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Schede di valutazione pubblici dipendenti. La votazione negativa non è Mobbing. La sentenza del Tar

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 12/04/2019 vai ai commenti

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La redazione di una scheda valutativa che contiene giudizi peggiorativi rispetto allo stato di servizio precedente, non rientra tra i comportamenti mobbizzanti.

Lo ha stabilito il Tar del Lazio, Sezione I Bis, con la sentenza n. 3587/2019

I fatti

Il ricorrente, un appuntato dei Carabinieri, chiedeva il risarcimento per danni biologici e morali a seguito dell'illegittimo operato del datore di lavoro (mobbing), a seguito dell’esistenza di una condotta gravemente vessatoria e persecutoria, posta in essere dal Maresciallo Capo, concretizzatasi nella illegittima dequalificazione, con votazione peggiorativa.

La condotta gravemente ostile e persecutoria posta in essere dal suo superiore gerarchico si è caratterizzata da un susseguirsi di molteplici comportamenti vessatori e atteggiamenti di carattere ostruzionistico e oppressivo.

A causa delle ripetute provocazioni ed umiliazioni ricevute quotidianamente, anche in presenza dei colleghi, il ricorrente ha riscontrato una patologia di depressione e di stress che lo ha costretto ad assentarsi, per lunghi periodi di tempo, dal servizio per motivi di salute e per inabilità temporanea al lavoro.

 

Le motivazioni del Tar

Il ricorso è infondato, in merito al fatto che il superiore avesse redatto, in data 27.3.2011, una scheda valutativa relativa al servizio prestato dal medesimo ricorrente dal 23.5.2011 al 15.1.2011, del tutto negativa in cui ha attribuito allo stesso un giudizio insoddisfacente e peggiorativo delle note caratteriali precedenti e dello stato di servizio, il Tribunale ha affermato che le circostanze evidenziate da parte ricorrente, ai fini della configurazione del mobbing, riguardano sia atti di natura amministrativa.

Per quanto riguarda gli atti di gestione del rapporto di lavoro di natura amministrativa, il principale elemento segnalato riguarda la scheda valutativa, relativamente al servizio espletato dal 23.5.2010 al 15.01.2011, che attribuisce al ricorrente un giudizio negativo e peggiorativo rispetto a quello degli anni precedenti.

“Tale elemento, tuttavia, non può assurgere a dimostrazione dell’esistenza del mobbing, in quanto, rispetto allo stesso, non si palesano profili di abnormità o irragionevolezza, indice di intenti persecutori”

Per consolidato orientamento giurisprudenziale, “i giudizi analitici contenuti nei rapporti informativi sono espressione di ampia discrezionalità e possono variare di anno in anno senza che da tale circostanza possa desumersi un'illegittimità nelle valutazioni effettuate per il solo fatto che le stesse siano peggiorative rispetto al periodo precedente e ciò soprattutto con riferimento alle qualità professionali che ben possono essere collegate al diverso rendimento sul servizio svolto dal militare” (Tar Lazio Roma, sez. I bis, 25.07.2018, n. 8444; Cons. St., sez. IV, 8 novembre 2011, n. 5902; Tar Lazio Roma, sez. I bis, 24 novembre 2018, n. 11390).

Sempre rispetto agli atti amministrativi, si rileva come, al di là di tale valutazione negativa e degli stigmatizzati richiami, non sono mai stati presi provvedimenti sanzionatori nei confronti del ricorrente, che invece ben si sarebbero potuti inquadrare, come “sviluppo naturale”, nell’ambito vessatorio prospettato dal ricorrente.

Allo stesso tempo il Tar ricorda gli elementi che caratterizzano e definiscono il mobbing:

a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;

b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;

d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I Quater, 4 febbraio 2019, n. 1421).