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Intervista con Cavicchi: dall'incontro Fnomceo-IPASVI a un modello sostenibile di compossibilità (quinta intervista)

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 17/01/2017 vai ai commenti

Le interviste

Abbiamo intervistato il professor Ivan Cavicchi dopo l'incontro tra Fnomceo e IPASVI sul tema delle competenze professionali.

Questa (quinta) intervista chiude un ciclo di interventi che il professor Cavicchi ci ha concesso per ragionare, insieme, sull'evoluzione della professione infermieristica o, meglio, delle professioni sanitarie e, oggi, il nostro illustre ospite ci affascina entrando nel cuore del problema (e della soluzione possibile): la coevoluzione.

Con la verve che lo contraddistingue e con un'invidiabile vivacità intellettuale il professor Cavicchi ci spiega come il futuro delle professioni sanitarie sia legato a doppio filo alla loro capacità di coevolvere in un sistema complesso. Tutt'altro che un'idea banale, dato che “coevolvere” implica l'assuzione di un sistema di pensiero, di scopi, di prassi e di progettualità non scontati.

Leggendo l'intervista comprenderemo come la coevoluzione diventi possibile solo e soltanto se il sistema intero viene ripensato e riorganizzato, se nel sistema si affermano concetti come proscrittività, compossibilità, appropriatezza.

Illustrando il progetto sotteso alla bozza di Codice Deontologico proposto dal Collegio IPASVI di Pisa (Clicca), e sottolineandone criticamente le differenze con la bozza proposta dall'IPASVI nazionale (Clicca), il professor Cavicchi ci accompagna in una visione innovativa delle professioni e del sistema, facendoci ben apprezzare la differenza tra adeguarsi grossolanamente a un sistema complesso e riorganizzare il lavoro e l'identità professionale in funzione della complessità del sistema: dalla compatibilità alla compossibilità, dalla competenza all'impegno, dal compitiere all'autore.

Prima di lasciare spazio all'intervista, desidero ringraziare il professor Cavicchi per il tempo, la dedizione e la costanza con cui da tempo si dedica ai problemi degli infermieri (ma che, come leggiamo, non sono solo degli infermieri) proponendo anche attraverso la nostra Rivista un pensiero innovatore, riformatore puro, libero da condizionamenti e ardito nell'immaginare scenari assolutamente nuovi. Sento che c'è il bisogno di menti libere come la sua, di capacità spese con onestà intellettuale di pensieri più forti degli interessi che li vorrebbero piegare o a cui, peggio ancora, si vorrebbero asservire.

Stimo moltissimo il professor Cavicchi, con cui ho avuto modo di collaborare personalmente per progetti importanti (sicuramente per me e per la mia crescita) e il ringraziamento che in questa occasione gli rivolgo è quindi anche personale. Grazie professore.

 

 

QUINTA INTERVISTA AL PROF.IVAN CAVICCHI

di Chiara D'Angelo

 

Professore grande notizia: Fnomceo e Ipasvi hanno seppellito l’ascia di guerra. Finalmente si sono incontrati i due Comitati Centrali. "Collaborazione, concertazione, complementarietà delle professionalità” queste le parole d’ordine dell’incontro. Alla fine, la promessa di rivedersi presto per istituire un “tavolo di posizionamento” al fine di definire proposte concrete da portare ai rispettivi Consigli Nazionali. Ha vinto la linea della coevoluzione?

Calma. Che sia una bella notizia non c’è alcun dubbio, che di fatto siamo nella logica della coevoluzione anche. Il tentativo alla fine se è quello di trovare un accordo che suppongo punti a migliorare le condizioni di entrambe le professioni, è implicitamente coevolutivo. Quello che effettivamente sarà vedremo. La relazione programmatica 2017 dell’Ipasvi (Clicca) è incentrata su skill mixe change e task schifting e quindi sull’applicazione del comma 566 che, ricordo, ancora prevede in modo vincolante la concertazione, senza la quale l’Ipasvi è all’angolo e senza la quale dubito che il Governo si comprometta in qualche modo. L’Ipasvi suppongo proporrà di concordare una certa applicazione del 566. Come risponderà la Fnomceo? Fino ad ora è stata contro ma da quello che vedo, a parte la difesa strenua dello status quo, è che l’Ipasvi non ha una linea sulla quale trovare una mediazione su un altro terreno. Per cui non è chiaro il terreno della mediazione. Quello plausibile potrebbe essere la classica “mollichella”. In questo caso però sarebbe improprio parlare di coevoluzione. Mi auguro che Fnomceo e Ipasvi scelgano di comune accordo la strada del cambiamento congiunto, cioè una vera coevoluzione. Per fare questo ci vuole un pensiero che ancora non vedo, ma che spero salti fuori. Ciò detto applaudo all’iniziativa delle due presidenti. E’ un bel passo avanti.

 

Cosa l’ha colpita di più di quell’incontro che a questo punto possiamo definire “storico”?

