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Competenze infermieristiche avanzate: fra i medici è guerra tutti contro tutti!

di Chiara D'Angelo

 

Che i medici siano sull’orlo di una crisi di nervi è ormai evidente. 

Partendo da un feudalesimo che vedeva il Medico Signore della Sanità ci siamo affacciati ad un’epoca un po’ più moderna in cui altre figure hanno assunto capacità, competenze e responsabilità autonome, ma abbiamo assistito e assistiamo alla perpetuazione (ingiustificata, peraltro) della gerarchia medicocenterica nelle organizzazioni del lavoro.

La “guerra delle competenze” scatenatasi negli ultimi mesi è stata la dimostrazione della resistenza culturale verso questo cambiamento che, sarebbe bene rendersene conto, non è altro che la presa d’atto della realtà.

Accade ovunque che gli infermieri mettano in atto competenze avanzate, secondo prassi operative concordate in equipe sanitarie degne di questo nome. Gratis et amore Dei, per giunta.

Da molti anni l’infermiere è un professionista autonomo, lo dice la Legge, ha una formazione universitaria e sostiene un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione.

Da altrettanti anni c’è chi ha fatto finta e continua a fare finta che questa realtà non esita. Ma è così.

Il famigerato comma 566 ha scatenato una lotta senza quartiere fra chi intravede finalmente la possibilità che quanto è realtà e legge diventi anche prassi riconosciuta e non solo agìta e chi, in tutto questo, ravvisa il grave reato di “lesa maestà”, paventando fantomatici rischi per la salute e la sicurezza dei cittadini. In sostanza, per costoro, l’infermiere cui sia riconosciuto di fare ciò che già fa diventa un pericolo nazionale.

A nulla sono valsi gli inviti e la disponibilità al dialogo e al confronto sul merito delle questioni, offerta dalle rappresentanze degli infermieri (professionale e sindacali) e dalle istituzioni.

Chiusura dei tavoli di confronto (vedasi Cabina di Regia), trattative separate con le Istituzioni, ricorsi e controricorsi contro le iniziative che alcune Regioni e amministrazioni sanitarie evidentemente meno ammuffite hanno messo in atto (Reparti a gestione infermieristica, ad esempio), queste sono state le risposte dei medici, fino ai fatti di ieri.

In Emilia Romagna (Modena, Ravenna, Piacenza e Bologna), infatti, i vertici ordinistici medici hanno avviato procedimenti disciplinari contro i propri colleghi e presentato un esposto alla Procura della Repubblica in riferimento ai protocolli infermieristici che alcuni loro iscritti medici hanno siglato per la gestione delle emergenze nel sistema del 118, secondo i quali è previsto che l’infermiere sull’ambulanza (laureato, con specifica formazione complementare) possa esercitare competenze di tipo avanzato ed eseguire diagnosi, prescrizione e somministrazione di farmaci soggetti a controllo del medico.

Non si tratta del primo caso; analoga situazione si era presentata in Toscana, dove però la Procura archiviò la denuncia in seguito a chiarimenti forniti dal Ministero.

 

Sulla questione è intervenuta anche la Presidente della Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI, Barbara Mangiacavalli (Clicca), augurandosi  “che la vicenda segua lo stesso copione di quella Toscana. Resta tuttavia davvero preoccupante questo atteggiamento che non tutela né la categoria professionale né i pazienti, ma fa da vetrina a situazioni che con l’assistenza, le cure e la corretta gestione dei servizio non hanno davvero nulla a che fare”.

Sul caso specifico delle competenze attribuite agli infermieri sulle ambulanze, inoltre, Mangiacavalli precisa che “a questi  protocolli si è giunti facendo proprio quanto la comunità scientifica internazionale ha elaborato in materia, nella gestione di patologie traumatiche e non traumatiche, prevedendo  le specifiche competenze dell’infermiere adeguatamente e preventivamente formato: oltre alla formazione e alle competenze dell’infermiere laureato, sono previsti ulteriori interventi formativi per accrescerne le competenze professionali e metterlo nelle condizioni di poter esprimere la propria professionalità in questi contesti”.

 

Pare tuttavia chiaro che non si tratta di una guerra sul merito delle questioni ma che le pregiudiziali poste dagli Ordini medici siano di “principio”. E’ drammatico che non si rendano conto che questo “principio” altro non è che il principio della fine, che sta lacerando la sanità e quelle relazioni interprofessionali che, pur con le loro criticità, hanno sostenuto la qualità del sistema sanitario italiano fino a oggi.

Anche nelle stanze del Ministero sta circolando una certa preoccupazione; le difficoltà degli ultimi mesi nel raccogliere un consenso condiviso alle iniziative legislative, una marcia sempre più sabbiosa verso un nuovo sistema sanitario (tanto ineludibile quanto difficoltoso da raggiungere), le contrapposizioni fra professioni hanno fatto dichiarare che è bene puntare tutto sul rinnovo contrattuale per risolvere il problema delle competenze avanzate. Il timore pare dunque essere che gli altri fronti rischino di non portare al risultato.

Questo ulteriore scontro, solo apparentemente intestino in seno alla classe medica ma che nei fatti è un “tutti contro tutti” degli Ordini medici (che “dicono alla nuora perché suocera intenda”), potrebbe indurre il Ministero della Salute ad accelerare i tempi dell’Accordo Stato Regioni, che sembra pronto da tempo ma che non è ancora approdato in Conferenza.

Una cosa è certa: non è tollerabile un clima di questo genere senza che si intervenga in maniera chiara e netta. Non ci sarà più spazio per norme interpretabili.

Negli anni scorsi era frequente sentirsi dire che “è l’Europa che ce lo chiede”; ora sono gli italiani, tutti, che lo pretendono, affinchè il loro diritto alla salute non sia ostaggio dei capricci corporativi.

 

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