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Regione Veneto e IPASVI Padova sui valori minimi di riferimento

1506628_582494998508094_422643258_nSi riunisce domani, 27 febbraio 2014, la V Commissione del Consiglio Regionale del Veneto. 

Tra gli argomenti in discussione anche l’esame della proposta e la predisposizione di un parere sulla “Definizione dei valori minimi di riferimento per il personale di assistenza del comparto dedicato alle aree di degenza ospedaliera - Richiesta di parere alla Commissione Consiliare (art. 8, comma 1, legge regionale 29 giugno 2012, n. 23) - (179/CR)” che dovrebbe rientrare del Patto della Salute e quindi, come confermato anche dal Ministro Beatrice Lorenzin, avere impatto sulle linee di indirizzo a livello nazionale.

In occasione dell’eventoIl tempo dell’assistenza: standard assistenziali e valori di riferimento sui temi della delibera della Regione Veneto riguardante la “definizione dei valori minimi di riferimento per il personale di assistenza”, tenutosi a Padova il 7 febbraio scorsola componente politica ha più volte sottolineato la disponibilità a “rivedere e modificare” i parametri degli standard enunciati nella delibera (LEGGI: DELIBERA FABBISOGNO INFERMIERI).

In attesa di conoscere in che termini si pronuncerà domani la V Commissione pubblichiamo la nostra intervista al dott. Fabio Castellan, Presidente del Collegio IPASVI di Padova, tra i primi a contestare i valori di riferimento della delibera e ad organizzare l’evento padovano, che ha riscosso grande partecipazione e interesse.

viewMultimediaContentDott. Castellan, il Collegio di Padova è stato tra i primi a manifestare perplessità verso gli standard proposti dalla Delibera della Regione Veneto sulla “definizione dei valori di riferimento per il personale di assistenza del comparto dedicato alle aree di degenza ospedaliere”. Potrebbe descriverci gli elementi di criticità da voi evidenziati?

Le ricadute dell’applicazione degli standard in discussione sono state oggetto di numerose riflessioni e discussioni all’interno della rappresentanza professionale; oltre a questo, in più occasioni e da parte di più interlocutori della professione infermieristica e della maggioranza dei rappresentanti della stessa, sono state ribadite conseguenze negative derivanti dall’applicazione degli standard elencati  nel documento, e a questo sono emerse delle preoccupazioni  sia di metodo che di contenuto.

Da subito sono sorte legittime perplessità in merito alle modalità di scelta dei tempi assistenziali di riferimento. La scelta deriva da una rilevazione che ha interessato i primi tre mesi del 2013, gli ospedali provinciali e le due aziende ospedaliere della Regione Veneto.

Come valore standard viene indicata la media dei tempi di assistenza  rilevati per singolo paziente  nelle due aziende  che hanno presentato i valori più bassi (the best).

Solo per la Medicina interna la Regione ha scelto come riferimento la mediana,  indice di posizione  che descrive in maniera più completa della media aritmetica, che risente notevolmente dei valori “outlier”, la tendenza centrale  di una distribuzione.

Assumere come standard di riferimento il valore della media, rilevata considerando le due aziende che registrano  i tempi  di assistenza  giornalieri per pazienti   più bassi,   espone a diversi rischi anche in ragione del fatto che tali indicatori possono derivare da carenze ed inadeguatezze dei servizi erogati, piuttosto che da situazioni di efficacia ed efficienza.

A sostegno di ciò si ricorda che sono oramai numerose le ricerche che documentano come  un rapporto infermiere/ paziente  non ottimale possa generare esiti  negativi sul  paziente.

La letteratura internazionale sull’argomento è abbastanza considerevole, sia per ampiezza che per qualità degli studi, qui si conferma una relazione diretta fra consistenza numerica degli organici infermieristici e:

• mortalità dei pazienti;

• eventi avversi, quali le infezioni contratte durante la degenza, le lesioni da pressione, le cadute e i soccorsi mancati;

• altre misure di qualità che vanno ad incidere sul benessere della persona assistita.

