Iscriviti alla newsletter

Elsa Frogioni, infermiera, risponde alle cinque domande

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 25/06/2017 vai ai commenti

Articolo 49 e DemansionamentoCinque Domande

 Concluse le consultazioni sulla bozza del nuovo Codice Deontologico iniziate il 6 febbraio di quest’anno e terminate le modalità di modifica, la bozza che tutti conosciamo potrebbe essere il Nuovo Codice Deontologico della  professione infermieristica, il cui termine “Codice” sembra  portare in sé quelli che sono veri e propri  enigmi da risolvere.   

bozza codice deontologico.pdf

Oggi pubblichiamo le risposte alle "Cinque Domande per svelare gli enigmi" di

Elsa Frogioni Infermiera della regione Marche, con 37 anni di servizio, attiva nell’ambito dell’area critica. Laureata  in Scienza della Formazione, ha acquisito diversi master di specializzazione, si occupa di formazione e sviluppo professionale, senza aver mai scalato la seppur esigua “carriera infermieristica”.

 

  1.   La  sublimazione  della  professione  sembra  concretizzarsi  nell’articolo  1  della  bozza  del   Codice  deontologico:  l’infermiere  persegue  l’ideale  di  servizio.  Cosa  si  intende,  secondo  te,  per "ideale  di  servizio"?

 

Nella bozza del “nuovo codice deontologico” presentato dalla FNIPASVI, gli infermieri  desiderano vedere espressi chiaramente i fondamenti della professione infermieristica, all'opposto nel documento si articolano contenuti generici che sottendono a molteplici interpretazioni.

Uno tra tanti è proprio nella locuzione “l’infermiere persegue l’ideale di servizio….” sottolineata nel primo e secondo articolo. Per gli autori, sembra essere un concetto molto importante “ideale di servizio”, l’obiettivo principale che l’infermiere deve ricercare pedissequamente nello svolgimento del suo mandato professionale. 

Lo sconcerto mi assale, quando si descrivono gli obiettivi, generalmente “l’ideale da perseguire” è la facile comprensibilità da parte di tutti. Come regola generale, se un qualsiasi obiettivo dichiarato, ha necessità di spiegazione, c’è qualcosa che non quadra, l’obiettivo è confuso, l’obiettivo è formulato in modo errato.

Questa qualità è inconfutabilmente carente “nell’ideale di servizio da perseguire”, dall’oscuro significato per me, come alla maggioranza dei colleghi.

Cercando di approfondire, valuto che la perifrasi in oggetto al primo impatto risulta antiquata, ancorata all’immagine di chiamata alla professione per vocazione che rimanda all’esercizio missionario di attività assistenziali infermieristiche.  Un’idea dell’infermieristica come comunità regolata da una autorità rigida e gerarchica.

L’ideale di servizio è più congruente alla descrizione di regole ordinistiche religiose e/o militari, centra poco l’esercizio di una professione intellettuale che si evolve.

Allo stesso tempo sono fiduciosa, sicuramente dopo l’approvazione del nuovo Codice Deontologico, saranno pronti decine di convegni formativi ECM, con insigni relatori, presidenti e/o consiglieri di collegi professionali infermieristici, che con fiumi di parole e auliche metafore ci spiegheranno (a noi comuni professionisti), i reconditi significati sociologici etici e morali di questa speciale perifrasi : PERSEGUIRE L’IDEALE DI SERVIZIO.

Il bisogno formativo degli infermieri è (aimè!) secondo la visione della nostra dirigenza, intellighenzia infermieristica, sempre incolmabile su queste “inutili elucubrazioni mentali”.

 

  1.   E  se  ti  dicono  che  nell’ambito  del  “fine  vita”  il  tuo  "gesto  assistenziale"  è  di  fondamentale importanza,  vuol  dire  che  sei  tenuto  a...?  

    

Nella nuova bozza 3 articoli specifici sul fine vita  (capo IV artt. 26 – 27 – 28 -). In questo ambito,   l’infermiere è chiamato a rispondere con le modalità più appropriate al bisogno di assistenza proveniente  dalla persona coinvolta e dal suo contesto socio-relazionale. “Il gesto assistenziale”, richiamato all’art.26 probabilmente desidera enfatizzare il porre attenzione alla “comunicazione non verbale”, sempre implicita in ogni intervento assistenziale e che specialmente in questo contesto assume un significato preponderante.

Il “gesto” nel fine vita è relazione, trasmissione di contenuti e sostegno. Peccato che ancora una volta questa frase, inserita nell’ambito specifico della terminalità, sembra avere un significato misterioso, mi chiedo, esiste forse un “gesto assistenziale peculiare agli infermieri”, che deve essere approfondito e studiato? Dobbiamo essere formati per svolgere al meglio il gesto assistenziale nel fine vita”?.

Prevedo (aimé!), che anche questo sarà un titolo di sicuro appeal per l’aggiornamento e impellente  bisogno formativo della “ignorante” moltitudine dei professionisti infermieri.

 

  1.   Ritieni  che  la  bozza  del  Codice  Deontologico  sia  “integrata  nel  suo  tempo”?  Al  passo  conuna  professione  infermieristica  che  chiede  a  gran  voce  il  suo  reale  (quindi  oltre  la  carta)   riconoscimento.

 

Quando leggo nel primo articolo della  bozza del “nuovo” codice deontologico ….”l’infermiere…. Persegue l’ideale di servizio. È integrato nel suo tempo e si pone come agente attivo….”; non so se ridere o piangere.

