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Sanità Sardegna: un triste racconto mette a nudo tutte le inefficienze

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 16/09/2017 vai ai commenti

NurSind dal territorioSardegna

Non c'è pace per la sanità in Sardegna e non c'è pace per il Servizio Sanitario Regionale e la sua profonda trasformazione che al di là della buona volontà e dei buoni intenti, continua a manifestare tutte le sue inefficienze e carenze.

L'ultimo caso è quello denunciato dalla signora Cristina Goddi di Torpè che ha voluto affidare alla penna di Silvia Sanna de La Nuova Sardegna, il drammatico racconto della sua triste esperienza.

La diagnosi di cancro fatta all'ospedale di Nuoro, sembrava non lasciare spazio alla vita di sua madre e nemmeno alla speranza. Il tumore al polmone al IV stadio metastatico non lasciava dubbi ai medici ma non ha incrinato la speranza di Cristina e della mamma Maria Carroni di anni 60 che hanno deciso di rivolgersi all'ospedale Besta di Milano dove la metastasi cerebrale trovava ampi margini di operabilità. Non ha perso ulteriore tempo Cristina e così la mamma si è sottoposta al delicato intervento proposto dal neurochirurgo, perfettamente riuscito.

Trascorsa la degenza necessaria è arrivato il momento del rientro in Sardegna e da questo momento in poi, il calvario cominciato a Nuoro, ha ripreso esattamente da dove era stato per fortuna interrotto.

E così, la semplice prescrizione di ossigeno a domicilio si trasforma nel peggiore degli incubi. Da Milano raccomandano ai colleghi di Nuoro l'osservanza di tutte le disposizioni ma a Nuoro, la prescrizione dell'ossigeno parrebbe passare solo da una visita e da un certificato. Una procedura inviolabile, impossibile da scavalcare e di difficile attuazione se non attraverso una visita presso le strutture ospedaliere, stando al racconto della signora. C'è da chiedersi come sia possibile che in un caso del genere, la prescrizione non sia disposta dal medico di base su indicazione degli specialisti, come normalmente avviene.

Di fatto, per entrare all'ospedale si è costretti a passare dal pronto soccorso e non trattandosi di un'emergenza, la signora Maria ha dovuto subire il trattamento riservato a chiunque si veda assegnato un codice di ovvia, bassa priorità. Cinque ore in pronto soccorso prima di trovare un posto letto hanno trasformato la giornata in un purgatorio tramutatosi in inferno quando alla signora viene assegnato un posto letto libero in malattie infettive. Solo un'accorata protesta ha consentito alla signora di passare la notte in un altro reparto meno pericoloso, maschile, con la beffa che per ottenere la prescrizione di ossigenoterapia domiciliare, il mattino dopo, la signora non sarebbe stata nemmeno visitata.

La risonanza prescritta da Milano ad un mese dall'intervento ha trovato spazi liberi nelle agende del cup a maggio 2018 salvo pagare qualche centinaio di euro per lo stesso esame in regime di intramoenia, per il qual caso, il posto era immediatamente prenotabile a piacimento.

L'assistenza agli ammalati e ai fondi previsti dalle norme regionali dipende dalla pubblicazione di un bando e non dalla condizione attuale, così le famiglie si trovano a dover fare rinunce incomprensibili per garantire l'assistenza ai propri cari, come quella di essere moglie nel caso di Cristina che sposata, non può vivere una serena vita coniugale a causa della totale dedizione che deve alle necessità della madre, inchiodata in un letto e impossibilitata a ricevere l'assistenza di una badante che senza contributi, non può permettersi di assumere.

I permessi dal lavoro stanno per esaurirsi e se Cristina non rientrerà in servizio perderà il posto; il suo rientro significherà la perdita di assistenza continua alla madre.

Ritengo che uno stato non possa mettere le famiglie di fronte a scelte come queste, tanto più se le soluzioni esistono, ingessate da regolamenti e burocrazia che se in un caso servono alla tutela del diritto di tutti, rischiano di trasformarsi nella tomba dei diritti di altri; a poco valgono le scuse della direzione di Nuoro e le spiegazioni che assomigliano più ad una arrampicata sugli specchi. Quello che si contesta è la totale mancanza di presa in carico, la possibilità di fare riferimento a percorsi assistenziali e diagnostici certi che, è dimostrato, solo la presenza di care giver può assicurare.

 

Per questo ho sempre sostenuto che la riforma del Servizio Sanitario Regionale dovesse cominciare dal territorio, li dove si consumano drammi come quelli testimoniati dalla signora Cristina, li dove l'organizzazione dell'assistenza sarebbe la cura da cavallo necessaria per evitare che la sanità continui a svilupparsi solo ed esclusivamente intorno agli ospedali. E il tema degli ospedali infatti, della loro classificazione, della loro organizzazione interna con la chiusura di servizi e della loro "messa in rete", continua ad essere il solo unico grande discorso che tiene banco nell'agenda politica. Non sorprende allora che la riorganizzazione della rete ospedaliera liquidata dalla commissione sanità il 5 agosto, non sia ancora arrivata in aula per la discussione e approvazione definitiva. Sono tanti, troppi infatti i problemi legati alla forte caratterizzazione territoriale del tema che costringe i sindaci e gli amministratori a fare la voce grossa e i consiglieri regionali ai giochi di prestigio per trovare la migliore formula possibile per smarcarsi da un provvedimento, riconosciuto universalmente come impopolare ma necessario alla sopravvivenza della giunta regionale stessa.

 

Anche perché il super manager Moirano, a capo dell'azienda unica regionale, causa di altrettanti passati mal di pancia, ha suonato a morto le campane, facendo intendere che i ritardi legati all'approvazione della rete ospedaliera si tramutano in risparmi pari a zero anche per l'anno in corso, con un disavanzo da recuperare che ha raggiunto la mostruosa quota di 770 milioni di euro. Cifra che per esempio, non ha portato a più miti consigli riguardo il bando milionario dell'elisoccorso e alla rinuncia ai risparmi legati alla possibilità di estendere la convenzione in atto con i vigili del fuoco.

 

Nel frattempo, la ministra Lorenzin in visita a La Maddalena ha definitivamente cancellato le scritte di speranza dalle pance delle mamme della famosa protesta, ribadendo che il punto nascita chiude e ancora, mentre a Muravera, l'inattuabilità di un cesareo d'urgenza, avrebbe provocato l'impossibilità di salvare la creatura di sette mesi che portava in grembo una giovane donna, costretta ad un trasferimento d'urgenza verso l'ospedale di Cagliari, rivelatosi fatale.

 

Il tempo scorre inesorabile e l'orologio della sanità sarda continua a segnare un'ora buia.

 

Andrea Tirotto