L’uso ricorrente dell’espressione “onestà intellettuale”. Mi sono chiesto perché? La risposta è che questa volta se si vuole fare un accordo giustamente si devono scoprire le carte. Il punto è che le carte sono già scoperte perché sono note. La relazione programmatica 2017 è un documento pubblico come lo è il documento sulla “evoluzione delle competenze infermieristiche”. Come è pubblico il documento conclusivo della Fnomceo della terza Conferenza sulla professione. Onestà intellettuale vorrebbe che la Fnomceo dicesse chiaramente cosa pensa delle proposte contenute nella relazione programmatica 2017 e, nello stesso modo, l’Ipasvi cosa pensa del documento della terza Conferenza sulla professione. Una volta mappate divergenze e convergenze si tratta di vedere come andare avanti. Ma temo che su questo piano ancora non ci siamo. L’onestà intellettuale può aspettare.

 

Altra novità professore è la sua recente audizione alla Camera sulla riforma degli Ordini, ha letto i commenti sul web?

Ah ah ah (grande risata ndr) sì li ho letti. Rido perché quando li ho letti mi è tornata alla mente una espressione che usava mio nonno per indicare gli spacca montagne, i chiacchieroni inconcludenti, i fanfaroni, quelli che si indignano battendosi il petto come King Kong dicendo al mondo che solo loro sono grandi, mentre tutti gli altri sono piccoli uomini.

 

E qual’è questa parola?

Sgagnabrod”, che tradotto vuol dire “mastica brodo”. Credo che il sarcasmo della metafora non abbia bisogno di essere spiegato. Che dirle… desolante, deludente, deprimente. Uno fa cinque interviste dove si sforza di dare il meglio di sè e nessuno ne parla, scrive libri, fa Convegni, prende di petto il mondo, si sforza di tirare fuori proposte su proposte (naturalmente tutti ti tirano o di qua o di là convinti di usarti per i loro scopi), poi basta che tu proponga il contributo volontario per… lasciamo perdere, all’ingratitudine specialmente,, di certi sedicenti infermieri, sono abituato. Rido perché i “mastica brodo” mi fanno tenerezza. Appena pesti loro il callo più delicato “sbroccano” e senza rendersi conto sragionano e che fanno? Ti buttano a mare come butterebbero a mare il loro peggior nemico, istericamente, senza rendersi conto, cioè senza pensare a pensare. Quindi grulli e impulsivi.

 

Le accuse che le hanno rivolto sono piuttosto pesanti e poi il suo principale “accusatore” che le rimprovera, addirittura, di aver “tradito”. Mi riferisco al presidente del Collegio di Firenze con il quale, se non sbaglio, lei ha fatto molte cose.

Ritorno serio e a beneficio del mio amico Massai mi faccia ricapitolare la situazione: due signori, in nessun modo estranei ai guai degli infermieri e dei medici, molto preoccupati dei loro poteri personali si mettono d’accordo per fare una Legge, questa Legge va in Parlamento (la massima istituzione democratica dello Stato) il quale invita un sacco di persone a dire cosa ne pensano. Tra queste un esperto, cioè uno che sta sopra le parti e che per mestiere studia i problemi di cui si occupa la Legge, noto per la sua obiettività e per l’indipendenza del pensiero. Infatti per questo lo invitano. Secondo lei cosa avrebbe dovuto dire l’esperto? Ingannare il Parlamento? Cioè mentire su come stanno le cose per compiacere i mastica brodo? Cioè non fare l’esperto? Ma si rende conto dell’assurdità di questa vicenda?

 

Secondo lei cosa ha suscitato le ire funeste che abbiamo letto sul web?

Non quello che ho detto, ma dove l’ho detto. In pratica i “mastica brodo” mi accusano di non essere stato sufficientemente omertoso. Cioè mi accusano di aver detto la verità, cioè di aver fatto la spia descrivendo semplicemente lo stato delle cose. Sono colpevole come quel bambino che a un certo punto mentre tutti adulavano il re ha detto “il re è nudo”, perché il re era effettivamente nudo. Non mi accusano di aver detto delle cose sbagliate. Ma di aver detto delle cose giuste nel posto sbagliato. Le stesse cose posso dirle ovunque ma non in Parlamento. A questo punto mi chiedo se il presidente del Collegio di Firenze fosse stato audito in Parlamento che, ripeto, è la massima espressione della democrazia, che cosa avrebbe detto sulla Legge e sui problemi della professione? La verità o la menzogna?

 

Ma professore mi sembra tutto così paradossale. La verità sulla professione non è relativa ai luoghi dove viene rappresentata, ma è relativa solo alla effettiva condizione della professione. Ed è quella che è, come abbiamo detto più volte nel corso delle nostre interviste si chiama “questione infermieristica”. Si sta facendo una Legge, ma se la Legge ignora la “questione infermieristica” che Legge potrà mai essere?

Vuole una prova di come la verità sulla professione sia relativa?

 

Di quale prova parla?

Nell’intervista che abbiamo fatto il 22 dicembre ho sostenuto le stesse tesi che ho illustrato alla Camera (Clicca). Ora per favore predisponga per dare la possibilità ai nostri lettori di leggere cosa ha risposto in quella circostanza il mio amico Massai (Clicca). Noterà che la sua risposta non solo sostiene il senso di tutta l’intervista, ma ignora del tutto il discorso del contributo. Ora, secondo il mio amico Massai, quello che ho dichiarato in quella intervista non avrei dovuto raccontarlo in Parlamento perché il Parlamento dovrebbe fare una legge nazionale sulla base di ciò che conviene a lui e ai suoi compari, ma in nessun caso per risolvere i problemi della professione. Lo ripeto io sto con Siringhino. Quante volte ve lo devo ripetere? E per il mio Paese voglio le leggi migliori e che in Parlamento si dica la verità. Chiaro?

