Iscriviti alla newsletter

La teoria del “rospo-Infermiere” nella pentola. Istruzioni per sopravvivere nelle organizzazioni sanitarie

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 24/08/2018 vai ai commenti

EditorialiNarrative Nursin(d)g

di Salvo Lo Presti

 

Vi racconto una favola, parla di un Rospo, ma vi assicuro che leggendola vi accorgerete di come quel rospo potrei essere io, potreste essere voi, o semplicemente un Infermiere….

 

Immaginate una pentola piena d’acqua fredda e dentro una rana che nuota tranquillamente. Si accende il fuoco sotto la pentola. L’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana trova la situazione piacevole e continua a nuotare.

La temperatura comincia a salire. L’acqua è calda, un po’ più calda di quanto piaccia alla rana ma per il momento non se ne preoccupa più di tanto, soprattutto perché il calore tende a stancarla e a stordirla. L’acqua è ora davvero calda. La rana comincia a trovarlo sgradevole ma è talmente indebolita che sopporta, si sforza di adattarsi e non fa nulla.

La temperatura dell’acqua continua a salire progressivamente, senza bruschi cambiamenti, fino al momento in cui la rana finisce per cuocere e morire senza mai essersi tirata fuori dalla pentola.

Immersa di colpo in una pentola d’acqua a 50 gradi, la stessa rana salterebbe fuori con un salutare colpo di zampa”.

 

(Marty Rubin, The boiled Frog Syndrome, 1987 – Olivier Clerc, La grenouille qui ne savait pas qu’elle était cuite… et autres lecons de vie, 2005)

 

 

Immaginate un reparto ospedaliero, di quelli che conosciamo benissimo, senza organico a sufficienza, senza risorse tecnologiche adeguate, senza i presidi minimi che ci permettano di lavorare secondo linee guida e protocolli, con un personale che fa fatica a riconoscersi in ruolo e mettiamoci dentro un Infermiere: senza troppa fatica e per comodità o per il senso di impotenza che lo opprime nel non riuscire a cambiare le cose, si adatterà a quel modus operandi, e si spegnerà lentamente, insieme ai buoni propositi, alla sua esperienza, alla sua capacità e professionalità, lentamente morirà insieme ai no, alle porte sbattute in faccia, ai “si è sempre fatto così”.

E quando inevitabilmente arriverà al punto massimo di sopportazione, l’infermiere non avrà più la forza di cambiare, di uscire dal tunnel di appiattimento in cui è imbrigliato, sarà troppo stanco a causa degli sforzi che ha fatto per adattarsi a quella pericolosa situazione.

 

Qualcuno potrebbe pensare che ad uccidere l’ infermiere, inteso come professione, potrebbe essere stata l’organizzazione sanitaria, questo sistema salute volto al risparmio.

Invece no, è stata l’incapacità di Cambiare, l’incapacità di uscire da una “zona di confort”, che ci ha costretti alla pigrizia fino ad uccidere ed a mortificare professionalità e capacità.

Ed allora che fare quando ci troviamo “incastrati”in organizzazioni sanitarie pericolose e malate?

Semplice, finché siamo in tempo e l’acqua è ancora fredda nella pentola, dovremmo uscire dalla nostra zona di confort, smetterla di adattarci ai colleghi sbagliati, rapporti gerarchici marci, parassiti che ci “sviliscono”.

Se continuiamo ad adattarci purtroppo corriamo il rischio di “morire dentro”, per questo dovremmo SALTARE FUORI FINCHE’ SIAMO IN TEMPO !

Qualora l’acqua cominciasse a essere troppo calda per poter reagire da soli, occorre l’aiuto di qualcuno per aiutarci a saltare fuori da una situazione che, alla lunga, si rivelerà rovinosa.

E quel qualcuno può essere solo un Sindacato, capace di difendere la professione, di lottare contro tutto e tutti ed a qualunque costo, per ribaltare sistemi organizzativi marci e pericolosi, nei quali siamo finiti, ma dai quali possiamo uscirne Vivi.