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Infermieri. Intervista a Marisa Cantarelli, madre del Modello Concettuale.

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 22/03/2018 vai ai commenti

Le interviste

 di Vincenzo Raucci, Caterina Riso

 

Marisa Cantarelli nasce a Milano il 3 luglio 1930, dove risiede tutt’ora. Consegue il diploma di Infermiera Professionale nel 1950 (presso la Scuola “E. Agnelli” della Croce Rossa di Torino) e di Assistente Sanitaria nel 1953 (presso la Croce Rossa di Roma). Dopo alcuni prestigiosi incarichi, sia a Roma che a Napoli, ritorna a Milano, nel 1955 in qualità di   Assistente Sanitaria presso il Consorzio Provinciale Antitubercolare.

Nel 1968, presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma consegue il Diploma di DAI (Dirigente dell’Assistenza Infermieristica) e l’anno dopo viene chiamata ad aprire con il ruolo di Direttrice didattica la Scuola per infermiere professionali dell’Ospedale di Magenta, dove apporterà le prime innovazioni sia sul piano della didattica, sia su quello tecnico pratico dell’assistenza infermieristica.

Avendo da sempre creduto nell’associazionismo, come fattore di sviluppo della professione, si confronta e aderisce alle realtà più prestigiose e rappresentative dell’epoca: diventa consigliera nazionale della CNAIOSS (Consociazione Nazionale delle Associazioni Infermiere e Infermieri e Altri Operatori Sanitario Sociali) e di seguito accetta la carica di Vicepresidente e Consigliera della CNAI (Consociazione Nazionale Infermiere e Infermieri) unica associazione professionale italiana componente dell’ICN (International Council of Nurses).

Nel 1979, su incarico della Regione Lombardia e in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, avvia la prestigiosa SUDI (Scuola Universitaria di Discipline Infermieristiche), ispirata al collaudato programma di studi di origine statunitense (all’interno della SUDI, l’attività di Cantarelli proseguirà ininterrottamente per un ventennio, fino al 1999).

In quegli anni avvio numerosi programmi di scambi culturali, stage, progetti di ricerca, con numerose università europee, oltre che con le altre due scuole italiane universitarie di discipline infermieristiche, ovvero l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma e l’Università Cattolica di Milano (sede di Roma).

L’impegno scientifico disciplinare di Cantarelli è stato copioso, costante e sempre ai massimi livelli, testimoniato da numerosissime pubblicazioni scientifiche e libri di testo, oltre che da una lunga carriera come docente universitaria sia presso l’Università degli Studi di Milano, sia presso l’Università Bocconi di Milano.

Suo il Modello Concettuale, unica esperienza di teorizzazione del Nursing in Italia, noto a numerosi studenti e infermieri italiani che prende il nome di “Modello delle Prestazioni Infermieristiche”.

Il 10 maggio 2013 l'Università degli Studi di Milano l'ha  proclamata Dottore magistrale ad honorem in Scienze infermieristiche e ostetriche con la seguente motivazione :”Per aver fondato la prima scuola di pensiero italiana della disciplina infermieristica elaborando e diffondendo la teoria sul soddisfacimento dei bisogni di assistenza infermieristica della persona e per aver sviluppato innovative ricerche ottenendo importanti  risultati scientifici, nella  pratica clinica,nell'insegnamento e nell'organizzazione. Con dedizione completa allo studio, alla didattica e alla ricerca ha perseguito il riconoscimento del settore scientifico disciplinare delle scienze infermieristiche aprendo nuove frontiere per il futuro della professione”.

 

Buongiorno, Professoressa Cantarelli e grazie per questa preziosa opportunità che ci sta offrendo. Il suo è un curriculum di tutto rispetto che pensiamo abbia pochi pari nel mondo infermieristico; nonostante tale prestigiosa evidenza, ha qualche rimpianto riguardo a ciò che avrebbe voluto fare e non ha fatto?

Questa domanda mi fa riflettere sul mio passato… devo dire che ho sempre cercato di vivere il presente, ovvero il preciso momento storico con i suoi problemi da risolvere.  Mi trovavo di fronte ad una certa situazione e pensavo a come poterla risolvere. Ricordo che una delle prime cose, tra quelle che mi hanno profondamente disturbata, da giovane diplomata, era quella di vedere che i pazienti venivano svegliati alle quattro del mattino per il rifacimento dei letti.
Per quale motivo? Perché gli infermieri facevano questo? Ancora più incredibile la risposta: “Perché si è sempre fatto così”! A quei tempi non avevo ancora il potere e l’esperienza per cambiare le cose, ma nei vent’anni a seguire, grazie a situazione e ruolo diversi, (ero direttrice della Scuola di Magenta e responsabile dell'organizzazione dei reparti scuola), sono riuscita in quella realtà, a far cambiare questa inutile consuetudine.