Un ulteriore elemento che crea preoccupazione  è dato dallo “skill mix” fra infermieri ed OSS da utilizzare nella dotazione organica. Se nel  documento “ Definizione dei valori di riferimento per il personale di assistenza del comparto dedicato alle aree di degenza ospedaliera”   si richiama complessivamente  il rapporto   infermieri/OSS  nella misura di 3/1 per la struttura sanitaria, da una valutazione attenta del citato documento, sembra invece che  il tempo OSS, identificato come  “percentuale di attribuzione dell’assistenza di base e di supporto dell’operatore  socio sanitario”, possa  rappresentare anche il riferimento per calcolare  i minuti di assistenza che l’OSS deve assicurare  nell’ambito del tempo complessivo di assistenza (Infermieristica + OSS) giornaliera per paziente. A titolo esemplificativo, si verificherebbe che    nei 185 minuti complessivi di assistenza identificati dalla Regione Veneto, come riferimento per la Medicina interna e la Chirurgia,  per ogni paziente sarebbero garantiti al giorno 124 minuti dagli infermieri e  61 minuti dagli oss  con un rapporto quindi tra  infermieri /OSS di 2:1. decisamente inferiore rispetto al rapporto da sempre richiamato di 3 infermieri/1 OSS, ammesso ma non concesso che l’attività dell’OSS, supportiva all’attività intellettuale dell’Infermiere diventi sostitutiva della stessa, in proporzione ai minuti, e al tema considerato.

Si evidenzia inoltre come, nel definire l’offerta, intesa come la disponibilità di tempo/lavoro  effettivamente reso dal personale in servizio, si debbano considerare i dati di presenza media e non teorica, anche a fronte dei  diversi istituti e benefici di legge che comportano una sensibile contrazione del monte ore di riferimento.

Va ricordato come le variabili organizzative e di contesto presenti nelle aziende possono incidere significativamente sull’effettiva disponibilità di risorse per l’assistenza. Si intendono ad esempio elementi quali: la logistica, le tecnologie disponibili, la distribuzione degli spazi ed il dimensionamento delle unità operative, con posti letto in alcuni contesti altamente inefficienti, aspetti che dovranno necessariamente trovare dei correttivi a livello di singole realtà aziendali.

Questi parametri di riferimento rappresentano un livello di assistenza limitato, quando l’assistenza infermieristica fa parte di un livello che deve essere garantito.

L’assistenza infermieristica, non può essere rappresentata da una espressione ragionieristica, ma dalla coniugazione empirica fra il prodotto dell’infermieristica e l’aspettativa che il cittadino ha rispetto al nostro operato. L’assistenza è il prodotto dell’infermieristica. Non esiste il caso in sanità dove si può dare il prodotto A, B o C si da sempre e solo il prodotto A. Perché solo il prodotto A è l’evidente, è riconosciuto dalla comunità scientifica, ed è il miglior prodotto per quel paziente in quel momento.

A NOI INFERMIERI viene richiesta sempre una risposta alla soluzione al problema perché i nostri problemi sono bisogni di salute molte volte primari , e soprattutto riferiti alla persona.

Per questa ragione riteniamo strategico che l’infermieristica venga misurata in termini di esito dell’assistenza e non su un processo di cura. Vogliamo essere misurati su questo, abbiamo studiato per farlo siamo preparati e abbiamo una forma mentis che porta al risultato in termini di salute. Diversamente credo sarà difficile formare i futuri infermieri, con l’ottica della classificazione dei pazienti, degli esiti, delle diagnosi, della presa in carico, ma soprattutto nell’ottica della responsabilità. Credo che l’aspetto che riguarda la misurazione degli esiti non sia da sottovalutare, ma sia quell’aspetto  che fa costruire “l’essere professionista” con la sufficiente competenza e dedizione che vanno verso un obiettivo assistenziale,  risultato di un processo intellettuale che si attiva con il bisogno di salute. È questo che ci interessa sviluppare cultura complessiva della responsabilità legata a tutte le dimensioni dell’uomo e non alla sua scomposizione - disgregazione che, andrebbe a rovinare la bellezza della complessità della nostra professione.