 

Scusi professore, lei ci vuole dire che Il disegno di legge sulla riforma degli Ordini e dei Collegi in discussione al Parlamento non è pensato per risolvere i problemi della professione?

Proprio così. Lasciamo perdere la questione dei Collegi che si chiamerebbero Ordini sui quali solo un imbecille può dire che il suo scopo è di “colpire l’immaginario collettivo” La proposta di passare da enti ausliliari a enti sussidiari vi ministerializza ancora di più di quello che già siete e questa proposta non è stata pensata per risolvere i problemi della professione, ma per estendere i poteri dei gruppi dirigenti. E’ vero o non è vero che gli infermieri non vanno a votare? E’ vero o non è vero che mediamente la professione non ha alcuna fiducia nei Collegi? E’ vero o non è vero che avete una deontologia miserrima? Che la Federazione è aggiogata ad un blocco di potere? Che esistono gravi problemi di incompatibilità nonostante le battaglie di Nursind? Che esistono problemi di autonomia e di trasparenza? Che esiste la questione infermieristica? Ebbene al Parlamento, cioè nell’istituzione sulla quale poggia lo Stato del mio Paese, nel luogo sommo della democrazia, mi sono sentito in dovere di dire a chiare lettere che la proposta di legge ignora colpevolmente tutti i problemi della professione, perché essa si preoccupa solo del potere dei mastica brodo chiaro?

 

Ma professore se è come lei dice, cioè se la Legge non risolve i problemi della professione, quindi se i Collegi pur chiamandosi Ordini faranno tutto meno che i Collegi, alla fine le contraddizioni finiranno per  scoppiare, accentuando i problemi di credibilità della professione?

Questo è il vero problema. Questo è il punto. Alcuni interventi del web non hanno alcuna visione politica, non riescono ad andare oltre i loro piccoli interessi personali, i loro orticelli e il loro stucchevole individualismo; altri per fortuna sono di ben altro spessore.

Ammesso che la Legge passi (ma ne dubito, in Commissione molte erano le perplessità) potete giurarci che a contesti politici mutati qualcuno si farà carico di presentare un’altra Legge, ma questa volta per difendere la categoria dalle soperchierie alle quali è stata sottomessa con questa Legge. E allora saranno dolori. Che ne dite se facessimo un referendum per chiedere ai 400000 infermieri cosa pensano dei loro Collegi? O chiedere loro direttamente se sono per il contributo obbligatorio o per il contributo volontario? Supponete che sulla base di questo referendum si faccia una proposta di Legge, secondo voi come potrebbe andare a finire? Datemi retta, non pensate che siano fantasie cioè cose irrealistiche… non è così!

 

Beh professore, non è difficile rispondere…

Sarebbe la fine del carrozzone e dei mastica brodo, molto probabilmente. Del resto mi spiegate per quale ragione devo tassare gli infermieri per tenere in piedi un carrozzone fatto su misura solo per il quadro dirigente? Ha ragione lei, le contraddizioni o le rimuovi o scoppiano. E oggi la contraddizione grossa come una montagna, e che la malafede dei miei accusatori prova a negare, è che tra i Collegi e la professione reale c’è un abisso. Le dirò di più… a margine dell’audizione ho parlato con varie forze politiche alcune delle quali, citando la Francia, sostenevano la necessità di fare una Legge per l’abolizione degli Ordini e dei Collegi. (Clicca QS del 10 aprile 2015 e Clicca QS del 17 aprile 2015). In quella circostanza ho ribadito coerentemente le mie posizioni. Come sapete non sono per l’abolizione dei Collegi, però vorrei un’ordinistica al servizio dei cittadini e delle professioni, ispirata da tre paroline magiche: incompatibilità, trasparenza, autonomia.

Se l’ordinistica è concepita come nel caso di questo Disegno di Legge solo per fare i comodi dei gruppi dirigenti, alla faccia dei mastica brodo ripropongo la mia provocazione e cioè che i Collegi, come i sindacati, si guadagnino sul campo la fiducia della professione. Troppo comodo fare il presidente di Collegio con tutte le garanzie del finanziamento sicuro. Ve lo ridico ancora una volta: la misura è quasi colma… auto-organizzatevi prima che siano gli altri a riorganizzarvi e fatelo pensando non ai cavoli vostri, ma ai gravi problemi della professione. Come? Per esempio facendo tesoro della lezione preziosa del Collegio di Pisa.

 

Professore ok. Se lei è d’accordo, specialmente dopo l’incontro Fnomceo e Ipasvi, tornerei a parlare di proposte, quindi del progetto di Pisa, e le chiedo qual’è il primo requisito che rende credibile una proposta innovativa?