Ripercorrendo il mio passato le battaglie più importanti le individuo nella formazione e nell'organizzazione. Il passaggio della  formazione  in università è stata una grossa conquista ma  a quei tempi non tutta la professione condivideva  questa scelta e non ne intravedeva l'opportunità ragion per cui è stato un grosso impegno sia all'interno che all'esterno della professione. Vi era una legge in discussione che cambiava  alcuni aspetti dell'impianto universitario: e istituiva le lauree triennali e quinquennali: dovevamo inserirci era un' occasione da non perdere.

Un altro momento importante e costruttivo è stato quello di mettere in discussione il   'mansionario' si è lavorato per anni e da li è partita la nascita del Modello delle prestazioni infermieristiche.

Quindi venendo alla sua domanda ,nessun rimpianto. credo, chee le nuove generazioni debbano raccogliere il testimone e proseguire il lavoro.

 

 

La preparazione alla professione infermieristica in Europa non è uniforme. Cosa ne pensa della proposta di portare a quattro (o più) anni il percorso didattico universitario?

Domanda apparentemente semplice, ma che necessita di una risposta articolata. Partiamo dal presupposto che il nostro ingresso in università ,per quanto necessario, è stata una grossa vittoria,ci è costato un prezzo abbastanza alto da pagare. La professione non era ancora pronta per affrontare questa opportunità e il prezzo che abbiamo pagato è stato quello di entrare in una Facoltà ( quella di Medicina) senza docenti infermieri ( universitari) anzi, le cattedre erano tutte dei medici. Di più: i docenti medici, grazie all'ingresso di migliaia di nuovi immatricolati, sono aumentati di numero. In cambio di che cosa? Di un programma didattico non sufficientemente discusso e contrattato ai tempi: la facoltà di medicina ha un'impostazione biologica, poco rivolta all'uomo, alla persona, come dovrebbe essere il percorso formativo degli infermieri.

Oggi non ci serve discutere di corsi universitari di quattro anni, piuttosto è più importante richiedere un Dipartimento di Scienze   inferrnieristiche e quindi , docenti di formazione infermieristica.

Basta fare quattro conti:l'anno scorso abbiamo avuto 15000 laureati in infermieristica, moltiplicati per tre anni, fanno la bellezza di 45000 tasse annue pagate alle università.  Senza parlare dei corsi di laurea magistrale, dei dottorati di ricerca, dei numerosi master, sia di primo che di secondo livello… E in cambio? Solamente 15 professori (di prima, seconda e terza fascia) in tutto il territorio nazionale!

Rispetto ad estendere la durata a quattro anni, direi di fare molta attenzione e di riflettere su un particolare: siamo in università o no? La normativa universitaria prevede una laurea triennale ed una quinquennale (il tre più due o a ciclo unico) i master, i dottorati, e così via. Cosa c’entrano i quattro anni in tutto questo? Rischiamo di farci la scuola a parte come un tempo, che è ormai superato! Il rischio c’è, andremo a finire lì?

 

Negli ultimi vent'anni abbiamo assistito a profondi cambiamenti, nel mondo sanitario, in genere, e infermieristico, in particolare. Ma quanto è davvero cambiata l'idea della professione nella testa degli infermieri, secondo la sua impressione?

Prima di tutto direi che a livello nazionale è sicuramente aumentato il prestigio perché il solo fatto di essere formati in  università dà un prestigio diverso e su questo non ci piove…

Però era già cambiato nel tempo; ricordo di aver seguito, parecchi anni fa, un’indagine che aveva realizzato la Federazione Nazionale IPASVI, in occasione di un congresso, in cui analizzavano proprio l’immagine dell'infermiere e mi ero meravigliata dell’aspetto positivo che usciva, perché anch’io avevo qualche dubbio.

