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Mancanza di accessi vascolari nei pazienti. E' solo un problema Infermieristico?

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La Redazione
Pubblicato il: 26/01/2018 vai ai commenti

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Cominciamo col dire, che purtroppo spesso è un problema del paziente, perché il patrimonio venoso è un suo bene,  messo a disposizione degli altri (medico, infermiere) e che se è da  tutelare di prassi, laddove è  scarso o carente,  va centellinato e risparmiato, mettendo in campo tutte quelle azioni che le conoscenze tecniche  e  scientifiche,  ci permettono di compiere,  per  reperire accessi venosi vascolari, diversi dalle solite vene superficiali degli arti superiori.

Quanti medici ed infermieri, prima di un infusione, si chiedono quanto è il PH o la Osmolarità del farmaco da infondere e per quanto tempo  dovrà essere infuso? E se esso è vescicante o irritante?

Ricordiamo che  i valori del PH dei  farmaci che non possono essere infusi per vena periferica è: < 5 (sotto 5) e > 9 (sopra 9);

mentre il valore dell’ Osmolarità dei farmaci che non possono essere infusi per vena periferica è:  > 600 mOsm/L (come da linee guida sugli accessi vascolari pubblicate dalla GAVeCeLT: gruppo di studio sugli accessi venosi centrali a lungo termine).

Il vissuto quotidiano, dice  che il medico prescriva farmaci, senza preoccuparsi se il paziente abbia vene complianti o se addirittura le abbia. Per cui capita, che si  generino sovente, patemi d’ animo negli infermieri, alla ricerca disperata di un accesso venoso, attraverso cui infondere, semmai, farmaci pure salvavita.

Dopo  trentamila tentativi senza esito, ai patemi, si aggiungono anche le ansie degli infermeri, per la delicata condizione clinica instabile del paziente e l’ultima spiaggia, è rappresentata dall’ anestesista, visto come il messia, dotato di poteri taumaturgici, che arriva,  compie il miracolo (purtroppo non sempre!), va via ma poco dopo, peccato che venga richiamato, perché l’accesso capillare appena reperito, è stato perso!!

Chiedo,  ai medici di aprirsi alle nuove conoscenze e tecniche in ambito di accessi vascolari e se mai, di frequentare anche  qualche corso sull’ argomento, che non farebbe male,  perchè il rispetto delle Linee Guida sugli accessi vacolari, ce lo chiedono soprattutto  i pazienti ma anche   la nuova legge Gelli-Bianco dell’ 8 marzo 2017 n. 24,  prevedendo all’ articolo 6,   che qualora l’evento dannoso si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali.

Dal punto di vista penale, la nuova legge Gelli-Bianco, significa che se si  arrecano  lesioni al paziente nella piena osservanza delle linee guida o delle buone pratiche, non si commette reato ma solo danno patrimoniale, quindi si risponde solo civilmente per colpa grave.

E nel caso in cui non si seguissero le linee guida o buone pratiche?

Ci troveremmo difronte ad una cattiva pratica più comunemente conosciuta come malpractice.  La malpractice sanitaria (altrimenti conosciuta

come malasanità) si verifica nel momento in cui un soggetto erogatore di servizio (azienda ospedaliera, medico, infermiere, ecc) – non rispettando

le linee guida minime per la assistenza specializzata – provoca danni o lesioni gravi e permanenti (o morte) al paziente.

In tal caso, si risponde non solo civilmente ma anche penalmente, commettendo un reato.

E’ finito il tempo dove le flebiti facevano parte dell’ agire professionale dell’ infermiere, possedendo, oggi, le conoscenze ed i mezzi per prevenirle.

Dicevamo all’ inizio, prima di infondere un farmaco, vanno controllati i PH ed osmolarità. Mettiamo che, nonostante  non siano rispettati PH ed osmolarità, il medico decida di infondere lo stesso e che si producano delle flebiti.

Chi risponde? Certamente, la prescrizione essendo un atto medico, non può essere elusa e disattesa dall’ infermiere ma sarà compito dell’ infermiere segnalare al medico e mettere per iscritto lo scostamento di questa prescrizione dalle linee guida e che nel caso di richiesta di risarcimento danno, per la legge Gelli-Bianco, il medico  risponderà penalmente oltre che civilmente, mentre sarà da valutare la posizione dell’ infermiere.

Basta a terapie farmacologiche ripetute più volte al giorno e che si protraggono per settimane in venuzze periferiche. Sono pochi ancora i medici, mentre tanti gli infermieri, sensibili al problema venoso dei pazienti, soprattutto in ambito pediatrico e geriatrico.

Dobbiamo registrare che mentre in ambito pediatrico l’ argomento desta molto interesse tra i  medici, evitando sofferenze inutili da venipunture periferiche difficili o impossibili, ai bambini, optando:  

  • per cateteri venosi centrali ad inserzione centrale;
  • per cateteri venosi centrali ad inserzione periferica (Picc);
  • per cannule periferiche più lunghe dei venflon,  tipo Midline e Minimidline.

In ambito geriatrico, il discorso cambia e di molto, poiché il patrimonio venoso è ritenuto inesauribile e sempre aggredibile con venflon periferici, come se gli anziani avessero la soglia del dolore molto più alta, perché con l’ aumento  degli anni, proprorzionalmente aumenta anche la soglia del dolore!

La maggior parte dei pazienti anziani sono pluripatologici e quasi sempre, richiedono una terapia continuativa endovenosa, per più di una settimana e  vi lascio immaginare il numero di venipunture che subiscono, al netto di quelle per i prelievi quotidiani!

Ricordo ai medici il giuramento di Ipppocrate  e che la sofferenza evitabile, è  da evitare a prescindere dall’ età!

Ci appelliamo all’ impegno dei medici “di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerà con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni proprio atto professionale”.