La coerenza. Una proposta per essere credibile non deve avere contraddizioni. Se l’infermiere è un infermiere allora non può essere un “non infermiere”, se è un “non infermiere” allora bisogna rimuovere tutto quanto nella realtà lo rende tale. La stessa cosa vale per il medico. Il ragionamento di base è quello classico “se x allora y”. Se l’infermiere è un operatore intellettualmente autonomo come dice la Legge allora dobbiamo ripensare l’organizzazione del lavoro, ma se si ripensa l’organizzazione del lavoro allora è necessario ridefinire la forma storica di cooperazione tra professioni, quindi il modo di lavorare, e perfino la forma giuridica della responsabilità, la formazione ecc., ma se tutto questo ha un senso bisogna ricercare con i medici una coevoluzione. Per risolvere la “questione professionale” non si tratta di tirare fuori il coniglio dal cilindro ma di sostituire un sistema concettuale con un altro sistema concettuale. Questo è il difficile. La vostra Federazione ha mostrato di non esserne capace. Ma anche i medici sono nella peste.

 

Probabilmente professore noi infermieri ci siamo illusi che sarebbe bastato definire il profilo, o definire le competenze avanzate, o abolire il mansionario per cambiare la professione; appunto che bastasse tirare fuori il coniglio dal cilindro…

Magari fosse così semplice. Per cambiare una qualsiasi professione mi dispiace per Archimede ma la famosa leva per sollevare il mondo non basta. Se la ricorda la canzone: “per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l'albero, per fare l'albero ci vuole il seme, per fare il seme ci vuole il frutto, per fare il frutto ci vuole un fiore. Si chiamano ragionamenti concatenati o sillogismi. E’ con questi sillogismi che si sostituiscono sistemi concettuali con altri sistemi concettuali. Sa quale è la responsabilità storica più grande della Federazione? Di non essere riuscita a sviluppare un sillogismo decente sulla professione. Ogni tanto prova a tirare fuori il coniglio dal cilindro, oggi il 566 diventa skill mixe change e quindi task shifting, si alza un gran polverone ma poi tutto resta fermo. Sa quale è invece il merito storico più grande del Collegio di Pisa? E’ di essere riusciti a mettere in pista un sillogismo credibile, che sta in piedi, coerente per l’appunto. Ma si consoli i medici non hanno problemi diversi, anche loro sono chiamati a definire un nuovo sillogismo professionale e fino ad ora niente di serio è stato proposto.

Lei professore insegna anche logica e filosofia della scienza qual’è la logica alla quale ci si deve ispirare per reinventare una professione? O i rapporti tra professioni?

La logica è quella dei mondi possibili. Gliela spiego in parole povere. La sua Federazione ci vuole far credere che al massimo può esistere solo un tipo di infermiere, cioè quello descritto nel suo insipido Codice Deontologico, o nella relazione programmatica 2017, ma è palesemente un inganno.

Basta guardare in Europa e non solo per capire che l’infermiere che abbiamo nel nostro Paese è solo uno dei molteplici infermieri possibili e certamente non quello che ci servirebbe. Vi è quindi un infermiere possibile, perfino prefigurato dalla normativa, che però la Federazione non sa costruire. Pisa ci propone un infermiere possibile per superare l’infermiere che c’è e, passo dopo passo, come la canzone, tira fuori le soluzioni che servono fino a dispiegare un progetto organico di professione. Poi ovviamente c’è tutto il resto. Cioè c’è la Federazione e la sua relazione programmatica. Ma non è colpa di Galileo se il santo uffizio è pieno di idioti. Lo stesso ragionamento vale per il medico, quello che c’è non è l’unico medico possibile è un tipo di medico reale tra diversi tipi di medici possibili.

 

Al Convegno di Pisa alcuni hanno sottolineato che il Codice Deontologico proposto contiene molte parole nuove, qualcuno ha perfino proposto di scrivere un glossario.

Per dire cose nuove devi usare se necessario parole nuove. Mi auguro che tanto la Fnomceo che l’Ipasvi ricorrano a parole nuove, perché nuove sono le realtà che dobbiamo definire. Nello specifico la proposta di Pisa è piena di concetti nuovi alcuni dei quali sono espressi con parole nuove.

Ad esempio coevoluzione, proscrittività di cui abbiamo parlato nelle interviste precedenti e compossibilità. Pensi che nel Codice a questo concetto viene dedicato addirittura un capitolo.

 

Ce lo vuole illustrare per farci capire di che si tratta?

Il significato generale di compossibilità è quando qualcosa può realizzarsi insieme ad altre cose anch’esse possibili. Per esempio è possibile che il ruolo di un infermiere e il ruolo di un medico siano entrambi autonomi e che essi possano coesistere senza problemi. L’intera idea di coevoluzione, di cui abbiamo parlato nella precedente intervista, si poggia sul concetto di compossibilità. Per avere compossibilità tra ruoli non devono esistere contraddizioni. Quindi un certo infermiere può essere compossibile con un certo medico se tra loro non ci sono contraddizioni. Se ce ne sono bisogna rimuoverle. Le competenze avanzate fanno il ragionamento contrario: per avere un certo infermiere bisogna togliere qualcosa al medico se ci sono contraddizioni pazienza. Le contraddizioni sono il prezzo da pagare. Non credo che su questo terreno si possano fare accordi con i medici. Ma per l’appunto tutto è possibile.

