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Sepsi. A predire complicanze e mortalità è una proteina. L’eccezionale studio italiano

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 01/06/2018 vai ai commenti

Studi e analisi

Una proteina, la Pentraxina3 (PTX3), l’ indicatore di rischio di complicanze e mortalità in pazienti colpiti da sepsi.

E’ quanto emerso da uno studio italiano, cui hanno collaborato l’Istituto Clinico Humanitas e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, con il contributo di Fondazione Irccs Ca’ Granda-Ospedale Maggiore Policlinico dell’Università di Milano, quale centro coordinatore dello studio Albios.

 

Sepsi

La sindrome clinica deriva da una risposta anomala e generalizzata dell'organismo a un'infezione e determina un danno a carico di uno o più organi mettendo in serio pericolo la vita stessa.

Uccide quattro volte di più del tumore del colon, cinque volte di più dell' ictus e dieci volte di più dell'infarto miocardico.

La sua mortalità nei casi più gravi può raggiungere il 70% e la sua incidenza è in continuo aumento. In Europa si contano più di 700.000 casi di Sepsi all'anno di cui uno su cinque ha esito fatale.

Chi sopravvive, spesso, riporta conseguenze organiche per tutto il resto della vita. Si tratta di una vera e propria emergenza medica con un tasso di mortalità ancora troppo elevato.

Per le sue caratteristiche cliniche è difficilmente diagnosticabile, specialmente nelle fasi più precoci e può colpire chiunque senza distinzione di età, sesso, condizioni di salute precedenti. Sono maggiormente esposte le persone con ridotte difese immunitarie. Gli anziani e i bambini i più colpiti. E' una malattia "tempo dipendente": prognosi peggiore in caso di tardivo riconoscimento/trattamento.

E', infatti, ampiamente dimostrato che il tempestivo riconoscimento associato a una gestione terapeutica adeguata nel tempo e nei metodi permette una prognosi più favorevole. Inoltre le "nuove" resistenze agli antibiotici sembrano ridurre le possibilità di cura efficace.

 

Era già nota la correlazione tra più alto rischio di mortalità e più alti livelli di PTX3 nel sangue dell’infartuato, e da tempo si indagava sul ruolo della PTX3 nel rilevare il rischio di complicanze e mortalità nei pazienti con sepsi, un’infezione generalizzata a tutto l’organismo dovuta all’ingresso nel circolo sanguigno di batteri.

 

Lo studio è stato condotto su 958 pazienti ricoverati per sepsi grave in diversi reparti di Terapia Intensiva, a 1, 2 e 7 giorni dal ricovero: è stato rilevato che alti livelli di PTX3 al giorno 1 erano associati a maggiore gravità del paziente (shock settico) ed erano in grado di predire l’insorgenza di gravi complicanze a carico del sistema cardiovascolare, coagulativo e renale. Di conseguenza, una minore riduzione dei livelli di PTX3 nel tempo si associava ad un maggior rischio di mortalità del paziente.

 

Da Panorama della Sanità e SIaarti.it