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Sanità italiana: tra pubblico e privato, la rinuncia alle cure e le assicurazioni. Anziani e giovani ai margini nel rapporto Censis.

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 09/06/2016 vai ai commenti

Centro studiNurSind dal territorio

Il Censis ha pubblicato i dati della ricerca “Dalla fotografia dell’evoluzione della sanità italiana alle soluzioni in campo”,  i cui risultati destano qualche preoccupazione.

 

Dal rapporto, infatti, emerge prima di tutto un dato sugli altri: sono 11 milioni gli italiani che nel 2016 hanno rinunciato alle cure sanitarie per difficoltà economiche. E di questi una parte significativa (2.4 milioni) sono anziani e altrettanti (2.2 milioni) giovani in condizione di precarietà lavorativa.

E’ lo spaccato di una società in cui le ferite della crisi economica bruciano sulla pelle dei più deboli, sulle categorie sociali ai margini; da un lato gli anziani, il cui reddito è vincolato alle pensioni (fortemente erose nel loro potere di acquisto), dall’altro i giovani precari che scontano la stagnazione del mercato del lavoro e la propensione all’utilizzo (e allo sfruttamento) di forme pseudocontrattuali che non offrono loro la possibilità né di programmare il futuro né di garantirsi il necessario nel presente.

Allo stesso tempo in Italia è cresciuto il ricorso alla sanità privata: 34,5 miliardi di euro spesi dai cittadini per ottenere prestazioni sanitarie al di fuori delle strutture pubbliche; +3,5% rispetto al 2013, quasi il doppio dell’aumento dei prezzi al consumo nello stesso periodo. Questo aumento sembra trovi due motivazioni concorrenti; da un lato le liste d’attesa nelle strutture pubbliche, progressivamente in aumento. Dall’altro l’aumento dei ticket sanitari, che in molti casi raggiungono addirittura superano il costo delle prestazioni rese nelle strutture private, che offrono anche maggiore flessibilità di giornate e orari d’apertura.

Accanto all’aumento del ricorso alla sanità privata aumenta anche il ricorso alle prestazioni in intramoenia (oltre 7 milioni), principalmente proprio per evitare le lunghe liste d’attesa.

Nel complesso gli italiani tendono a considerare il proprio servizio sanitario regionale inadeguato alle necessità (con forti differenziazioni territoriali, tra il Nord-Est più virtuoso da questo punto di vista e il Sud fanalino di coda) e di qualità peggiore rispetto al passato (45.1%).

Affacciandosi su questo scenario strizza l’occhio agli italiani il mondo assicurativo, tant’è che oltre la metà degli italiani ritiene che chi se lo può permettere dovrebbe stipulare delle polizze sanitarie; a confortare questa spinta la considerazione del risparmio che, a conti fatti, la polizza sanitaria consente rispetto al sostenimento delle spese per prestazioni private in forma individuale (il 30,7% degli italiani che hanno sottoscritto una polizza sanitari dichiarano di spendere meno di quanto non facessero ricorrendo alle prestazioni private di tasca propria).

L’aumento dei costi della sanità non si riversa, nel sentire dei cittadini, nei rapporti con i medici e l’”appropriatezza” prescrittiva, nonostante 5,4 milioni di italiani abbiano ricevuto prescrizioni rivelatesi inutili; per gli italiani deve rimanere il medico a decidere cosa e quando prescrivere (50.7%), oltre la metà (51.3%) è contrario alle sanzioni ai medici per prescrizioni inutili e il 64% è contrario alla determinazione, per legge, dei limiti di appropriatezza.

Quella che emerge dal rapporto è dunque un’Italia sfilacciata, in cui il sistema sanitario nazionale non riesce a garantire la rete di prestazioni che i cittadini si attendono e di  cui avrebbero bisogno, lasciando ampi spazi per l’iniziativa privata che trae vantaggio principalmente dalle inefficienze del sistema pubblico, mentre la gestione pubblica sembra più attenta alle logiche ragionieristiche ed economiche che di funzione sociale del servizio sanitario.

 

Fonte: Quotidiano Sanità