 

Davvero una gran differenza. Ho notato che nel capitolo del Codice di Pisa dedicato alla compossibilità questo concetto è abbinato a quello di adeguatezza, perché?

Per compossibilità il Codice di Pisa intende sostanzialmente tre cose:

  • un rapporto senza contraddizioni tra il codice deontologico e la realtà di lavoro in cui opera l’infermiere;
  • un principio per garantire il comportamento professionale atteso dell’infermiere;
  • un principio di coesistenza tra professioni.

Tutte e tre queste cose hanno in comune il valore dell’adeguatezza:

  • il codice deve essere adeguato alla realtà;
  • il comportamento atteso per definizione è tale se è adeguato al malato;
  • la coesistenza tra professioni si fonda sulla chiarezza dei ruoli, quindi sulla adeguatezza dei ruoli alla professione.

L’adeguatezza di una professione, sia essa infermieristica o medica, in sostanza è funzione di compossibilità: il Codice, il comportamento atteso, la coesistenza tra professioni, sono adeguati se tra loro sono compossibili. Essere adeguati quindi vuol dire non avere contraddizioni. Un comportamento atteso è adeguato se non ha contraddizioni. Mi sono spiegato?

 

Molto chiaro. In pratica professore lei ci sta dicendo che il principio di compossibilità è la base della cooperazione tra diverse professioni e quindi la base di ogni possibile coevoluzione.

E’ proprio così. A Fnomceo e a Ipasvi suggerisco di annotarsi questa parola. Ripeto, i rapporti tra diverse professioni sono compossibili se tra i ruoli non esistono contraddizioni. Nel caso in cui esistessero contraddizioni l’infermiere si deve adoperare per rimuoverle, ricercando consensualmente con le altre professioni le soluzioni cooperative più adatte. Questa è la coevoluzione. Metteteci vicino il discorso della proscrittvità e vi siete creati le condizioni per cambiare qualsiasi organizzazione del lavoro. “Tutto quello che non è vietato è permesso”, ma a condizione di essere adeguati e compossibili. Spero che il tavolo di confronto Fnomceo/Ipasvi rifletta su questa proposta.

 

Questo, professore, cambia completamente il tipo di approccio ai problemi o sbaglio?

No non sbaglia. A monte della scelta che abbiamo fatto a Pisa c’è una decisione politica che riguarda proprio l’idea di compossibilità che pochi hanno compreso. Pisa ha rifiutato la linea dell’aggiornamento del vecchio modello di Codice, perchè ha rifiutato la linea dell’adattamento dell’infermiere alla realtà. La Federazione invece ha reiterato la linea dell’aggiornamento e quindi quella di adattare l’infermiere alla realtà.

La Federazione segue la linea della compatibilità Pisa segue quella della compossibilità. Nel primo caso la deontologia dell’infermiere si deve adattare alla realtà che cambia (se vi sono disservizi l’infermiere deve adattarsi, se vi sono problemi finanziari l'infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, e a garantire l'uso ottimale delle risorse disponibili, ecc.) nel secondo caso la deontologia dell’infermiere deve rimuovere le contraddizioni che esistono tra infermiere reale e infermiere possibile quindi entriamo nella logica della riorganizzazione (se si ha una relazione di ausiliarietà con il medico e questa impedisce all’infermiere di dare luogo la suo comportamento atteso allora bisogna cambiare la forma di cooperazione tra professioni).

 

Ma lei ci sta parlando della famosa appropriatezza che tanto fa disperare i medici…

L’adeguatezza è altra cosa dall’appropriatezza. Il dovere di essere adeguati è un obbligo morale quello di fare cose appropriate è una necessità tecnica. Il dovere di essere adeguati riguarda l’impegno dell’infermiere e del medico quello di essere appropriati riguarda il compito che l’infermiere e il medico devono eseguire. Nella realtà succede continuamente che l’infermiere e il medico sono appropriati tecnicamente ma inadeguati come professionista.

 

Quindi essere adeguato non vuol dire solo avere dei requisiti, ma garantire in ogni caso il comportamento atteso?

Esatto. Insomma se c’è qualcosa che impedisce all’infermiere o al medico di essere adeguati si interviene su questo qualcosa, ma in nessun caso si chiede all’infermiere o al medico di adattarsi e essere meno adeguati perché ciò causerebbe un danno al malato e questo non può essere deontologicamente permesso. Il famoso art 49 fa il ragionamento contrario: se qualcosa impedisce all’infermiere di essere adeguato l’infermiere si deve adattare e poco importa se ci saranno conseguenze per il malato. Ma qualcosa di analogo esiste anche nel Codice Deontologico dei medici.

