studiato? Dobbiamo essere formati per svolgere al meglio il “gesto assistenziale nel fine vita”?.
Prevedo (aimé!), che anche questo sarà un titolo di sicuro appeal per l’aggiornamento e impellente bisogno formativo della “ignorante” moltitudine dei professionisti infermieri.
- Ritieni che la bozza del Codice Deontologico sia “integrata nel suo tempo”? Al passo conuna professione infermieristica che chiede a gran voce il suo reale (quindi oltre la carta) riconoscimento.
Quando leggo nel primo articolo della bozza del “nuovo” codice deontologico ….”l’infermiere…. Persegue l’ideale di servizio. È integrato nel suo tempo e si pone come agente attivo….”; non so se ridere o piangere.
Il paradosso, l’incoerenza e l’antitesi, insieme coesistono, scontrandosi nella stessa asserzione. Nel primo articolo si manifesta l’anima antica e moderna della nostra professione, ho l’impressione che gli estensori del documento, si siano posti l’obbiettivo di riempire con auliche e ridondanti parole alcuni semplici concetti.
Il loro “sforzo”, appare come una produzione barocca, arcaica testimonianza della grande e superiore levatura intellettuale dei vertici della nostra professione.
Una novella oligarchia che sente il bisogno di attestare il proprio potere con l’emanazione di sibillini comandamenti per la professione infermieristica, adoperando una prosa stilistica troppo elaborata e confusionaria, solo pochi eletti, sapranno carpirne il significato.
Dio nella sua infinita saggezza, fortunatamente e completamente integrato nel tempo, ha disposto dieci comandamenti semplici e comprensibili per ogni comune mortale.
Gli infermieri italiani, non potrebbero imitare questo stile? Evidentemente no, siamo nati per soffrire.
- Ritieni che la bozza di Codice deontologico sarebbe facilmente comprensibile ai cittadini e in grado di fornire agli assistiti una rappresentazione chiara dell’identità professionale dell’infermiere?
Non mi dilungo oltre, credo di aver già risposto sopra. No, è un documento utile solo a chi l’ha scritto, favorisce il business formativo accreditato.
- Esprimi un parere complessivo sulla bozza del Codice Deontologico…
La base degli infermieri anche prima del 2009, anno della sua ufficiale promulgazione, ha chiesto l’abrogazione dell’articolo 49 dall’attuale codice deontologico; che prestandosi a convenienti manipolazioni delle organizzazioni sanitarie, costringe il professionista infermiere al demansionamento. L’infermiere deve sostituirsi eccezionalmente, alle varie figure sanitarie necessarie a seconda delle carenze gestionali.
Nel “nuovo codice” , non c’è traccia di parole come “compensazione di carenze….eccezionali…”, ma allo stesso tempo al Capo V L’organizzazione e funzione assistenziale, nei suoi 5 articoli descrive un soggetto professionale sempre in modalità collaborativa e propositiva che non rifiuta mai nulla, al massimo…..” propone soluzioni alternative e se necessario si avvale della clausola di coscienza”.
Ritorniamo al punto di partenza, il demansionamento esce dalla porta e rientra dalla finestra, le funzioni alberghiere, i traporti dei pazienti (non critici…), l’igiene e altre funzioni assistenziali di base, possono rientrare nella clausola di coscienza? Il dubbio mi assale, perché forse è proprio l’ideale di servizio da perseguire a prevedere che l’infermiere debba svolgere la propria attività di tuttofare dell’assistenza?
Il nuovo codice deontologico, è carente nella sua autorevolezza. Soffre di una sudditanza psicologica, ha paura di avvalersi del proprio gergo e vocabolario professionale, ma cerca di arricchirlo e integrarlo a quello di altre discipline umanistiche.
Espliciti i riferimenti alla branca sociologica che studia l’evoluzione delle professioni. La nuova stesura sembra sposare le tesi di Talcott Parson (sociologo statunitense 1902 -1970) cheprodusse una teoria generale per l'analisi della società chiamata "struttural-funzionalista"; derivata dall'antropologia culturale e all'etnologia formulate da eminenti sociologi quali Durkheim e Weber.
In questa visione, le professione sono attività lavorative basate su due caratteristiche strettamente collegate: applicano un corpo sistematico di conoscenze/competenze teoriche e scientifiche; che sono intrinsecamente collegate a valori a cui la comunità fa riferimento.
Le professioni sono di vitale importanza per lo sviluppo delle collettività e la loro funzione sociale ha determinato la necessità di realizzare una supervisione, controllo sociale, assicurato appunto dall’orientamento della deontologia professionale.
Storicamente in Italia le professioni hanno avuto un assetto neo-corporativistico, dove convivono: la certificazione pubblica con la relativa istituzione dell’ordine professionale con il proprio albo e un codice etico fondante per lo spirito di corpo. Le regole variano per i gruppi professionali ma generalmente condividono finalità comuni:
- La valorizzazione della specificità professionale, mediante la creazione del paradigma ideale del professionista.
- La riduzione dei conflitti con la definizione dei processi e dinamiche intra/multiprofessionali e sociali.
L’impianto del nuovo codice sembra fallire, entrambi gli scopi restano confusi.
Erano possibili scelte diverse, chiedere in primis la fattiva collaborazione dei collegi provinciali, che a loro volta per l’elaborazione del nuovo documento, avrebbero dovuto promuovere il maggior coinvolgimento possibile di tutti i professionisti. Un’altra opportunità mancata di crescita e condivisione per l’intera collettività professionale infermieristica italiana.
Se ancora all’interno della nostra categoria le nostre più alte rappresentanze non ci ritengono adeguatamente preparati e formati per discutere ed analizzare le nostre originalità professionali, siamo destinati a restare disintegrati e disgregati “nel tempo che viviamo”.
Aderisci anche tu e manda un apporto alla riflessione, puoi farlo rispondendo a cinque semplici domande (Scarica il file).
Invia il tuo contributo a [email protected] con una tua breve presentazione ed una foto o immagine generica correlata (facoltativa). Si accettano anche contributi in anonimato. In ogni caso vanno specificati: professione (es. studente, infermiere, coordinatore, ecc.), ambito di attività (es. Ambulatorio, SO, chirurgia, ecc.), Regione, anni di servizio.
I contributi che perverranno in Redazione saranno pubblicati.