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L'infermiere e la Psico-oncologia. Quando la comunicazione è il motore dell'assitenza. Intervista alla Psiconcologa Laura Cardi

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 28/09/2017 vai ai commenti

Le interviste

 

Quante volte, vi siete trovati a “non sapere cosa dire” di fronte ad un paziente che vive il dramma del Cancro? Quante volte vi siete sentiti dire durante la vostra carriera universitaria di “mantenere il distacco emotivo” dal paziente.

La relazione con il paziente cronico è una delle cose più difficili da affrontare e non può essere improvvisata. Paradossalmente nei piani di studio non ve n’è quasi traccia.

Abbiamo quindi intervistato

la Dottoressa Laura Cardi, Psicologa Psicoterapeuta, Psiconcologa libero professionista.Formata in Psicoanalisi e Gruppoanalisi e specializzata in Psico-Oncologia; lavora in Oncologia dal 2009. Docente e Responsabile Scientifico in Psico-Oncologia per corsi di formazione, ECM e Istituti di Psicoterapia.

Con puntualità e competenza ci ha illustrato questo aspetto dell’assistenza, come approfondirlo e farne un punto di forza, a beneficio del paziente e dell’operatore sanitario.

  

 

Dottoressa Cardi, lei si occupa di Psico-oncologia, una disciplina volta ad occuparsi del disagio psicologico che accompagna la malattia neoplastica. Quando nasce e si sviluppa questa disciplina in Italia? E’ oggi annoverata tra le scienze mediche o fa fatica ad essere riconosciuta come tale?

Ricevere una diagnosi di cancro è un evento traumatico. Oggi si ha la consapevolezza che il tumore non è solo una malattia organica ma ha un fortissimo impatto psicologico, ha risvolti sui rapporti interpersonali e sociali e sui valori individuali e spirituali della persona e della sua famiglia. Comprendere quanto il paziente vive e riconoscere la componente psicologica è un nodo fondamentale per supportarlo e garantirgli una migliore qualità di vita. Ed è questo il seme da cui nasce una figura specialistica come lo Psiconcologo.

 

La Psico-Oncologia ha radici nella New York degli anni ‘50, al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center. E’ cresciuta, attraversando l’Europa e poi l’Italia nel 1980 che ha seguito le tracce dei paesi-guida, realizzando il primo servizio di psicologia a Genova e la SIPO (Società Italiana di Psicologia Oncologica). Trovando anche riconoscimento nel Servizio Sanitario Nazionale, grazie a una rinnovata sensibilità rispetto al “prendersi cura”.

Sentiamo parlare di umanizzazione delle cure e di integrazione tra medicina e psicologia come la base della medicina centrata sul paziente (patient centered medicine), in questo la Psiconcologia sta estremamente avanti ma fatica ad arrivare al cittadino, sia per la carenza di strutture predisposte sia per una mancanza di sensibilità psicologica.

 

Lei parla di En- pathos, può spiegarci cosa intende con questo termine e quanto la figura dell’infermiere sia centrale in questa relazione?

Si riferisce al termine greco empatheia (empatia), dall’unione di en “dentro” e pathos “sofferenza, sentimento”, letteralmente "dentro la sofferenza". L’ho usato come titolo del workshop che partirà il 15 Ottobre p.v. per rappresentare la situazione e i vissuti che quotidianamente l’infermiere si trova ad affrontare. Perché l'infermiere è senza dubbio la figura più vicina al paziente, quella che si immerge in termini di tempo speso, di assistenza e di carico emotivo nella relazione d'aiuto. E questo lo fa contando solo sulle sue capacità personali, senza cioè aver ricevuto una preparazione psicologica e delle conoscenze formali, all’interno del corso di laurea e della pratica clinica, per rispondere ai bisogni psicosociali del malato ma anche per “proteggersi” e prendersi cura di sé, evitando il rischio del Burn-out.

 

All’Università ci hanno impartito mille lezioni sul come si debba “tenere un certo distacco” dal paziente, l’En-Pathos ribalta totalmente questa teoria?

L’empatia è stata per molti anni ostacolata a vantaggio di una più professionale “preoccupazione distaccata”. In realtà, la letteratura internazionale ci conferma che l’alta qualità di cura si correla positivamente ad un atteggiamento empatico del personale sanitario in particolare quando la sofferenza emotiva diventa molto intensa, come nel caso dell’Oncologia.

Il che significa, rispecchiare l’esperienza dell’altro, NON vivere la sua esperienza ma comprenderla e comunicargli questa nostra comprensione.

Gli effetti positivi prodotti dall’associazione empatia-buone doti comunicative sono oggi noti in termini di soddisfazione per le cure ricevute, riduzione di controversie medico-legali, migliore aderenza alle terapie, diminuzione del burn-out e di distress per l’equipé oncologica. En Pathos non solo ribalta questa visione ma ci sta dicendo che è il fattore più potente nell’apportare una trasformazione.

 

Lei pensa che l’approccio relazionale con un paziente oncologico valga per tutti i pazienti che soffrono di patologie croniche, come i pazienti sottoposti a dialisi per esempio?

Nelle situazioni di cronicità l’aspetto relazionale è pregnante. Nel caso delle persone in trattamento emodialitico la dipendenza è fortissima, l’assistenza è continua e a lungo termine e il paziente sperimenta una costante situazione emotiva di ansia e preoccupazione. Una buona qualità della relazione d’aiuto con i sanitari potrebbe diminuire significativamente il disagio psicologico.

 

Naturalmente la “relazione” non si può improvvisare, io stessa da infermiera spesso mi sono trovata a “non saper cosa dire” ad un paziente che porta con sé il dolore psicologico della cronicità della sua malattia. L’infermiere che voglia approfondire questo aspetto, trascurato dalle università, a chi può rivolgersi?

Gli infermieri sono a contatto con la sofferenza, con le perdite, con la morte, ogni giorno tutti i giorni. Una via seguita da chi non sa come “soffrire” il dolore a cui è costantemente esposto è quello di sentirsi terribilmente angosciati, che può tradursi in quel “non sapere cosa dire” o anche in una lieve forma di alessitimia, cioè in una difficoltà a trovare le parole per esprimere e distinguere gli stati affettivi.

Ma la competenza comunicativa così come l’empatia e l’ascolto non sono abilità innate ma sono strumenti che vanno insegnati, perché possono essere appresi. Esistono linee guida, tecniche e corsi di formazione di provata efficacia che permettono di imparare a rispondere ai bisogni del paziente, a gestire le sue reazioni emotive e comportamentali, oltre che le proprie.

Il progetto “En-Pathos | La relazione infermiere-paziente oncologico” vuole essere proprio questo, un’opportunità didattica e di pratica per gli infermieri, in cui lo psiconcologo si pone fianco a fianco per aiutarli a costruire la migliore relazione possibile, in termini di comunicazione e condivisione. 

 

 

Ph copertina : dal web