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Cassazione: non è demansionamento nel pubblico impiego la revoca della posizione organizzativa

Elsa Frogionidi
Elsa Frogioni
Pubblicato il: 20/10/2017 vai ai commenti

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Con Ordinanza del 13 settembre 2017, n. 21261 la Corte Suprema di Cassazione sez. lavoro sancisce che nel pubblico impiego la revoca della posizione organizzativa non è un demansionamento, perché il suo conferimento non comporta l’inquadramento di una nuova categoria contrattuale.

Il fatto

Un dipendente del Comune di Pescia con inquadramento di ragioniere, nella categoria D4 quello massimo per il personale di comparto Regioni e Autonomie Locali; con mansioni di funzionario responsabile dell’Unita’ Operativa Segreteria e conferimento di Posizione Organizzativa. 

In data 04 aprile 2001 il Comune di Pescia sopprime questa unità operativa e al contempo il dipendente viene rimosso dall’incarico. Prima le sue principali attività erano: coordinamento di undici dipendenti, redazione di delibere da sottoporre all’approvazione della Giunta e del Consiglio comunale e di Det. Dirig., assistenza alle sedute consiliari, richiesta di finanziamenti agli istituti di credito, organizzazione dei servizi di portineria e centralino, servizi di notificazione,  servizio di ricezione dati dagli uffici elettorali di sezione durante le consultazioni elettorali, nonché all’organizzazione di cerimonie pubbliche del Comune in occasione di ricorrenze e festività.Successivamente il professionista benché adibito a funzioni di responsabile in altre unità operative (U.O. Servizi Tecnici, U.O. Servizi alla persona, U.O. Marketing), lamenta che la nuova collocazione professionale ha conseguenze negative sulla sua salute perché ravvisa un suo sostanziale demansionamento. Si rivolge quindi dal Giudice con richiesta di risarcimento a titolo di danno biologico derivante dall'emarginazione subita con il demansionamento.

Tribunali di primo e secondo grado

Il tribunale di Pistoia in primo grado accoglie la richiesta di risarcimento per demansionamento del dipendente e quantifica l’importo che dovrà versare il Comune di Pescia a titolo d’indennizzo in 55.000 euro, con l’ordinanza aggiuntiva di reintegrare il dipendente in mansioni equivalenti a quelle svolte fino al 04 aprile 2001.

Il Comune contro questa sentenza, ricorre in secondo grado alla Corte di Appello di Firenze, che con sentenza n.833/2011, in parziale accoglimento, riduceva la somma complessiva da risarcire ad euro 44.648,00 oltre agli interessi legali dall’aprile 2009 a saldo. Avverso a questa sentenza il Comune resiste in Cassazione, alla quale si oppone con controricorso anche il ragioniere del Comune.

Corte Suprema di Cassazione sez. lavoro n. 21261/17

Premesso che restando comunque salva l’ipotesi che la destinazione ad altre mansioni comporti il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa. Il caso in esame, tuttavia – giova rimarcare – esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi nella diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego (Cass. n. 11835 del 2009, n. 11405 del 2010, nonche’ Cass. n. 687 del 2014).

Il Decreto Legislativo n. 165 del 2001 disciplina interamente la materia delle mansioni all’articolo 52, e, al comma 1, ha sancito il diritto del dipendente ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi (testo anteriore alla sostituzione operata dal Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, articolo 62, comma 1).

Un concetto quello dell'equivalenza “formale” in ambito lavorativo, ancorato ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. e non sindacabile da parte del giudice; (Cass. n. 17396/11; Cass. n. 18283/10; Cass. sez.un. n. 8740/08; v. più recentemente, Cass. n. 7106 del 2014 e n. 12109 e n. 17214 del 2016). Nell’ambito del pubblico impiego tutte le mansioni riconducibili alla categoria di inquadramento sono equivalenti, con l’intervenuta soppressione dell’Unità Operativa Segreteria, al rag. (OMISSIS) era stata assegnata la direzione, in tempi diversi, dell’U.O. Servizi Tecnici, dell’U.O. Servizi alla Persona e dell’U.O. Marketing, tutte  attività professionalmente equivalenti. Dunque, non è ravvisabile alcuna violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52 qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni.

In tema di lavoro pubblico negli enti locali, il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l’inquadramento in una nuova categoria contrattuale ma unicamente l’attribuzione di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico. Ne consegue che la revoca di tale posizione non costituisce demansionamento e non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 2103 c.c. e del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 52. Trova applicazione il principio di turnazione degli incarichi, in forza del quale alla scadenza, il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico (Cass. n. 6367 del 2015).

Sentenza n.21261

La Corte Suprema cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese legali, alla Corte di appello di Firenze, il riesame della vicenda alla luce di tali principi.