Infermieri. Turni stressanti e carichi di lavoro. Quando possono diventare mobbing? Te lo dice la Cassazione
Che fine ha fatto il disegno di legge su Mobbing e Straining, che si proponeva di introdurre nel codice penale una fattispecie incriminatrice ad hoc contro le molestie morali e le violenze psicologiche sul luogo di lavoro è all'esame della commissione giustizia della Camera?
L’interesse per la tutela della salute psicofisica del lavoratore, diviene un’esigenza anche ai fini giuridici, per poter meglio focalizzare l’attenzione sulle problematiche emergenti nei contesti lavorativi.
Hai l’impressione che il tuo datore di lavoro ce l’abbia con te. Di tanto in tanto non si fa sfuggire l’occasione per metterti i bastoni tra le ruote; ad esempio, ti assegna dei turni più scomodi e a volte più gravosi dei tuoi colleghi, ti riconosce le ferie in periodi quasi mai coincidenti con le tue richieste.
Perché tale illecito scatta solo quando c’è un intento vessatorio, volto a mortificare il dipendete, ad alienarlo e umiliarlo con comportamenti sistematicamente ripetuti nel tempo. Resta il fatto che lavorare in questo clima ti diventa ogni giorno più difficile e pesante.
Se anche tutto ciò non si traduce in una vera e propria persecuzione, sei sicuro che comunque siamo nella sfera dei dispetti.
Innanzitutto bisogna saper riconoscere questo fenomeno; non solo per distinguerlo dal mobbing, ma soprattutto per evitare di cadere nella convinzione che l’eventuale demansionamento o isolamento siano responsabilità della vittima. Un comportamento ostruzionista da parte del superiore, l’indifferenza dei colleghi o l’impossibilità di confrontarsi e confidarsi con loro, può impedire alla vittima di reagire o ancor peggio comprendere la propria situazione.
Come per ogni altra forma di ingiustizia una cosa dev’esser ben chiara: non si è mai soli. Parlarne è un primo passo per capire la situazione e trovare il coraggio di affrontarla
C’è straining, e quindi responsabilità del datore di lavoro, se questi attua azioni ostili nei confronti del lavoratore come ad esempio la privazione ingiustificata degli strumenti di lavoro, l’assegnazione di mansioni non compatibili con il suo stato di salute e infine la riduzione in una condizione umiliante di totale inoperosità.
La Giurisprudenza.
Flavia M., neurologa, dipendente dell'Azienda Ospedaliera di Brescia ha chiesto al locale Tribunale, tra l'altro, di condannare al risarcimento del danno non patrimoniale per il trattamento ostile e svilente, definito "mobbing", tenuto verso di lei dal primario del reparto. Il Giudice ha nominato un CTU che ha accertato un danno biologico del 10% in relazione ad un disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso poi cronicizzato. Sono venuti in considerazione due episodi, verificatisi nel corso di un anno, per i quali il primario è stato condannato in sede penale per l'atteggiamento ingiurioso tenuto verso la collega.
Pertanto il Tribunale ha accolto la domanda determinando il risarcimento in € 30.000,00. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Brescia, che ha peraltro modificato la qualificazione del trattamento subito dalla neurologa definendolo "straining".
La Corte ha rilevato che la situazione determinatasi per la lavoratrice poteva essere qualificata come straining ovvero situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (quindi non rientranti nei parametri del mobbing) ma tale da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente, della condizione lavorativa; il suddetto "stress forzato" può essere provocato appositamente ai danni della vittima con condotte caratterizzate da intenzionalità o discriminazione - come è avvenuto nella specie per i due episodi che hanno visto il primario come protagonista - e può anche derivare dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro disagevole, per incuria e disinteresse nei confronti del benessere lavorativo; è sufficiente, come si è detto, anche un'unica azione ostile purché essa provochi conseguenze durature e costanti a livello lavorativo, tali per cui la vittima percepisca di essere in una continua posizione di inferiorità rispetto ai suoi aggressori; nella specie si riscontrano tutti i parametri di riconoscimento dello straining: ambiente lavorativo, frequenza e durata dell'azione ostile (nella specie almeno semestrale), le azioni subite appartengono ad una delle categorie tipizzate dalla scienza (che sono: attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni, attacchi contro la reputazione della persona, violenza o minacce di violenza), posizione di costante inferiorità percepita come permanente.
Questa decisione è stata confermata dalla Suprema Corte con sentenza n. 3291 del 19 febbraio 2016 (Pres. Stile, Rel. Tria). Ciò che conta - ha affermato la Cassazione - è che, nella specie, sia stata accertato il compimento di una condotta contraria all'art. 2087 cod. civ. e alla successiva normativa in materia, di importazione comunitaria, senza che abbia rilievo - sotto il profilo di una eventuale ultrapetizione - la originaria prospettazione della domanda giudiziale in termini di danno da mobbing e non da straining, in tale diversa qualificazione (mutuata dalla scienza medica) è stata effettuata dalla Corte bresciana lasciando inalterati sia il petitum che la causa petendi e non attribuendo un bene diverso da quello domandato o introducendo nel tema controverso nuovi elementi di fatto.
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Fonte: Altalex, La Legge per tutti