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CHECKLIST: Come far bene le cose

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La Redazione
Pubblicato il: 27/12/2014 vai ai commenti

Nursing

di Rosaria Palermo

 

E’ di qualche settimana fa la pubblicazione sul “The Guardian”, di un articolo illuminante di Atul Gawande, medico e giornalista, nonché uno dei massimi esperti al mondo di sicurezza delle cure al paziente, dal titolo “Perché i medici falliscono” (Clicca).

 

Gawande nel tentativo di spiegare il perché la classe medica si rinchiuda in se stessa perdendo l’opportunità di una vera crescita che vada nella direzione della trasparenza del proprio operato e della sicurezza del paziente, cita la teoria della fallibilità umana di Samuel Gorovitz e Alasdair MacIntyre, risalente agli anni 70. Questi due filosofi cercarono di capire e spiegare il perché gli esseri umani falliscono. Partendo dall’assioma che gli esseri umani sbagliano perché è impossibile non farlo, hanno provato a ricercarne le cause ed i motivi che ne stanno alla base. Essi partono dal concetto che l’uomo non ha superpoteri e che sebbene aiutato dalla tecnologia, ha risorse limitate e che tali rimangono. Di più molte cose rimangono al di fuori del suo controllo e ciò è tanto più vero se si ha a che fare con sistemi estremamente complessi come quello sanitario e con le migliaia di variabili a cui il corpo umano può andare incontro.

Secondo la loro teoria due sono le ragioni prioritarie per cui gli esseri umani falliscono. La prima è l’ignoranza, ovvero la comprensione limitata di un fenomeno e delle condizioni che si applicano allo stesso. La seconda ragione è l’inettitudine, ovvero la consapevolezza, che la conoscenza esiste ma che gli individui o i gruppi falliscono nell’applicarla correttamente ai casi pratici. L’articolo di Gawande ci porta a riflettere su quello che è il problema di oggi, ossia assicurarsi di applicare correttamente tutte le conoscenze che abbiamo accumulato nel corso dei secoli, e per fare questo abbiamo bisogno di nuove strategie e di strumenti che siano capaci di ridurre al minimo gli errori e di minimizzarne gli effetti. Uno di questi strumenti è la Checklist.

Sebbene la checklist sia uno strumento semplice e affidabile, nel tentare di prevenire gli errori, si fa fatica a riconoscerne il valore e a ricorrervi sistematicamente, se non obbligati, come nel caso nel nostro paese, della Checklist di sala operatoria, che è stata introdotta nell’Ottobre del 2009 accompagnata da un “Manuale per la sicurezza in sala operatoria. Raccomandazioni e Checklist” (Clicca) emanato dal Ministero della salute.

A volte la distanza tra la vita e la morte può essere letteralmente come un foglio di carta”, Atul Gawande.

Questo ampio preambolo introduttivo, vuole essere un invito a prestare attenzione ad uno strumento umile ma potente per “fare andare meglio le cose”, come dice lo stesso A. Gawande in uno dei suoi libri (The Checklist Manifesto), ossia la Checklist.

Le checklist ci mettono al riparo da due grandi difficoltà dei professionisti del mondo sanitario, quello della fallacità della memoria e quello del deficit di attenzione quando si compioni azioni routinarie. Le checklist hanno anche un altro grande merito quello di migliorare le performance di tutta l’èquipe favorendo la comunicazione tra professionisti.

 

Ma andiamo con ordine e ripercorriamo la storia di questo strumento. (Clicca).

(Clicca) “Il 3 Ottobre 1935, al Wright air field di Dayton, in Ohio, le Forze aeree dell’esercito americano organizzarono una gara di volo riservata ai costruttori di aerei che si contendevano un contratto per la realizzazione di un nuovo bombardiere a lunga gittata. Non ci si aspettava granché da quella gara. Nelle prime valutazioni, il Model 299 in lega di alluminio della Boeing Corporation aveva nettamente battuto i progetti di Martin e Douglas. Infatti, l’aereo della Boeing poteva trasportare cinque volte più bombe di quelle richieste dall’esercito, poteva volare più velocemente dei bombardieri precedenti e quasi due volte più lontano. Un giornalista di Seattle che aveva dato un’occhiata all’aereo prima della gara, lo aveva ribattezzato “fortezza volante”. La gara di volo, era considerata una pura formalità, tanto che l’esercito aveva già previsto di ordinarne almeno 65, di questi apparecchi.

Una piccola folla di alti ufficiali e dirigenti d’azienda era presente ad osservare l’aereo di prova del model 299 che rullava sulla pista. Era scintillante e imponente, con un’apertura alare di quasi 32 metri e quattro motori invece dei soliti due. L’apparecchio rombò sulla pista, decollò facilmente e raggiunse subito i cento metri di quota.

Poi andò in stallo, si piegò su di un’ala e si schiantò al suolo con un’esplosione spaventosa. Morirono due dei cinque membri dell’equipaggio tra cui il pilota, il maggiore Ployer P. Hill.

L’inchiesta rivelò che si era trattato di un errore del pilota. Assai più complesso dei veivoli precedenti, il nuovo aereo imponeva al pilota di seguire contemporaneamente quattro motori, un carrello di atterraggio retrattile, flap di nuova concezione, alette correttrici di assetto che andavano regolate per mantenere il controllo a diverse velocità, propulsori per mantenere costante la velocità di crociera, la cui potenza massima andava tarata con controlli idraulici e una serie di altre caratteristiche.