Quali le vostre controproposte?

La professione infermieristica da sempre ha cercato di definire il valore rispetto alla salute della popolazione, a maggior ragione oggi che, rispetto al passato, ci troviamo a dover rispondere a nuovi fabbisogni organizzativi dettati dall’azione congiunta di fattori concomitanti tra i quali

  • Aumento della vita media;
  • L’aumento delle malattia croniche degenerative;
  • il contestuale aumento della complessità dei bisogni di salute del paziente;
  • l’evoluzione tecnologica;
  • la convergenza di saperi tra discipline che si sovrappongono nei percorsi terapeutii;
  • la necessità di maggior coordinamento operativo fra i processi di cura;
  • i cambiamenti della demografia professionale, che evidenziano la necessità di innovare schemi organizzativi favorendo le aspettative di crescita da parte della professione infermieristica per nuovi ruoli e responsabilità organizzative.

L’insieme delle sfide poste dai cambiamenti che si stanno mettendo in atto, ci porta a confrontarsi con priorità nuove ed incombenti che riguardano l’aumento dell’efficienza dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali a disposizione, ovvero innalzare il livello di produttività, e il rispondere ad un bisogno di assistenza di un paziente sempre più complesso e fragile.

Per questa ragione si ritiene che la definizione degli standard, in ambito sanitario, debba avvenire in un quadro complessivo, che guardi a tutte le figure del sistema e non solo al personale infermieristico e di supporto.

Diventa fondamentale integrare processi clinico-assistenziali con altre figure professionali con le quali dobbiamo interagire, per non perdere di vista gli esiti sul sistema salute e sulla sicurezza del paziente, ricordando che è concreto il rischio  che,    all’aumento dell’efficienza  non corrisponda un aumento dell’ efficacia delle cure e quindi un miglioramento degli esiti.

Non si può ragionare sui percorsi di sviluppo delle professioni sanitarie e sul corretto impiego delle stesse prescindendo da questo quadro di fondo, e dalle pressioni che l’ambiente esercita in direzione di un cambiamento.

Qualcosa all’interno del nostro sistema sanitario probabilmente, deve cambiare, ma non deve di certo cambiare andando a standardizzare un valore che a nostro avviso non crea problemi di salute anzi probabilmente li risolve.

Probabilmente si deve andare a rivedere l’attuale inadeguatezza del modello tradizionale fondato sul reparto-unità operativa monospecialistica, occorre avviare una riflessione complessiva sul futuro dell’ospedale promuovendo un nuovo impianto progettuale dell’organizzazione ospedaliera strutturata in continuità con l’area territoriale.

Lo scenario attuale palesa con il profilo del professionista, infermiere/clinico che risponde di risultati, che standardizza gli esiti, che riconosce e valorizza il perseguimento di obiettivi di sistema tramite il raggiungimento di obiettivi in termini di salute.

I valori di riferimento per la professione infermieristica sono ben altri ed hanno a che fare con la persona, la salute, la malattia e l’ambiente.

Per questo motivo oggi la vera sfida, non è solo la risoluzione alle disposizioni del dettato normativo al quale faremo e sono già stati fatti degli emendamenti, ma è qualcosa di più. È necessario definire quali riposte dare alle persone che al sistema sanitario pongono delle domande, e successivamente definire gli impegni di una professione.

Per questo la scelta della programmazione ispirate a logiche ragionieristiche, di corto respiro, devono guardare alla costruzione di percorsi di cura appropriata ai bisogni emergenti, che superi il lavoro per compiti e recepisca concretamente quello per obiettivi, non legato a vincoli giuridici e ordinamentali ma regolato dai reali bisogni di salute.

La rilevanza dell’argomento vi ha indotti ad organizzare in tempi brevi l’evento: “I tempi dell’Assistenza: standard assistenziali e valori di riferimento. Vi aspettavate una così ampia e coinvolta partecipazione?

