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Infezioni ospedaliere. Responsabilità dell’ospedale e NON degli operatori sanitari. Ecco le motivazioni del Tribunale

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 03/10/2018 vai ai commenti

AttualitàLeggi e sentenze

Le infezioni ospedaliere che intervengono a seguito del ricovero non sono responsabilità di chi cura ma, della struttura dove il paziente è curato”.

 

A stabilirlo il Tribunale di Roma, con la sentenza del 27 settembre 2018.

 

La vicenda

Il paziente era stato ricoverato presso l’unità Operativa di CardioChirurgia dell’ospedale romano, per essere sottoposto ad un intervento di impianto di valvole meccaniche in posizione aortica e mitralica, previa resternotomia e sutura della ferita con punti metallici.

A seguito di ciò al paziente viene successivamente diagnosticata un’infezione della ferita sternale, curata con antibiotico e Vac- therapy.

Alla risoluzione dell’infezione, il paziente viene dimesso.

Undici mesi dopo, a seguito di una recidiva dell’infezione, viene nuovamente ricoverato e sottoposto a nuovo intervento chirurgico per la rimozione dei fili metallici.

A questo punto il paziente trascina in giudizio l’azienda per l’aver contratto l’infezione in ospedale che lo ha costretto ad un secondo intervento chirurgico.

Dal canto suo l’azienda risponde che erano state somministrate le migliori terapie per debellare l’infezione.

 

La perizia accerta che esiste il nesso causale tra l’intervento e l’infezione della ferita da considerarsi a tutti gli effetti ospedaliera, e che questa non è la risultate della malpractice medica ma di carenze strutturali e organizzative dell’ospedale.

Le perizie successive confermano che:

  • il batterio è origine ospedaliera. Quanto al primo contagio è concomitante all'intervento chirurgico e quindi la cosa appare ovvia, quanto al secondo contagio il CTU motIva (anche per il tipo di batterio rilevato) che anche questo caso fosse legato al primo, senza il quale non vi sarebbe stato neppure il secondo

  • il contagio presuppone una qualche carenza, una deficienza di attenzione e di messa in opera in ordine alle procedure di sanifcazione e di asetticità che devono costantemente garantire la sicurezza del paziente contro i contagi da infezioni nella struttura ospedaliera.

 

La decisione del Giudice

Accertato che l’infezione è stata contratta in ospedale, è difficile accertare con precisione il luogo e il momento, il settore di attività, la causa scatenante, il punto debole della catena di protezione delle misure di sanifcazione, che ne hanno causato il contagio, per cui responsabile ne è l’intera struttura sanitaria.

Una volta accertato quindi che il paziente abbia contratto l’infezione, si legge nella sentenza, “in virtù dei principi che regolano l'onere della prova, in materia contrattuale non vi può essere alcun dubbio che incombe alla struttura ospedaliera provare di avere adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta sanificazione ambientale, al fine di evitare la contaminazione. In altre parole l’Ao doveva fornire la prova che l'evento dannoso (contagio) non rientra tra le complicanze prevedibili ed evitabili. Qual è il modo di adempiere a tale prova negativa? Quello di fornire la prova positiva di aver fatto tutto quanto la scienza del settore ha finora escogitato per evitare o quanto meno ridurre al massimo il rischio di contaminazione e di diffusione del contagio”.

In virtù di tali principi, il Tribunale di Roma condanna l’azienda sanitaria ad un risarcimento di 10 mila euro per il paziente, dato che in assenza della prova da parte di questa di aver adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta sanificazione ambientale e che quindi il contagio non sia una complicanza prevedibile ed evitabile della prestazione al paziente, “deve ritenersi che il nosocomio non abbia predisposto e adottato adeguate misure di sanificazione, con accoglimento delle pretese risarcitorie del paziente che, eventualmente, lo abbia tratto in giudizio”.

 

da Quotidiano Sanità

ph credit: dal web