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Artrite reumatoide: a rischio le infermiere. La capacità lavorativa cala del 50 per cento in 10 anni

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 19/09/2017 vai ai commenti

Studi e analisi

 

L’artrite reumatoide, la malattia che ti “leva le mani”, colpisce maggiormente le infermiere. A rivelarlo uno studio svedese che ha dimostrato come per alcuni soggetti, se già predisposti alla malattia, svolgendo determinate professioni, possono incorrere in un rischio maggiore di sviluppare la patologia.

(Da Medical control33 e QS)

Nello specifico, sono colpiti gli uomini che lavorano nel settore manifatturiero e le donne che svolgono la professione infermieristica.

Lo studio, pubblicato recentemente su su Arthritis Care & Research dal Karolinska Institutet di Stoccolma, ha messo a confronto i dati relativi a più di 3.500 malati di artrite reumatoide con gli altri 5.500 individui sani.

I ricercatori hanno valutato fattori di rischio genetici, ambientali ed immunologici, a cui questi erano stati esposti in un lasso di tempo che va dal 1996 al 2014.

I più colpiti, gli individui che nella loro vita hanno svolto professioni che richiedevano il compimento di movimenti ripetitivi e quelli esposti a sostanze volatili nocive, queste ultime interverrebbero sul sistema immunitario, causando la reazione dannosa.

 

Una malattia che non perdona l’artrite reumatoide, che oggi colpisce 400.000 persone, di cui il 75% donne.

Una patologia particolarmente invalidante, tanto che la capacità lavorativa di chi ne è colpito, cala del 33% nel primo anno di insorgenza e del 50% in dieci anni; 39 giorni lavorativi persi per ogni paziente in un anno ed 11 mila euro di perdita stimata, dovuta a permessi, ritardi a lavoro e presenteismo.

E’ quanto emerso dal convegno “Artrite reumatoide, migliorare le aspettative di vita, insieme si può”, svoltosi oggi a Roma.

Focus del congresso, quello di individuare la strategia migliore per garantire una migliore qualità di vita ai pazienti.

Tre i principi fondamentali in questo senso:

  • diagnosi precoce

  • presa in carico

  • terapia mirata.

E’ necessario attivare una strategia a lungo termine che preveda non solo una sostenibilità economica data da terapie appropriate, ma anche lo sviluppo di una rete territoriale che metta insieme strutture di primo, secondo, terzo livello ed i Pdta che rappresentano gli strumenti più idonei.

Ed infine, sottolinea Silvia Tonolo, presidente Anmar, come sarebbe utile la creazione di un Fondo ad hoc, che supporti il Piano nazionale delle cronicità, che si autofinanzi con i risparmi ottenuti da cure più puntuali, che possano rallentare il decorso della malattia.

 

Ph credit: lamedicinaestetica, medical.it