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Presidente di Fenagifar contraria alla prescrizione infermieristica: le spieghiamo le nostre motivazioni

Rispondo volentieri alla dott.ssa Pia Policicchio, presidente di Fenagifar di cui prima d’ora non ne conoscevo l’esistenza, innanzitutto per ringraziarla di aver preso in considerazione pur su posizione contraria, le proposte avanzate dal Nursind in merito alla possibilità prescrittiva allargata agli infermieri, come peraltro già avviene in buona parte d’Europa.

Da farmacista lei si ritroverà a dover dispensare farmaci prescritti da nostri colleghi europei: che farà? Attuerà una sorta di obiezione di coscienza? Rifiuterà il farmaco al paziente? Inviterà il paziente a seguire la prassi italiana invitandolo a recarsi da un medico per autenticare la prescrizione fatta da un infermiere inglese?

Un bel dilemma etico, non crede? Ma anche una ingiustificata discriminazione professionale nei confronti degli infermieri italiani qualora lei decidesse di adeguarsi alle regole Comunitarie dispensando il farmaco.

La sua posizione contraria alla prescrizione infermieristica rischia di essere interpretata come una difesa ad oltranza di una corporazione piuttosto che un contributo al progresso del sistema sanitario e francamente, vedendone la sua giovane età, rattrista.

Rattrista anche constatare che proprio per via delle competenze da lei avvalorate a sostegno della sua tesi, non si renda conto di essere “incompetente” nel valutare ciò che gli infermieri oggi conoscono e fanno, con scienza ed esperienza professionale.

Nel merito, forse per non dilungarsi troppo nelle argomentazioni, ha detto NO a tutte e tre le proposte prescrittive senza differenziarle nello specifico, cosa che mi permetto di fare io in questa replica, sperando di incontrare la sua attenzione.

1. La prescrizione di presidi sanitari.

La nostra competenza a riguardo è infinita visto che siamo gli unici professionisti che per legge garantiscono l’assistenza ai pazienti. Pannoloni, siringhe, cateteri, sacche, sondini, presidi antidecubito, ecc, ecc, li usiamo con consapevolezza e maestria senza pari. Siamo noi che sappiamo di cosa necessita quel paziente ed i propri care giver per quel piano d’assistenza. Siamo noi che conosciamo quel paziente ed i suoi bisogni primari e le modalità per soddisfarli. Non altri. Nessun altro. Se lei pensa invece che vi sia un’altra figura professionale sanitaria più competente a riguardo, la citi pure, senza problemi.

2. La prescrizione di esami

Non so quanto lei viva e conosca l’ambito ospedaliero, dove da tempo è divenuta routine dover ricordare al medico di firmare la richiesta di un torace o di un’ecografia o di una TAC (richieste peraltro già preparate dall’infermiere…). Per gli esami ematici invece, non essendo richiesta la firma del medico, l’infermiere procede direttamente senza attendere la prescrizione, tanto che il medico si preoccupa giustamente di valutarne i valori al momento opportuno piuttosto che impuntarsi su una legittimità prescrittiva. Da sempre eseguiamo determinazioni vitali quali la glicemia ed il ph senza alcuna prescrizione. Oggi poi, con l’avvento dei POCT, la gamma delle analisi si è ampliata al punto che le aziende ospedaliere possono evitare di pagare la presenza di un tecnico di laboratorio per le urgenze notturne. Sul territorio poi, nell’assistenza domiciliare, perché l’infermiere non sarebbe competente per valutare la necessità di una prescrizione laboratoristica oppure di eseguirla direttamente in piena autonomia? Se tutti noi operatori sanitari desideriamo migliorare il sistema sanitario, prima dei nostri interessi dobbiamo far prevalere quello del paziente che, senza la prescrizione e l’autonomia infermieristica, sarebbe costretto a fare lunghe attese negli ambulatori dei MMG al solo scopo di ottenere in cambio una firma su un ricettario rosso. Stia tranquilla, anche noi sappiamo firmare e non ci spaventiamo se si tratta del ricettario.

3. La prescrizione di farmaci

Nel nostro lavoro, quello della somministrazione è tra i compiti principali ed a cui dedichiamo la massima attenzione. Non solo, sappiamo e dobbiamo valutare se somministrare in quel momento a quel paziente la terapia che un medico gli aveva prescritto in un momento diverso. E’ questa la nostra maggiore responsabilità a cui dobbiamo anche rispondere al giudice in caso di eventi avversi. Ed è anche grazie a questa nostra attenta responsabilità che si evitano episodi avversi ai pazienti e cause risarcitorie alle aziende. D’altronde se non avessimo la preparazione per sapere cosa stiamo somministrando e per quale ragione, tutti potrebbero somministrare, non crede? Cosi come tutti potrebbero dispensare un farmaco semplicemente constatandone il principio attivo e la posologia corrispondente alla ricetta. Il caso del paziente diabetico è forse più semplice da spiegare. Per somministrare correttamente e senza pericoli l’ipoglicemizzante occorre conoscere il paziente in quel frangente, sapere quanto è il suo tasso glicemico, che cosa ha fatto o cosa farà in quelle ore, se farà attività fisica o se manterrà il digiuno o se è a rischio di vomito. Tutti fattori che come lei ben saprà, potrebbero compromettere il semplice atto del somministrare. In quanto alla posologia, per esperienza posso dire che gli stessi medici non si fanno grossi scrupoli, passando dalla dose minima pediatrica per timore di arrecare danno e quindi rendendone vano l’effetto terapeutico, ad una da cavallo che per una persona normale sarebbe letale. Il tutto per fortuna si svolge sotto la nostra vigile visione e con pazienza e cautela ci permettiamo di evidenziare benevolmente l’anomalia prescrittiva nella speranza di non aver irritato l’austerità del medico perché in caso di conflitto saremmo costretti ad esercitare il nostro diritto all’obiezione di coscienza.

Per concludere mi lasci tirar fuori un rospo. Ho sempre osteggiato i rappresentanti farmaceutici, che fanno salotto davanti agli studi medici per vendere con tanta devozione i loro prodotti. Le loro competenze, non da molti anni prevedono un percorso universitario, tra l’altro per alcuni atenei del tutto simile al nostro e cioè con la laurea breve. Le vere competenze le apprendono dalle case farmaceutiche, queste ultime, è bene ricordarlo, percorrono un interesse puramente economico. Conflitto di interesse palese! Eppure alla fine sono loro i veri “prescrittori”, senza alcuna conoscenza clinica assistenziale, altrimenti forse farebbero il suo “ben protetto” mestiere. Non crede?

Insomma gentile dott.ssa Policicchio, la nostra proposta non è scellerata ma supportata dall’evidenza e dalla prassi e va unicamente nel senso di sburocratizzare l’accesso alle prestazioni sanitarie e consentire la piena autonomia professionale ad una categoria, la nostra, che altrimenti sarebbe monca di una parte importante e non faciliterebbe la vita ai pazienti ed ai loro famigliari.

Ci ripensi dottoressa, non è mai troppo tardi.

Inf. Donato Carrara