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Gli infermieri raccontano: Mi chiedo se e quando riuscirò a ritornare dal MIO ESILIO

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 12/08/2017 vai ai commenti

Attualità

Mi chiamo V.D.

Mi sono laureata in Scienze Infermieristiche nel 2006 . Subito dopo la laurea , spinta dalla voglia di rendermi indipendente e non gravare più sulle spalle dei miei nonni, coloro che da sempre hanno provveduto al mio sostentamento e alla mia formazione, ho deciso di intraprendere un contratto di socia/dipendente di una delle più famose cooperative operanti nell'ambito dell'assistenza infermieristica nella Capitale.

Sono entrata nel mondo del lavoro come professionista "inesperta" ed ignara di tante dinamiche ed ancora oggi il percorso professionale si presenta come un percorso di presa di coscienza lento e molto articolato. D’ altronde siamo esseri umani e lavoriamo con esseri umani.

Dopo un anno, quasi due, di lavoro nella cooperativa, a fronte delle 200 e oltre ore mensili di "sfruttamento "in giro per le varie unità operative, dove la realtà

era SAPERE QUANDO INIZIARE IL TURNO E NON SAPERE QUANDO FINIRLO , ho deciso di tentare nuove strade. Ho partecipato quindi,

INGENUAMENTE, a dei concorsi pubblici che ovviamente non erano in regione ( Lazio) ,in quanto ero fuori tempo per quelli gia usciti ed eravamo entrati in questa famosissima fase chiamata BLOCCO DEL TURN-OVER, che doveva

durare 3 anni mentre a conti fatti ne è durata 10.

Vinti i concorsi, mi sono trasferita in questa città che mi ha accolto e professionalmente parlando mi ha fatto crescere tanto. Il tempo è passato e ogni tanto ho cercato di rassegnarmi a dover vivere nell'attuale città, ma c'è sempre stato in me un senso di malessere che proveniva dal non riuscire a festeggiare i compleanni dei miei cari, dal non riuscire ad essere presente in famiglia neanche solo per un augurio veloce di Natale prima del turno, dal non poter consolare i miei parenti amareggiati da una perdita. Sì perché la vita di un infermiere, e in generale di chi lavora dentro una struttura ospedaliera o che reca assistenza è una vita a metà, festività e domeniche sono per noi quasi anonime. Chi fa i turni, infatti condivide coscientemente questa quotidianità con chi ha bisogno e non a tavola con i propri cari. E' una scelta di vita, come anche la scelta di andare a lavorare in un altra città e/o paese. Ma questa scelta di vita non può e non deve rimanere L'UNICA SCELTA. Quando mi sono laureata è nata la mia nipotina ed ero felice di poterle cambiare il pannolino, ora questa nipotina ha 11 anni e mi chiedo se quando riuscirò a ritornare dal MIO ESILIO sarà poi lei a dover assistere me.

I miei nonni hanno 90 e 86 anni e hanno ormai iniziato (per fortuna siamo un paese longevo) il loro inarrestabile declino psico-fisico. Ora, quando torno a casa e vedo che ancora mi riconoscono sono felice. Potrei chiedere la famosissima 104 per i miei nonni, ma ho preferito lasciare che le mie zie si occupassero di loro, in quanto per me non è facile essere li a disposizione in un battibaleno, ci sono più di 500 km che ci dividono, e non sempre si ha il tempo di organizzare le loro visite compatibilmente con i miei turni.

Ho tentato in vari modi di rientrare in regione ma le mie sono state azioni senza nessun riscontro: avvisi pubblici con graduatorie mai uscite, mail senza risposta, richieste di mobilità compensative non andate a buon fine (i cosidetti cambi alla pari a 2 a 3) e bandi di mobilità dove il mio status di FUORI REGIONE mi ha impedito di partecipare. Poi finalmente l'anno scorso si muove qualcosa, mobilità e addirittura concorso, banditi dall'azienda Umberto I. Mi chiedo se sia la volta buona per ritornare a casa e poter dire ai miei cari: "io ci sono e non vado piu via".

Ma la mia gioia finisce presto tra avvocati ricorsi e concorsi , e si affaccia la voglia di vivere una vita serena, dove le questioni lavorative di tutti i giorni diventano una piacevole routine , a fronte delle continue porte in faccia.

Alla mia età , sento forte il bisogno di tornare nella mia città e di stare vicino ai miei cari. Sento forte le radici della mia cultura. Sento forte il bisogno di ricongiungermi con il mio compagno e magari tentare di avere una famiglia unita.

Sono felice dell'esperienza fatta, ma sarei altrettanto felice di avere una minima possibilità di tornare ad esercitare la mia professione nella mia città. Fare esperienza fuori regione come anche fuori nazione è una grande opportunità ma non deve arrivare ad ESSERE L'UNICA SOLUZIONE PER AVERE UN CONTRATTO DI

LAVORO CHE RISPETTI LA DIGNITA' DELLE PERSONE.

Cordiali saluti