Iscriviti alla newsletter

Codice verde contestato e pressione sull'infermiera: la famiglia replica

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 03/04/2017 vai ai commenti

Emilia RomagnaLa rivistaNursing

Alcuni giorni fa abbiamo pubblicato quanto segnalatoci da un'infermiera di Pronto Soccorso che si è trovata a dover fronteggiare l'atteggiamento aggressivo di una famiglia che non concordava sul codice verde assegnato a un proprio congiunto e che, in considerazione di ciò, ha fatto intervenire la Polizia per far prevalere le proprie opinioni sulle valutazioni dell'infermiera stessa. Ma, soprattutto, anche per evidenziare quello che poi è stato l'atteggiamento susseguente dell'Azienda ospedaliera nei suoi confronti (Clicca).

A distanza di qualche giorno riceviamo via mail la replica della famiglia del paziente, che per correttezza e perchè richiesto, di seguito pubblichiamo integralmente.

 

Solo ieri, informati da amici – che hanno occasionalmente letto l'articolo riportato su www.infermieristicamente.it (articolo 7481) – abbiamo (la sottoscritta, suo marito (l'ammalato) e la famiglia in genere avuto notizia della gravità del suo contenuto che nel travisare la realtà di quanto accaduto, specula per fini – si suppone sindacali – sulla pelle di un ammalato in pericolo di vita, azzardando l'ipotesi che l'infermiera sia stata minacciata anche fisicamente per questioni senza fondamento, offesa e perfino umiliata perchè costretta a fornire le proprie generalità in servizio alle forze dell'ordine e ciò, soggiunge l'ignoto autore dell'articolo, solo perchè qualcuno (l'ammalato) ha ritenuto la sua valutazione … non adeguata, supponendo che quanto accaduto sia conseguenza della mancanza di pudore di guardarsi intorno e vedere che, forse, c'è chi ha urgenze maggiori delle proprie.

L'autore dell'articolo, oltre ad enfatizzare il coinvolgimento emotivo e la sensazione di abbandono dell'infermiera che non trovato alleati o difensori di ufficio nell'Azienda, motiva l'interesse alla vicenda e alla pubblicizzazione del fatto con la finalità di riportare il valore della civiltà e della moralità anche laddove talvolta se ne perde il senso!, titolando l'articolo I parenti non accettano il codice verde al PS: Infermiera insultata e umiliata perfino dall'Azienda.

* * * * * * * * * * * * * *

In realtà, egregio ma ignoto autore, sarebbe stato necessario oltre che opportuno almeno ricevere una corretta informativa sul fatto e non privilegiarne una ricostruzione in stridente contrasto con la realtà dei fatti secondo quanto sono stati vissuti dall'ammalato, dalla moglie e da chi si è trovato presente all'accaduto.

Per intanto, è il caso di informare chi legge, che l'ammalato – che preferisce mantenere l'anonimato, per proteggere la sua indicibile sofferenza ed il filo che lo lega alla vita – non era paziente accidentale o occasionale, essendo da più mesi ospite-obbligato, dell' (omissis) in quanto disgraziatamente affetto da leucemia mieloide acuta e non più in condizioni di subire trattamenti aggressivi né terapie compatibili con lo stadio della malattia oncologica né e soprattutto di essere esposto ai pericoli dell'ambiente in quanto evidentemente privo della necessarie difese, tant'è che dopo l'accaduto sono comparsi segni di polmonite, non ancora rimossi.

DI qui l'insofferenza ad un'attesa, su una sedia!, in corridoio non riscaldato per ore, senza che l'infermiera abbia voluto prendere atto che il ricovero non poteva essere rinviato allo stesso modo delle terapie del caso, la cui urgenza conseguiva alla progressiva debilitazione del paziente.