In fondo, se ci pensate, è logico… tutte le persone hanno avuto esperienza, diretta o indiretta, di cure ospedaliere o territoriali e gli infermieri, diciamocelo francamente, spesso lasciano un’ottima impressione del loro lavoro. Poi c’è sempre chi si trova bene o male, in un’esperienza con un professionista, in tutti i campi… e dobbiamo aggiungere anche che, fino a qualche tempo fa (purtroppo in alcuni contesti accade ancora oggi), l’infermiere svolgeva anche lavori non propri, quindi… Ci vuole del tempo perché l’immagine sociale di una professione cambi profondamente nella  testa delle persone,

 Ma io ho interpretato la sua domanda e le ho risposto pensando a come la professione infermieristica viene  recepita dalla società e lei invece voleva sapere ciò che ne pensa l'infermiere della propria professione. Secondo me ciò è legato al tipo di formazione ricevuta; se l'identità infermieristica è chiara,l'impressione è buona, se l'identità è confusa anche l'immagine  è altrettanto confusa. Ad esempio se uno studente di primo anno inserito per la prima volta in un reparto ospedaliero per il tirocinio, viene affidato a un Oss, perchè è l'Oss che fa le cure igieniche,quale identità sta costruendo?

 

Cosa è stato fatto, per la professione infermieristica, che non doveva essere fatto e cosa, invece, non è stato fatto che doveva essere fatto?

 

E' stato fatto molto e ne abbiamo parlato, si deve proseguire in quel percorso. A livello organizzativo sono stati raggiunti traguardi importanti, a livello formativo si devono rivedere i programmi di formazione e riprendere il discorso di assistenza. Il preparare un infermiere sempre più tecnico,super specializzato lo allontana dal suo specifico; deve essere ripreso il discorso di assistenza infermieristica e di disciplina infermieristica; se non si consolida il discorso disciplinare è inutile chiedere cattedre per una disciplina che arrischia di sparire.

Non è stato inoltre preso in considerazione un aspetto molto importante quello dei rapporti Università-Ospedale ( sede della formazione). Mi capita ancora adesso, parlando con gli studenti del primo anno,di trovarli pieni di entusiasmo,che puntualmente si ridimensiona fino a spegnersi nel terzo anno. Credo sia importante stabilire un canale comunicativo forte con gli infermieri che accolgono gli studenti e farli sentire parte di un processo creativo ed evolutivo.

 

Viviamo in un’epoca di cinismo e profondi egoismi. Cosa può fare la comunità infermieristica per contribuire a migliorare il mondo che lo circonda?.

Facendo l’infermiere bene.

Ma fare l'infermiere bene non significa solo possedere la conoscenza delle tecniche per prendersi cura delle persone assistite. Significa anche e sopratutto conoscere i concetti, i paradigmi che sottendono ad un modello concettuale. E 'importante,cioè, soffermarsi sul conoscere bene l'uomo che hai davanti, l'ambiente nel quale vive, e cosi via

E' appena uscita la terza edizione del Modello delle prestazioni infermiestiche nel quale riprendo in modo esteso i concetti fondamentali della disciplina infermieristica e propongo  nuovi strumenti che permettano allo studente di capirli,di leggerli e di applicarli, mi auguro che gli infermieri trovino nel testo un aiuto valido per la loro professione,

 

 

E riguardo l’infermiere di famiglia?

Mi ricollego a quanto appena detto. L'infermiere di famiglia è un professionista che risponde a  bisogni infermieristici di persone che vivono in un determinato ambiente. Anche qui è importante il concetto di persona e di ambiente.

 

Com’è possibile mettere insieme le tre teste di questo “cerbero infermiere”, ovvero quella dell’infermiere insegnante, dell’infermiere dirigente e dell’infermiere clinico? L’impressione che ha dato a noi questa figura con tre teste è che si sentano tre entità diverse tra loro.

 

Se hai una forte identità professionale questo problema non esiste: ti senti infermiere in tutti e tre i casi. Quando venivano da me alla Scuola Universitaria SUDI e mi dicevano “vengo per fare il manager”, io rispondevo “se volete fare il manager andate in Bocconi, non avete bisogno di stare qua, perché qui siete infermieri dirigenti, prima infermieri poi dirigenti”. Dirigere un servizio infermieristico presuppone prima di tutto conoscere in prima persona il lavoro svolto dagli infermieri.

Personalmente, nei ruoli e incarichi ricoperti nella mia vita professionale, ho sempre amato definirmi “infermiera”.

 

Per finire, un messaggio che vorrebbe trasmettere agli studenti dei Corsi di Laurea in Infermieristica del nostro Paese.

Che il loro entusiasmo iniziale non si perda, anzi! Se manterranno vivo l’entusiasmo iniziale riusciranno ad avere anche grosse soddisfazioni nel corso delle loro vita professionale. Quindi è fondamentale non mollare. Mai.