In più occasioni sono state ribadite le conseguenze negative derivanti dall’applicazione degli standard elencati  nel documento. Ci ha stupito che pochi siano stati gli interventi sull’argomento così abbiamo organizzato l’evento “I tempi dell’Assistenza: standard assistenziali e valori di riferimento” considerando un punto di vista strettamente professionale.

Devo dire che in dieci giorni si sono iscritte circa 400 persone, mi spiace per chi non ha potuto partecipare ma purtroppo lo spazio a disposizione non lo permetteva. Credo che questo sia un segnale di forte d’interesse della professione all’argomento ed è un messaggio che la professione infermieristica spontaneamente e serenamente ha voluto dare così come sempre sa fare.

Credo sia stato fondamentale attivare questo confronto fra professionisti istituzioni e società civile al fine di attivare una riflessione su ipotesi di organici più accettabili, rinegoziare la delibera e definire una metodologia più appropriata per la definizione dello standard.

“abbiamo fatto ciò che non si sarebbe potuto non fare”!!!

Durante il convegno la componente politica ha più volte sottolineato la disponibilità a “rivedere e modificare” i parametri degli standard enunciati nella delibera; in che misura e con quali presupposti, secondo Lei?

Si comprendono la volontà della Regione Veneto di giungere ad una definizione quantitativa dello staff infermieristico e di supporto necessario ad erogare cure costo/efficaci. D’altra parte però si ribadisce che il tempo, nel momento in cui viene strettamente collegato alla complessità e al processo assistenziale, è bene non venga considerato in termini assoluti ma come elemento costitutivo di un arco temporale.

Coscienti del fatto che in sanità il minimo non esiste. Il parametro dovrebbe essere usato al fine del bencmark fra aziende e quindi come parametro di confronto.

Il primo parametro proposto è la presenza minima,  che in linea con quanto definito nella letteratura infermieristica è di 200 minuti irrinunciabili per un’assistenza sicura nei reparti di base.

L’altro parametro riguarda il rapporto infermieri/oss che deve essere garantito nel rapporto 3/1 (DGR 3093/2006), non superando quindi la proporzione del personale di supporto oltre il 30%.

Nella formula di calcolo del personale nelle cure intensive non si può considerare il tasso di occupazione del posto letto perché si tratta di area di emergenza. Si devono considerare nelle “cure intensive” i posti letto come sempre occupati. Per questa ragione nelle cure intensive deve essere garantito un rapporto infermiere paziente di 1/2.

Bisogna inoltre prevedere l’istituzione di un osservatorio Regionale e aziendali per la valutazione della casistica di pazienti che accedono alle aree di degenza ad integrazione della definizione dello standard,  che preveda l’inserimento anche di rappresentanti per la professione infermieristica

Ultimo, ma non certo per importanza, aprire una riflessione complessiva sul futuro dell’ospedale promuovendo un nuovo impianto progettuale dell’organizzazione ospedaliera strutturata in continuità con l’area territoriale

L’evento, da quel che si è colto dai partecipanti, ha avuto un riscontro positivo anche in termini qualitativi. Un esempio di un nuovo modo di confronto?

Credo sia proprio quest’ultimo aspetto che si è colto nel convegno: “il nuovo esempio del modo di confronto” un nuovo esempio di libero dialogo tra professionisti, istituzioni e cittadinanza. La difficoltà è reale, ma è altrettanto reale la necessità di arrivare ad una posizione condivisa all’interno della professione nei rapporti con la politica e viceversa. Da qui esprimo la necessità di non interpretare il riconoscimento come una tappa di un percorso di professionalizzazione, quanto la condizione per traghettare al professionalismo.

E’ presumibile ritenere che in un prossimo futuro si dovranno definire anche gli standard assistenziali sul territorio?

In un prossimo futuro molti saranno gli standard che dovranno essere definiti.

È proprio per questa ragione che gli standard non possono considerare parametri numerici collegati a minimi in termini di tempo e a singole categorie coinvolte, ma risultati oggettivi del sistema salute nei confronti di chi si trova nella sfortunata condizione di fare una domanda.

(di Chiara D'Angelo)