A questo punto soltanto, dopo alcune ore e non senza aver segnalato alla detta infermiera il pericolo di vita che attanagliava l'ammalato, i congiunti moglie e figli, presenti, hanno invitato l'infermiera a prendere atto della gravità della situazione per il cui accertamento non giovava l'ordinario protocollo di accettazione al Pronto Soccorso, ma un modesto e semplice prelievo di sangue al fine di rilevare percentuali di neutrofili, piastrine globuli bianchi e quanto altro utile e necessario in soggetto in evidente stato pre-comatoso.

Nel contestare il presunto comportamento offensivo, ingiurioso e minaccioso, attribuito ai congiunti ed all'ammalato stesso – a chi scrive non piace l'espressione … fino ad arrivare a chiamare la polizia perchè è questo che ha salvato la vita, almeno per ora all'ammalato. Infatti, accertata l'insolenza dell'infermiera – che non ha ritenuto di verificare la criticità delle condizioni dell'ammalato, trincerandosi dietro un errato e non compatibile codice verde, solo l'intervento del medico – sino ad allora negato dall'infermiera – ha consentito l'immediato ricovero dell'ammalato all'esito anche di un esame del sangue, prova sino ad allora negata, immotivatamente.

* * * * * * * * * * * * * * *

Chi scrive ignora il livello dei rapporti tra Azienda sanitaria e dipendenti, ma certamente deve dire che l'arroganza di presumere una capacità divinatoria delle condizioni dell'ammalato e di confinare su una sedia e per ore in un corridoio privo di ogni conforto, un ammalato oncologico con problemi di respirazione, piastrine neutrofili e globuli bianchi – tra l'altro! – non si concilia con una normale capacità professionale né con lo stato di sofferenza dell'assistito soprattutto allorchè il modo di determinare il codice di assistenza risulta inadeguato per difetto di verifiche e/o di indagini inutilmente, sino all'arrivo della Polizia, negata sulla base di una evidente presunzione diagnostica.

Tanto per dire che, verosimilmente, gli esiti di polmonite insorti poco dopo, potrebbero essere stati determinati dal gelido freddo che arieggiava il corridoio.

Confidiamo che anche questo legittimo sfogo sia integralmente riprodotto nella rivista alla quale è indirizzata. Tanto solo per la verità dei fatti che hanno sì offeso la dignità ma del malato.

 

Cordialmente

 

Siccome però, come emerge chiaramente dalla missiva, traspaiono delle accuse anche nei confronti della sottoscritta, è doverosa da parte mia una replica su questi specifici passaggi.

E' bene in primo luogo specificare, se qualche altro lettore distratto fosse incorso in tale errore, che l'articolo non è affatto anonimo, bensì da me stessa firmato (tant'è che la replica è arrivata al mio indirizzo mail e non alla Redazione); si è voluto mantenere "anonimo" il mittente del contributo, presumibilmente non troppo distante dalla verità se in esso vi è stato chiaro riconoscimento da parte di chi mi scrive oggi.

Allo stesso modo è improprio assegnare alla mia persona la ricostruzione dei fatti in quanto, come chiaramente detto nell'articolo, si è trattato della pubblicazione di una testimonianza pervenutaci, rispetto alla quale nell'introduzione allo stesso si è proceduto a una mera sintesi e analisi del suo contenuto.

Questo riguardo ai fatti, sullo svolgimento dei quali non ho mai ritenuto, né lo faccio ora, di avere alcuna “capacità divinatoria”.

Resta di fondo, e la replica lo conferma, un rapporto con il sistema sanitario e con gli operatori che ogni giorno vi dedicano la propria professionalità, che presenta non pochi problemi e non di secondaria importanza.

E' comprensibile (e ci mancherebbe altro) il forte coinvolgimento, anche emotivo, dei congiunti nelle vicende sanitarie dei propri cari.

Ciò che non è comprensibile, e per me in ogni caso ingiustificabile, è l'uso della violenza, sia essa fisica, verbale, psicologica o di qualunque altra natura la si possa identificare.