 

Nel codice di Pisa vi è un’altra idea nuova che però ho l’impressione che non sia stata capita a fondo: è l’assumere il malato non solo come un ovvio principio etico, ma anche come un principio ordinatore. Cioè a partire da una certa idea di malato, si tratta di adeguare la professione e tutto quanto concorre a garantire il suo comportamento atteso…

Il malato dal Codice di Pisa è assunto come un principio di complessità quindi prima ancora di essere considerato un valore etico è considerato un valore epistemologico con tutte le conseguenze. Il malato come principio di complessità è quindi assunto semplicemente come una premessa rispetto alla quale per essere adeguati si deve essere coerenti. Se il malato è complesso allora la professione deve essere in un certo modo, l’organizzazione del lavoro in un certo modo, i rapporti con le altre professioni in un certo modo. Non si può dire che il malato è complesso e organizzare il lavoro in modo tayloristico. O restare dentro rapporti di ausiliarietà. Se il malato è complesso non è logico parlare di competenze avanzate, ma è più logico parlare di coevoluzione, di riorganizzazione, di compossibilità. Quindi l’altra novità che il Codice di Pisa introduce è il malato inteso come un ordinatore di condotte e di prassi professionali.

 

Ho letto nel Codice di Pisa che per un infermiere conoscere la complessità di un malato è un dovere

Lo scopo di questo articolo è sottolineare che la conoscenza della complessità impone che si abbiano delle relazioni di conoscenza. Senza relazione con il malato non si può conoscere la sua complessità. E se non si conosce la complessità del malato il comportamento atteso di qualunque professione non può essere adeguato. Il malato oggi non è più riducibile ad “assistito” oggi egli è un “malato in cura”. Per questo malato la medicina e la sanità sono mezzi dei quali si avvale per la cura di se.

L’infermiere e il medico devono supportare il malato che si prende cura di sè. Si deve quindi parlare di malato in cura” e di relazione di cura” e andare oltre il tradizionale assistenzialismo.

 

Veniamo quindi alla “cura” professore anche su questo terreno il Codice di Pisa pare parecchio innovativo

La cura in generale non è riducibile ad un atto, ad un compito, o ad una mansione ma è l’opera professionale cioè una visione complessiva del lavoro infermieristico che va oltre una visione frammentata, quindi oltre le competenze e le mansioni.L’opera professionale coincide con l’agire e il fare professionale quale espressioni di un ruolo e di una prassi attesa. (Vorrei ricordare di passaggio la celebre distinzione aristotelica tra "agire" cioè dare senso a quello che si fa, e "fare", limitarsi ad eseguire un compito).

 

Quindi professore l’opera professionale rispetto ad un malato collocato in un contesto di servizio è da considerarsi come professionalità agita nel suo complesso.

Bravissima! Bella questa espressione di “professionalità agita”. Ad un certo ruolo corrisponde una certa opera professionale. L’opera professionale è composta da compiti tecnici relativi alle conoscenze tecniche dell’infermiere e da impegni personali dell’infermiere cioè dalle sue sensibilità, abilità, capacità relazionali. Essa va considerata il vero risultato della prassi di cura. Come tale va valutata, verificata, misurataLa tutela è invece l’insieme delle cure quindi delle opere delle varie professioni. Se il servizio è un sistema di prassi professionali la tutela è il risultato dell’integrazione di queste prassi che sono per ciascuna professione da intendersi come opere di cura.

 

L’opera professionale lei ha detto è fatta da compiti tecnici e da impegni personali; i compiti li conosciamo ma cosa sono gli impegni?

L’impegno professionale sia per l’infermiere che per il medico è il rapporto che si stabilisce tra la professione e il modo d’agirla. Per spiegarle in poche parole cosa questo vuol dire vorrei richiamarmi al nome della sua rivista “infermieristicamente”. Immagino lei sappia che si tratta di un avverbio derivato che si forma aggiungendo all’aggettivo “infermieristico” il suffisso “mente” che a sua volta deriva dal latino mentemente, spirito, intelligenza’. Perciò infermieristico + mente vuol dire fondamentalmente “fare l’infermiere usando la testa”. Nel momento in cui l’infermiere usa la testa cioè nel momento in cui viene definita l’attitudine intellettuale della professione subentra il problema del modo con cui egli usa la testa cioè con cui egli esercita questa attitudine. Se è così allora dobbiamo ammettere che il modo di usare la testa da parte dell’infermiere diventa costitutivo della professione.

 

Ma in termini pratici questo cosa vuol dire?

Che a fronte delle complessità del malato di cui parlavamo prima non è possibile limitarsi come fa la federazione a definire compiti e competenze perché la loro definizione per essere reale non può essere fatta senza definire i modi professionali. I modi di fare degli infermieri ma anche dei medici non sono uguali perché diverse sono le loro attitudini intellettuali ma anche perché diversi sono i malati e le loro complessità. Ne deriva che a parità di requisiti professionali i modi di essere infermieri o medici a parità di compiti possono variare in modo considerevole. Per tutte queste ragioni i modi non possono essere descritti come i compiti e non sono facilmente codificabili per cui l’unico modo che abbiamo per definirli è fare un salto concettuale cioè passare dalla competenza all’impegno. L’impegno è rispetto ad un certo malato e a un certo infermiere e a un certo medico una competenza esercitata in un certo modo Questo modo non si può definire ex ante come un compito ma solo ex post come un risultato.

