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Come mettere d’accordo il diritto all’aborto con il diritto all’obiezione di coscienza?

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 02/09/2022 vai ai commenti

AttualitàLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

Innanzitutto un piccolo preambolo, a beneficio dei più distratti e/o dei meno informati.

La norma sull’aborto è del 1978 (legge 194 del 22 maggio 1978) e da allora alla donna è consentito, nei casi previsti, di poter ricorrere alla IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza).

Prima di quell’anno, l’IVG era considerata reato dal codice penale italiano, che lo puniva con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto che alla donna stessa.

Il clima in cui si è vissuto fino agli anni sessanta era quello di una scontata immoralità dell’aborto volontario, anche se una storica sentenza della Corte Costituzionale (la n. 27 del 18 febbraio 1975) fece da apripista al referendum abrogativo, poiché consentì il ricorso all’IVG per motivi gravi motivando che non era accettabile porre sullo stesso piano la salute della donna e la salute dell’embrione o del feto.

Con la diffusione del femminismo e un cambiamento della sensibilità morale, la legge sull’aborto in Italia e la legislazione proibitiva fu radicalmente modificata, anche a fronte dell’elevatissimo numero di aborti illegali, che causavano spesso complicazioni gravi ed un grande numero di morti.

Nella stessa legge, però, è contenuto il suo principale oppositore: l’articolo 9.

In questo articolo è contenuto il diritto all’obiezione di coscienza nel caso pervenisse una richiesta di IVG, infatti leggiamo che “Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione […]”.

Come mettere d’accordo, quindi, le due cose? Com’è possibile garantire alla donna ciò che la legge le consente e, nel contempo, tutelare il sanitario rispetto ai suoi problemi etici e morali?

Dando un’occhiata fuori dai nostri confini, constatiamo, ad esempio, che l’obiezione di coscienza è vietata in Svezia, Finlandia, Bulgaria e Repubblica Ceca.

Una scelta sicuramente radicale ma che, in quei Paesi, ha risolto il problema.

Non è, però, mia intenzione, con questo articolo, stigmatizzare l’obiezione di coscienza dei sanitari. Si tratta di una questione prettamente personale, da rispettare. Stigmatizzerei, invece, il fatto che la maggior parte degli ospedali si rifiuta di praticare l’IVG nonostante la legge sia chiara.

Infatti, sempre nel citato articolo 9, continuando nella sua lettura, apprendiamo che “[…] Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale […]”.

Ho chiesto un parere all’avvocato Domenico De Angelis e la cortesia di aiutarmi a dipanare questa intricata matassa.

Come possono, dal punto di vista giuridico, convivere, in una struttura sanitaria, sia il diritto all’aborto che il diritto all’obiezione di coscienza?

“Nel nostro Paese la legge 194, nel riconoscere il diritto all’aborto, ha in effetti contemplato l’obbligo per il SSN di garantire tale servizio e ciò per porre fine alle pratiche clandestine che mettevano a rischio la salute e la vita delle donne. La stessa legge, però, all’art. 9 riconosce il diritto all’obiezione di coscienza, per cui i professionisti impegnati nelle UO di ginecologia (siano essi medici, anestesisti o infermieri) possono chiedere di essere esonerati dalle “attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”.

Siamo infatti di fronte ad una estrinsecazione della libertà di coscienza, puntualmente fissata con una norma di legge. Si osservi ancora che in Italia si dichiarano obiettori di coscienza il 66% dei ginecologi, il 44,6% degli anestesisti ed il 36,2% di infermieri ed ostetriche.

Tale massiccia presenza di personale obiettore (dovuto all’altissima percentuale di cattolici), comunque non esime lo Stato dal garantire la pratica dell’aborto (nei limiti ed alle condizioni di cui alla L. 194).

Pertanto nell’eventualità di mancanza di operatori sanitari disposti all’esercizio dell’aborto, le aziende dovranno reperire altro personale non obiettore e per tale motivo sono stati dichiarati legittimi dalla giustizia amministrativa alcuni bandi di concorso diretti all’assunzione esclusivamente di ginecologi non obiettori.

La L. 194 dunque opera un contemperamento di tutti i diritti e gli interessi che possono venire in considerazione e costituisce un evidente emancipato strumento di gestione di tutte le complesse tematiche in materia”.

Ringrazio l’avvocato De Angelis e posso concludere, quindi, che non si attua nessun tipo di discriminazione se, per garantire una legge dello Stato, opero una preselezione del personale sulla base di caratteristiche richieste da quella stessa legge.