Talvolta questo trasporto induce a far prevalere, nella propria percezione, la situazione che si sta vivendo su tutto il resto, ed è ancora una volta comprensibile. Ma questo è un limite di cui sarebbe bene prendere coscienza, anziché tramutarlo in legittimazione del disconoscimento delle regole che governano il sistema.

E in molte realtà questa mistificazione prende il sopravvento. Se chi mi scrive ha letto, in altre occasioni, quanto pubblichiamo, avrà sicuramente avuto modo di comprendere l'esatta portata di quanto scrivo, e la sua gravità.

Mi preme sottolineare che tutto questo non ha alcun fine “sindacale”; altre sono le sedi e i modi per dirimere tali questioni, che nulla attengono con quanto accaduto. Noi cerchiamo di dare spazio all'espressione del disagio di migliaia di operatori sanitari che, “faccia” del sistema che si relaziona direttamente con il paziente, sono sempre più stretti e costretti a lavorare nei punti di maggior frizione tra aspettative e possibilità. L'unico modo per gestire questa attività di confine è applicare i protocolli. Non esiste un protocollo ordinario e un protocollo straordinario per il Pronto Soccorso, né è facoltà degli infermieri di Triage adottare decisioni personali che travalichino le linee guida, poiché nella gestione globale del servizio questo comporterebbe il caos assoluto.

Se poi il sistema non può garantire al cittadino quanto questo si aspetterebbe, la valutazione di inadeguatezza dovrebbe essere di altro tipo, ed aprire la strada a un diverso livello di disquisizione. Potremmo, invece che inveire con l'operatore, interrogarci sul perchè gli organici siano sottodimensionati, sul perchè i Pronto Soccorso siano costantemente “intasati” da richieste di accesso che dovrebbero invece essere assorbite dai sistemi territoriali, sul perchè i corridoi siano freddi e privi dei comfort per chi vi si deve intrattenere, sul perchè pazienti con storia clinica nota e severa debbano ricorrere al Pronto Soccorso e non abbiano un canale comunicativo privilegiato con l'unità operativa che ne ha in carico l'assistenza... solo per citare alcuni aspetti degni di nota.

Ma, come siamo abituati a rilevare, i problemi sono così complessi che la via più semplice è quella di inveire contro l'infermiere ed attribuire ingiuriosamente le carenze dell'intero sistema a una presunta incompetenza dell'operatore.

Ho il massimo rispetto per il paziente coinvolto in questa vicenda (e per i pazienti tutti), per la sua vicenda umana e per il peso emotivo e fisico che le proprie vicissitudini sanitarie portano con sé; conosco bene questi aspetti, come professionista e come cittadina, paziente e congiunta di pazienti. Ma ho anche il massimo rispetto per le migliaia di colleghi che ogni giorno dedicano tutte le proprie forze al servizio dei cittadini con professionalità e impegno, di cui presumo a prescindere (e tutti dovrebbero farlo) l'applicazione, stante l'esercizio del pubblico ufficio cui attendono, e non certo attraverso l'esercizio di pratiche “divinatorie”.

E' un equilibrio cui non possiamo rinunciare, poiché i servizi sanitari devono essere di tutti, e questo comporta il rispetto delle regole. Una domanda, banale, secondo me fa comprendere come i punti di vista siano importanti: quanti pazienti che accedono al Pronto Soccorso si attribuirebbero un codice bianco, o verde? Sicuramente non la maggioranza (e nemmeno una minima percentuale, a mio avviso), come invece emerge alla prova dei fatti analizzando i dati di Triage. Rispettiamo, per cortesia, chi svolge questo lavoro ed è preparato per farlo. Se poi degli errori ci sono, come accade, altre sono le sedi per giudicare al riguardo. Minacce, violenze e giustizia fai-da-te sono la negazione della convivenza civile.

 

- Fonte immagine di copertina: The Sentinel Watch Nursing