 

In sintesi lei ci propone di definire gli infermieri ovviamente sulla base delle competenze, ma anche sulla base degli impegni

In sintesi l’impegno professionale sia per gli infermoeri che per i medici è l’obbligo assunto nei riguardi di altri di garantire dei comportamenti attesi intendendo per comportamenti attesi quelli adeguati alla complessità del malato del contesto di lavoro ecc. L’impegno professionale è sempre una obbligazione che implica certe competenze svolte sulla base di certe modalità. La competenza è una nozione povera che non da conto ne della complessità del malato ne delle attitudini intellettuali dell’infermiere e del medico ne delle condizioni di lavoro in cui costoro operano. Ciò nonostante la federazione nella sua relazione programmatica ci fa sapere che intende istituire un “osservatorio competenze e responsabilità”,

 

Ma alcuni, professore, associano il concetto di competenze a quello di skill, cioè le competenze non sarebbero solo meramente compiti…

Skill come lei sa vuol dire “abilità” cioè la capacità di fare bene qualcosa in particolare una abilità non innata ma acquisita o appresa quindi in qualche modo legata all’esperienza o all’esercizio della professione o alla pratica cioè allo svolgimento dei compiti.

Ma anche questo concetto pur importante se non integrato con quello di   modalità finisce per riproporre una idea banale di competenza esperta. Il concetto di skill non è riducibile ad una abilità esecutiva per essere compreso a pieno va esteso ad una abilità ragionativa quindi intellettuale. Abilità in che? A fare? O ad agire? Se è a fare l’abilità è esecutiva se ad agire l’abilità è intellettuale. Ma se è intellettuale anche essa ripropone il problema del modo di usare la testa.   Definire solo competenze lo dico sia all’Ipasvi che alla Fnomceo, significa darsi la zappa sui piedi perché significa definire gli infermieri e i medici come dei robot programmati. Se l’infermiere e il medico sono soggetti intellettualmente autonomi vanno definiti per impegni perché ciò facendo riconosci loro che hanno una testa pensante. Se non si fa questo passaggio parlare di skill ha poco senso e parlare di skill mixe change ancora meno.

 

Professore lei mi spiazza continuamente. Nel momento in cui mi propone di passare dalle competenze agli impegni non posso non pensare alla relazione programmatica che, come ci ha detto nella precedente intervista, di fatto rilancia il comma 566 che è tutto e solo incentrato sulle competenze…

Secondo me il nuovo tavolo di confronto tra Fnomceo e Ipasvi non dovrebbe cercare l’accordo contando i bottoni ma dovrebbe definire l’impegno professionale atteso degli infermieri e dei medici dentro organizzazioni del lavoro più adatte ad esprimerli. L’accordo con i medici a meno di supporre una Fnomceo arrendevole non si fa sul terreno delle competenze ma su quello degli impegni, sulla riorganizzazione del lavoro, sulla coevolutività dei ruoli. Ma allo stato attuale delle cose non vi sono segni che ci facciano ben sperare. Ricordo però che il confronto è solo all’inizio.

 

Leggendo il Codice di Pisa dall’impegno si passa all’autore, un suo vecchio cavallo di battaglia

Dal compito deriva il compitiere colui che garantisce l’esecuzione dei compiti dall’impegno deriva l’autore colui che garantisce degli impegni quindi dei comportamenti attesi cioè delle opere professionali. Cioè detto in parole povere: se si ragiona per compiti si avrà un certo tipo di infermiere e di medico se si ragiona per impegni si avrà un altro tipo di infermiere e di medico.

 

Nella precedente intervista lei ha sostenuto la tesi che esiste una “questione medica” e una “questione infermieristica” ma che in realtà la questione professionale è una, ed è quella che riguarda il lavoro. Come si rapporta questa tesi al problema dei compiti e degli impegni?

E’ vero e condivido quello che ha detto Roberta Chersevani quando ha sostenuto che le due professioni hanno gli stessi problemi. E’ un bel punto di partenza. Oggi siamo tutti compitieri medici infermieri e altri e in quanto tali abbiamo tutti gli stessi problemi. Per una ragione o per un’altra la società, i problemi economici del sistema, i cambiamenti del malato, ci chiedono impegno nel curare meglio, nelle relazioni, nella conoscenza, nello spendere i soldi pubblici, cioè ci chiedono di diventare degli autori. Ci chiedono di cambiare la forma del contratto, cioè passare dallo scambio compiti/retribuzione allo scambio impegno/retribuzione.

 

Ma come è possibile retribuire l’impegno?

Semplice. Si tratta di definire una doppia concezione retributiva:

  • la retribuzione che si prende tutti i mesi per pagare le competenze prestate
  • l’attribuzione che si prende ad esempio ogni 6 mesi per pagare i risultati misurabili ex post cioè l’impegno.

Ricordo che il termine autore per capirlo va scomposto: auto nel senso di auto-nomia e re nel senso di re-sponsabilità. L’idea che ho spiegato già molte volte è semplice: dammi più autonomia e io ti darò più responsabilità accettando di farmi verificare sui risultati e quindi pagando il tuo lavoro con la retribuzione e con l’attribuzione.

