Buoni pasto anche di notte: la Cassazione dà ragione a un’infermiera e cambia le regole in sanità
La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul diritto ai buoni pasto nel pubblico impiego e lo fa con una decisione che rafforza un orientamento ormai stabile: il ticket spetta anche ai lavoratori impegnati nel turno notturno, quando l’orario supera le sei ore e comporta una pausa obbligatoria.
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un’infermiera che chiedeva il riconoscimento dei buoni pasto per le ore lavorate tra le 20 e le 8, nel periodo 2001-2008. La Corte d’Appello di Napoli aveva respinto la domanda, ritenendo che gli accordi sindacali interni limitassero il diritto al solo turno diurno.
Il contesto: norme poco chiare e accordi aziendali discordanti
Il nodo principale riguardava l’interpretazione dell’articolo 29 del CCNI Sanità 2001, che riconosce il diritto alla mensa “in relazione alla particolare articolazione dell’orario”.
Secondo la Corte d’Appello, tale clausola non definiva quali fossero le “particolari articolazioni” meritevoli del ticket. Perciò occorreva guardare agli accordi aziendali.
Nel caso esaminato, il verbale sindacale del 13 dicembre 1996 prevedeva i buoni pasto solo per i lavoratori presenti dalle 12.30 alle 14.30, cioè nelle ore del pasto diurno. Solo nel 2008, con un nuovo accordo, l’azienda estese il beneficio anche ai turni notturni, con decorrenza 1° gennaio 2009.
Da qui il rigetto della domanda in appello: per i giudici napoletani, fino al 2009 i lavoratori notturni non avevano diritto al ticket.
La Cassazione ribalta il verdetto: conta la pausa, non l’orario
La Suprema Corte non condivide questa conclusione. I giudici di legittimità richiamano un orientamento consolidato, avviato con la sentenza n. 5547 del 2021 e confermato dalle successive decisioni del 2021, 2022 e 2023.
Il principio è semplice:
il diritto al buono pasto è collegato alla pausa obbligatoria e non all’orario in cui essa si colloca.
In altre parole, ciò che conta non è se il lavoratore opera durante le “fasce classiche” del pranzo, ma se svolge un turno che supera le sei ore e che quindi richiede un intervallo non lavorato, come previsto dall’art. 8 del d.lgs. 66/2003.
La Corte rileva anche che nessuna norma o clausola collettiva limita il beneficio ai soli turni diurni. Una restrizione del genere, sottolineano gli Ermellini, avrebbe richiesto una scelta chiara delle parti sociali, assente nel contratto.
Gli accordi aziendali non possono restringere un diritto contrattuale
La Cassazione aggiunge un altro punto: l’azienda non può ridurre, tramite accordi locali, la platea dei beneficiari rispetto a ciò che prevede il CCNL.
Perciò il verbale del 1996, che circoscriveva il diritto al turno diurno, non può prevalere sulla disciplina contrattuale nazionale, né può essere letto come volontà di escludere i turni notturni.
La Corte ricorda, inoltre, che già in passato (sentenza n. 15614 del 2015) era stato ritenuto che un turno continuativo di dodici ore, svolto tra le 20 e le 8, rientrasse pienamente nella “particolare articolazione dell’orario”.
La decisione: ticket riconosciuti per tutto il periodo 2001-2008
Accogliendo il ricorso dell’infermiera, la Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’Appello e deciso direttamente nel merito.
Ha riconosciuto il diritto ai buoni pasto per tutti i turni notturni superiori a sei ore, nel periodo in contestazione, e ha condannato l’azienda al pagamento di 1.808,94 euro, oltre interessi e rivalutazione.
Spese compensate per i gradi di merito, mentre l’azienda è stata condannata a sostenere i costi del giudizio in Cassazione.
Perché questa sentenza è importante
La decisione rafforza un principio ormai fermo:
chi lavora più di sei ore ha diritto alla pausa e, di conseguenza, al buono pasto, indipendentemente dal fatto che il turno sia diurno, pomeridiano o notturno.
Il ticket non è un elemento retributivo, ma un supporto assistenziale che tutela la salute del lavoratore e garantisce continuità al servizio. Impedirlo al personale notturno creerebbe una disparità ingiustificata.
Per aziende sanitarie e pubbliche amministrazioni il messaggio è chiaro: gli accordi locali non possono restringere un diritto riconosciuto dal contratto nazionale, né possono introdurre differenze non giustificate tra lavoratori diurni e notturni.
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