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Demansionamento: una condanna all’ex manager dell'ospedale Brotzu di Cagliari  

Il tema del demansionamento non è più solo materia buona per le discussioni di reparto, tantomeno per riempiere sale di infermieri, bramosi di sapere se sia vero o meno che ci si possa rifiutare di rifare un letto vuoto, tanto per citare uno dei dubbi ancora più frequenti. E’ dal 1994 che il nostro lavoro si è trasformato da professionale a intellettuale ma tant’è, ancora non siamo riusciti a scrollarci di dosso quei dubbi e quei timori che non consentono alla categoria e alla figura dell’infermiere di imporsi con autorevolezza e quando serve, autorità. Certamente non giova avere una federazione nazionale che ancora non sia riuscita a togliere dalla sigla proprio quel “professionale” che di fatto, continua a relegarci complessivamente a figura di contorno. Se poi entriamo nel tema della revisione del codice deontologico e di fatto, della mancata abolizione del famigerato articolo 49 solo per citare uno dei temi più scottanti, si capisce che la strada continua a essere in piena salita.

Ecco allora che il demansionamento, diventa argomento buono per gli avvocati, buono per cause di peso presso i tribunali, buono per ricordarci quanto sia importante la tutela del decoro della professione e della dignità degli infermieri che la esercitano.

Il nostro giornale ha trattato spesso il tema, ospitando commenti autorevoli quali quelli del Prof. Ivan Cavicchi nella sezione del sito appositamente costruita, riportando le cronache dai tribunali, dando spazio ad alcune illuminate prese di posizione di qualche collegio IPASVI e alle opinioni dei colleghi.

Un tema che non ci è sfuggito quindi e che si arricchisce di una notizia che arriva dal tribunale di Cagliari che ha condannato l’ex manager dell’ospedale Brotzu Antonio Garau, a  un anno e tre mesi in primo grado per mobbing.

Un nuovo caso di infermiere demansionato direte voi. No e questo è il motivo che mi ha spinto a proporvi la notizia. In questo caso, l’illecito riguarda un ufficio lontano dall’assistenza diretta al paziente, ossia quello della Struttura Complessa del Servizio di Prevenzione e Protezione diretto  dal querelante: l’ingegner Bruno Giorgio Franco Facen. L’ex manager avrebbe posto in atto determinazioni che hanno nel tempo svuotato di funzioni e contenuto il servizio fino a rendere il suo direttore privo di effettiva funzione, configurando un demansionamento di fatto. L’ingegnere si è rivolto così al tribunale ottenendo ragione a dieci anni dagli eventi.

Insomma, cosa centra tutto questo con l’ufficio dell’ingegnere svuotato di funzioni e una qualsiasi giornata di lavoro dell'infermiere di un qualsiasi ospedale italiano?

Centra nella misura in cui l’ingegnere è riuscito a dimostrare con le prove la misura del suo demansionamento, mentre noi infermieri stiamo ancora a chiederci se lavorare in due per turno con un oss in servizio e venti pazienti, nel migliore dei casi, non lo sia altrettanto se non di più.

Ecco perché questa notizia mi ha colpito. Perché ha dimostrato che quando la documentazione consente di accertare natura e qualità del demansionamento, i giudici dimostrano con sentenze come questa (ed altre per fortuna, come abbiamo testimoniato) di potersi schierare dalla parte dei lavoratori.

Non sappiamo in cosa si sia qualificata l’esatta natura del demansionamento perpetuata ai danni dell’ingegnere e neanche ci interessa a questo punto. Ci interessa piuttosto riflettere sul fatto che se un giudice è capace di infliggere una condanna del genere ai danni di un manager perché dentro un ufficio si è lesa la dignità di un lavoratore, cosa possiamo aspettarci che accada se a quel giudice si portassero le prove del fatto che la terribile qualità dell’assistenza che in troppi casi forniamo ai nostri pazienti, non dipende certo da imperizia, quanto dalla mancanza di strumenti e condizioni di lavoro idonee a garantire almeno i livelli minimi di cui tanto si parla? Pensate a un vostro turno in corsia e riflettete su quante querele al giorno potreste essere in grado di fare.

Le prove signori, è sulle prove che si infrange ogni singola speranza di veder accolta e ristorata una querela per demansionamento. E sulle prove documentali, purtroppo continuiamo ad avere un grosso deficit legato alla mancata produzione di documenti che misurino e pesino la quantità, la complessità e quindi la qualità del lavoro che svolgiamo ad ogni turno. Si, perché non basta portare al giudice il tabulato mensile dei turni da dove si evince la mancanza del personale di supporto ad ogni turno o quasi, per esempio. Ai giudici bisogna dimostrare che le mancanze si riflettono direttamente sull’impossibilità di adempiere al ruolo che la norma ci ha assegnato.

Ogni irregolarità, ogni carenza, ogni violazione delle norme contrattuali non può essere solo motivo di discussione nel confessionale della cucinetta di reparto. No. Tutto deve essere segnalato per iscritto, dapprima al coordinatore e al direttore del reparto, all’ufficio infermieristico, con il supporto degli Rls e infine dei rappresentanti sindacali se non basta.

Solo così, è possibile valutare se un’eventuale querela abbia fondate ragioni e prove e possa concludersi con il ristoro del danno.

 

Andrea Tirotto