 

Confesso di non aver mai pensato alle ricadute salariali

Non solo lei. Questo aspetto è sempre ignorato. Ma vale la pena di ricordare che il compitiere a conti fatti prende meno soldi dell’autore perché il valore di mercato di quello che fa è più basso. La competenza vale meno dell’impegno perché in questo ultimo c’è un valore aggiunto in più. La differenza è come tra una sedia fatta in serie e una sedia fatta a mano. Tra la produzione industriale e la produzione artigianale. Chiaro? Cioè detto fuori dai denti signori medici e infermieri datevi una svegliata nel tempo della micragna conviene essere autori non restare dei compitieri. Gli autori sono molto ma molto più sostenibili dei compitieri. Chiaro?

 

Molto chiaro. Gli autori sono più sostenibili ma solo perché immagino producono meno diseconomie di un compitiere. Ho capito bene?

Producono più utilità e meno diseconomie. Nel libro “la quarta riforma” la mia proposta di riformare il lavoro è per raggiungere uno scopo di sostenibilità. Si tratta di avere un lavoro che attraverso l’impegno produca più utilità riducendo i costi. E’ questo che rende più sostenibile il sistema e quindi che permette a chi lavora di guadagnare di più. Io credo che convenga a tutti malati in testa che gli operatori della sanità si ridefiniscano come degli autori tanto ai medici che agli infermieri. Se io potessi il primo accordo che come federazione degli infermieri proporrei alla federazione dei medici, è quello di ridefinirci tutti autori. Dopo di ché tutto sarebbe più semplice, ridefinire i ruoli, i comportamenti attesi, le autonomie, le organizzazioni del lavoro, l’integrazione, il lavoro di equipe. Medici e infermieri autori che nel rispetto dei loro ruoli agiscono per impegni. Sarebbe bellissimo.

 

La prospettiva è a dir poco affascinante ma temo che di polenta ne dovremmo mangiare ancora tanta, mi fermerei qui...

Prima di chiudere vorrei aggiungere dei ringraziamenti… me lo consente?

 

Prego professore ci mancherebbe altro…

Questa intervista è la quinta se non sbaglio e chiude un ciclo di ragionamenti sul codice deontologico proposto dal collegio ipasvi di Pisa.

Il primo ringraziamento va naturalmente a “Infermieristicamente” che offrendosi come servizio alla professione ha concesso tutto questo spazio per far capire, per informare e per formare.

Il secondo ringraziamento va ad un infermiere che non conosco ma che è l’unico infermiere che dopo la pubblicazione del Codice di Pisa si è pubblicamente pronunciato scrivendo una lettera al direttore di Quotidiano Sanità (Clicca QS Il Codice di Pisa. Spero che Ipasvi ne prenda nota 12 ottobre 2016) e che è Luca Sinibaldi infermiere di medicina generale.

Infine mi permetto di augurare tanto alla Fnomceo che all’Ipasvi buon lavoro nell’interesse generale di questo paese.

 

Bene professore, grazie anche a lei per la sua straordinaria disponibilità, per tutto quello che ci ha detto, per tutto quello che ci ha dato in questi anni e che spero continuerà a darci. E continui a provocarci, noi a differenza dei “mastica brodo”, come li chiama lei, ci scandalizzeremmo se lei le provocazioni non ce le facesse più. Ricordo che “vocare” vuol dire “chiamare” e che “pro” vuol dire “fuori” e che “chiamare fuori” ha il significato di “sfidare”.

Le voglio anticipare che stiamo valutando la possibilità di raccogliere le sue interviste per farne una pubblicazione. Grazie anche a tutti i nostri lettori, che ci hanno seguito in questo lungo e immagino faticoso ciclo di interviste. E infine grazie al Collegio IPASVI di Pisa di esistere e per il grande contributo che ha dato alla nostra causa professionale. Ci associamo ai suoi auguri di buon lavoro alla Fnomceo e alla FNC IPASVI, anche noi facciamo il tifo per una coevoluzione del tavolo per la coevoluzione della proposta. Abbiamo davvero un gran bisogno di voltare pagina...

 

Leggi anche:

- INTERVISTA 1: Riforme Codice Deontologico degli Infermieri: intervista a Ivan Cavicchi (Clicca)

- INTERVISTA 2: Cavicchi: La lotta intestina dell'IPASVI all'ombra della Riforma del Codice Deontologico (Clicca)

- INTERVISTA 3: Infermieri: L'innovazione deontologica attraverso l'autonomia professionale. Intervista a Ivan Cavicchi (Clicca)

- See more at: http://www.infermieristicamente.it/articolo/7248/cavicchi-agli-infermieri-cercate-la-coevoluzione-con-i-medici-invocata-da-pisa-non-la-guerra-dei-bottoni--proposta-dalla-fnc-ipasvi-quarta-intervista/#sthash.ewRx5Fvj.dpuf

Leggi anche le Interviste precedenti:

- INTERVISTA 1: Riforme Codice deontologico degli infermieri: Intervista a Ivan Cavicchi (Clicca);

- INTERVISTA 2: Cavicchi: La lotta intestina dell'IPASVI all'ombra della riforma del Codice Deontologico (Clicca);

- INTERVISTA 3: Infermieri: L'innovazione deontologica attraverso l'autonomia professionale. Intervista a Ivan Cavicchi (Clicca);

- INTERVISTA 4: Cavicchi agli infermieri: cercate la coevoluzione con i medici invocata da Pisa, non "la guerra dei bottoni" proposta dalla FNC IPASVI (Clicca)