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Infermieri. In Italia il rapporto con i medici è di servilismo. In Inghilterra di collaborazione.

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 10/04/2018 vai ai commenti

AttualitàEstero

Sono giorni che ci concentriamo sulla lotta clandestina tra medici ed infermieri, perché è storia che si ripete: dalla non accettazione dei protocolli infermieristici del 118 alla mancata prescrizione dei farmaci, il timore dello scippo di competenze è sempre il tema principale.

A rilevare la presenza di questo “baronato “non sono solo gli infermieri che si trovano a dover affrontare il continuo svilimento della propria professione, ma uno sguardo critico a riguardo arriva anche dall’estero.

A parlare sulle pagine de il Sole 24 ore, è Alessandro Borca, di Vittorio Veneto che, dopo la laurea a Padova con 110 e lode, un master di un anno in salute mentale a Trieste e un periodo da Carabiniere, ha iniziato a lavorare in Italia cercando di costruirsi una carriera. Dopo quattro anni, nel 2014 ha deciso di trasferirsi in Inghilterra.

Dopo esperienze di lavoro nel Norfolk e a Cambridge, Borca lavora ora a Londra all’University College Hospital, legato a Ucl, una delle più prestigiose università britanniche, ha pubblicato un lavoro e partecipa a studi internazionali multicentrici su terapie sperimentali per pazienti sierpositivi. È infermiere specializzato e abilitato a prescrivere medicine, cosa che in Italia non è consentita.

Broca parla della Brexit, che ha avuto un determinato impatto sulla migrazione degli infermieri: l’incertezza sui diritti futuri ha determinato un calo del reclutamento di infermieri dall’estero.

Secondo il Royal College of Nursing (Rcn), che rappresenta 435mila infermieri, da maggio 2016 a maggio 2017 c’è stato un crollo del 92% nelle registrazioni di infermieri dai 27 Paesi Ue in Inghilterra .

L’NHS conta40 mila posti vacanti.

Questo divide i sostenitori o meno della Brexit, se da una parte i “Remainers” leggono in questo un disastro per il sistema sanitario, dall’altra i “Leavers” credono nel bisogno di investire nella formazione degli infermieri britannici, evitando così di affidarsi all’importazione degli operatori sanitari stranieri.

La Brexit, sembra non abbia contribuito a creare un clima favorevole negli ospedali della Gran Bretagna.

Oltre a non avere più certezza dei diritti futuri, si avverte ostilità verso gli stranieri, episodi di razzismo e intolleranza da parte di pazienti, sottolinea Broca.

Uno studio di Germarck at al. , rileva una correlazione inversa tra la presenza di infermieri stranieri e la soddisfazione dei pazienti, le differenze culturali influenzano inevitabilmente la qualità delle relazioni infermiere-paziente e direttamente la qualità dell’assistenza.

Nonostante l’Inghilterra non sia più quella situazione idilliaca per gli stranieri, Alessandro, torna a ribadire come il concetto di meritocrazia sia ancora fortemente presente; lui stesso racconta - Quello che ho trovato in Inghilterra sono state le opportunità. In meno di quattro anni di vita qui ho avuto un’ascesa professionale che ancora continua perché mi è stata data la possibilità di dimostrare quello che so fare.

«In Italia le specializzazioni che sono state create con il master non sono riconosciute a livello contrattuale o salariale, - spiega. – Dominano ancora i baroni, mentre qui vige la meritocrazia. In Italia il rapporto tra medici e infermieri è di servilismo, mentre in Inghilterra è di collaborazione e rispetto reciproco.

Anche visti dall’esterno, questa guerra clandestina in seno alla sanità è evidente.

Per superarla ci vuole un cambio generazionale ed un cambio culturale non indifferente.

 

Da ilSole24 ore