Il paradosso, l’incoerenza e l’antitesi, insieme coesistono, scontrandosi nella stessa asserzione. Nel primo articolo si manifesta l’anima antica e moderna della nostra professione, ho l’impressione che gli estensori del documento, si siano posti l’obbiettivo di riempire con auliche e ridondanti parole alcuni semplici concetti.

Il loro “sforzo”, appare come una produzione barocca, arcaica testimonianza della grande e superiore levatura intellettuale dei vertici della nostra professione.

Una novella oligarchia che sente il bisogno di attestare  il proprio potere con l’emanazione  di sibillini comandamenti per la professione infermieristica, adoperando una prosa stilistica troppo elaborata e confusionaria, solo pochi eletti, sapranno carpirne il significato. 

Dio nella sua infinita saggezza, fortunatamente e completamente integrato nel tempo, ha disposto dieci comandamenti semplici e comprensibili per ogni comune mortale.

Gli infermieri italiani, non potrebbero imitare questo stile? Evidentemente no, siamo nati per soffrire.

 

  1.   Ritieni  che  la  bozza  di  Codice  deontologico  sarebbe  facilmente  comprensibile  ai  cittadini  e in  grado  di  fornire  agli  assistiti  una  rappresentazione  chiara  dell’identità  professionale   dell’infermiere?

 

Non mi dilungo oltre, credo di aver già risposto sopra. No, è un documento utile solo a chi l’ha scritto, favorisce il business formativo accreditato.

 

  1.   Esprimi  un  parere  complessivo  sulla  bozza  del  Codice  Deontologico…

 

La base degli infermieri  anche prima del 2009, anno della sua ufficiale promulgazione, ha chiesto l’abrogazione dell’articolo 49 dall’attuale codice deontologico; che  prestandosi a convenienti manipolazioni delle organizzazioni sanitarie, costringe il professionista infermiere al demansionamento.  L’infermiere deve sostituirsi eccezionalmente, alle varie figure sanitarie necessarie a seconda delle carenze gestionali.

Nel “nuovo codice” , non c’è traccia di parole come “compensazione di carenze….eccezionali…”, ma allo stesso tempo al Capo V L’organizzazione e funzione assistenziale, nei suoi 5 articoli descrive un soggetto professionale sempre in modalità collaborativa e propositiva che non rifiuta mai nulla, al massimo…..” propone soluzioni alternative e se necessario si avvale della clausola di coscienza”.

Ritorniamo al punto di partenza, il demansionamento esce dalla porta e rientra dalla finestra, le funzioni alberghiere, i traporti dei pazienti (non critici…), l’igiene e altre funzioni assistenziali di base, possono rientrare nella clausola di coscienza? Il dubbio mi assale, perché forse è proprio l’ideale di servizio da perseguire a prevedere che l’infermiere debba svolgere la propria attività di tuttofare dell’assistenza?

Il nuovo codice deontologico, è carente nella sua autorevolezza. Soffre di una sudditanza psicologica, ha paura di avvalersi del proprio gergo e vocabolario professionale, ma cerca di arricchirlo e integrarlo a quello di altre discipline umanistiche.

Espliciti i riferimenti alla branca sociologica che studia l’evoluzione delle professioni. La nuova stesura sembra sposare le tesi di Talcott Parson (sociologo statunitense 1902 -1970) cheprodusse una teoria generale per l'analisi della società chiamata "struttural-funzionalista"; derivata dall'antropologia culturale e all'etnologia formulate da eminenti sociologi quali Durkheim e Weber.

In questa visione, le professione sono  attività lavorative basate su due caratteristiche strettamente collegate: applicano un corpo sistematico di conoscenze/competenze teoriche e scientifiche; che sono intrinsecamente collegate a valori a cui la comunità fa riferimento.

Le professioni sono di vitale importanza per lo sviluppo delle collettività e la loro funzione sociale ha determinato la necessità di realizzare una supervisione, controllo sociale, assicurato appunto dall’orientamento della deontologia professionale.

Storicamente in Italia le  professioni  hanno avuto un assetto neo-corporativistico, dove convivono: la certificazione pubblica con la relativa istituzione dell’ordine professionale con il proprio albo e un codice etico fondante per lo spirito di corpo. Le regole variano per i gruppi professionali ma generalmente condividono finalità comuni:

  • La valorizzazione della specificità professionale, mediante la creazione del paradigma ideale del professionista.
  • La riduzione dei conflitti con la definizione dei processi e dinamiche intra/multiprofessionali e sociali.

L’impianto del nuovo codice sembra fallire, entrambi gli scopi restano confusi.

Erano possibili scelte diverse, chiedere in primis la fattiva collaborazione dei collegi provinciali, che a loro volta per l’elaborazione del nuovo documento, avrebbero dovuto promuovere il maggior coinvolgimento possibile di tutti i professionisti. Un’altra opportunità mancata di crescita e condivisione per l’intera  collettività professionale infermieristica italiana.

Se ancora all’interno della nostra categoria le nostre più alte rappresentanze non ci ritengono adeguatamente preparati e formati per discutere ed analizzare le nostre originalità professionali, siamo destinati a restare disintegrati e disgregati “nel tempo che viviamo”.

 

Aderisci anche tu e manda un apporto alla riflessione, puoi farlo rispondendo a cinque semplici domande (Scarica il file).

Invia il tuo contributo a  [email protected] con una tua breve presentazione ed una foto o immagine generica correlata (facoltativa). Si accettano anche contributi in anonimato. In ogni caso vanno specificati: professione (es. studente, infermiere, coordinatore, ecc.), ambito di attività (es. Ambulatorio, SO, chirurgia, ecc.), Regione, anni di servizio.

I contributi che perverranno in Redazione saranno pubblicati.