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Cadute in ospedale. Ancora una volta la Giurisprudenza proscioglie da ogni accusa gli Infermieri. Ecco perché

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 17/12/2018 vai ai commenti

AttualitàLeggi e sentenze

Quella delle cadute in ospedale resta un tema dibattuto e controverso per le diverse sentenze che nel tempo si sono succedute, che hanno visto la condanna degli infermieri talune e l’archiviazione le altre.

Abbiamo avuto modo di osservare che gli ultimi giudizi in tema di cadute, sono andati a favore del proscioglimento degli infermieri, prevalendo sulla tanto declamata “posizione di garanzia” altre ragioni.

Con una ordinanza del 26 settembre 2018, il Tribunale di Genova proscioglieva gli infermieri dall’accusa di omicidio colposo, per la morte di un paziente a seguito di una caduta; nella ricerca di una normativa che obbligasse gli infermieri a fare la guarda al letto del ricoverato, non era stato rinvenuto nessun riscontro: la caduta non poteva essere ascritta agli indagati, non essendo possibile ipotizzare che gli stessi fossero ritenuti obbligati a stazionare nei pressi del letto del deceduto per evitare che questi vi scendesse per camminare, peraltro considerando che la contenzione con le spondine dovesse derivare da prescrizione medica, nella fattispecie mancante.

 

A rafforzare tale direzione intrapresa dalla giurisprudenza, un altro recente provvedimento che scagiona ed archivia la posizione degli infermieri, riguarda la caduta dal letto di un paziente con conseguente rottura del femore.

 

I fatti

Le due infermiere sono state accusate di negligenza, imperizia. Imprudenza e mancata vigilanza sul soggetto infortunato, il quale si era procurato una frattura del femore cadendo dal letto dell’ospedale, dove il medesimo si trovava per problematiche di natura neurologica.

Le due indagate venivano accusate di non aver continuato ad apporre le spondine così come nell’annotazione clinica del medico, scritta all’ingresso del paziente in reparto, che prevedeva il “contenzionamento” visto lo stato di agitazione dello stesso.

Il punto saliente della vicenda è il fatto che nella cartella clinica, pur non revocando il condizionamento, si annotavano, nelle tre settimane successive, i reiterati tentativi di mobilizzazione praticati dal paziente, sintomo evidente che erano venute meno le esigenze di immobilizzazione forzata connessa allo stato di agitazione iniziale.

Non deve stupire quindi, che a ragione, secondo il giudice, gli infermieri abbiano preso l’iniziativa di rimuovere le spondine, senza che l’ordine del condizionamento fosse mai stato revocato, posto che il prolungato contenzionamento senza la verifica delle reali necessità avrebbe potuto comportare una denuncia per violenza privata (dell'art. 610 del codice penale).

 

Il Giudice ha reputato prevalere la valutazione del personale circa le migliorate condizioni di salute del paziente sul fatto che esso (personale) fosse tenuto ad attendere che il medico disponesse la rimozione del contenzionamento.

 

da Quotidiano sanità

 

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