Per fare tutte queste cose, Hill aveva dimenticato di rimuovere i blocchi ai timoni di quota e di direzione. Nel modello della Boeing, disse un giornale “c’era troppo aeroplano perché un solo uomo potesse farlo volare”. Le forze aeree dell’esercito assegnarono la vittoria al progetto più modesto della Douglas. La Boeing andò quasi in bancarotta. Tuttavia l’esercito acquistò alcuni apparecchi della Boeing come aerei di prova, e affidò ad alcuni militari l’incarico di compiere dei tests di prova, creando un apposito programma di formazione per i piloti del modello 299, e per fare ciò crearono una check list, una lista di controllo per il pilota con indicazioni da seguire punto per punto durante le procedure di decollo, volo, atterraggio e rullaggio.

A un pilota non sarebbe mai passato per la testa di usare una check-list per il decollo, ma questo nuovo aereo era troppo complicato per affidarlo alla memoria di un pilota, per quanto esperto. Con la check-list, i piloti riuscirono a far volare il Model 299 per un totale di un milione e 800 mila miglia senza neppure un incidente, e l’esercito finì per ordinare quasi 13 mila esemplari dell’apparecchio, ribattezzato B – 17”.

La medicina moderna, analogamente al B – 17, è diventata troppo complessa perché dei singoli professionisti facciano ricorso alla sola memoria per portare a termine correttamente decine di procedure.

 

Nel 2001, un’intensivista di nome Peter Provonost del John’s Hopkins Hospital decise di far ricorso ad una Checklist per ridurre le infezioni da cateteri vascolari. Non una checklist che coprisse tutto, ma una che risolvesse un solo problema dunque. Su un semplice foglio di carta tracciò dei passi da compiere per evitare questo tipo di infezioni:

1-  Ricordarsi di lavare le mani;

2-  Disinfettare la pelle del paziente;

3-  Coprire il paziente con un telo sterile;

4-  Indossare maschera, guanti e camici sterili;

5-  Coprire la ferita (ossia il punto d’introduzione del catetere vascolare) con una garza sterile.

Controllare, controllare, controllare, controllare e controllare ancora. Sembrava così stupido creare una Checklist per richiamare alla memoria questi semplici cinque passi. Eppure, Provonost chiese alle infermiere che lavoravano con lui in Terapia intensiva di osservare i medici per un mese e di registrare quanto spesso, questi ultimi completavano ogni singolo passaggio. Ebbene il risultato fu sorprendente. In più di un terzo delle procedure eseguite era stato saltato almeno un passaggio. Il mese successivo il Dott. Provonost e la sua squadra avevano convinto l’amministrazione dell’ospedale ad autorizzare gli infermieri a fermare i medici che saltavano una delle fasi previste dalla checklist. In più sempre agli infermieri affidò il compito di ricordare ai medici quando era il momento di rimuovere le linee centrali perché non rimanessero in sede più del dovuto. Tutto questo come è facilmente intuibile ha rappresentato una vera rivoluzione.

Provonost ed i suoi colleghi hanno monitorato il lavoro dell’èquipe per un anno ed i risultati sono stati così impressionanti tanto da sorprendere lo stesso Provonost. Il tasso di infezioni da catetere vascolare era passato dall’11% allo 0%. Così decisero di continuare il monitoraggio per altri quindici mesi, nei quali furono riscontrati solo due casi di infezioni delle stesse linee vascolari, riscontrando che la checklist aveva impedito quarantatre infezioni e otto morti e fatto risparmiare all’amministrazione ben due milioni di dollari.

Provonost ed i suoi colleghi misero a punto altre checklist per la Terapia intensiva. I ricercatori hanno scoperto che medici ed infermieri, utilizzando queste checklist avevano migliorato la qualità delle cure e fatto si che i tempi dei ricoveri in Terapia intensiva si fossero dimezzati.

Provonost certamente non è stato il primo ad utilizzare le checklist, ma certamente è stato il primo a riconoscere e a sfruttare l’ampiezza delle ricadute dell’uso delle stesse nel salvare delle vite umane. Nel 2003, the Michigan Health and Hospital Association, chiese a Provonost di poter sperimentare tre delle sue checklist nelle terapie intensive di questo Stato e di farsi carico di coinvolgere quante più strutture possibili e di valutare la loro efficacia, anche in contesti così diversi da quelli di provenienza del Dott. Provonost. Ebbene, nonostante le difficoltà dovute all’esiguità del personale medico ed infermieristico, ai fondi scarsi messi a disposizione, Provonost riuscì a coinvolgere anche i dirigenti delle strutture in questo piano di applicazione delle checklist, che riluttanti in un primo momento, furono cruciali nel risolvere delle problematiche di tipo organizzativo. Provonost aveva visto ad esempio che il sapone a base di clorexidina mancava in un terzo delle Terapie intensive del Michigan, problema risolto proprio grazie al personale amministrativo coinvolto. Nel Dicembre 2006 furono pubblicati i risultati dell’iniziativa, ribattezzata The Keystone ICU project, il tasso di infezioni nelle Terapie intensive nello stato del Michigan era sceso del 66%, solo nei primi diciotto mesi erano stati risparmiati cento settantacinque milioni di dollari e più di millecinquecento vite. I successi sono stati sostenuti negli anni successivi e tutto ciò grazie a delle banali checklist.

In medicina si assiste ad uno strano paradosso, difatti la complessità delle cure erogate in alcuni contesti spinge ancora taluni professionisti a ritenere che il talento e l’audacia, siano quello che realmente serve nella risoluzione dei problemi di salute dei loro pazienti. Provonost, con il suo lavoro ci dimostra invece che quell’ingegno e quella bravura vanno messi al servizio dei pazienti soprattutto attraverso l’adozione di strumenti semplici che ne disciplinano le virtù professionali.

Provonost sostiene che i compiti della scienza medica si suddividono in tre grossi campi, il primo riguarda la comprensione della malattia, un’altro il trovare terapie efficaci per quelle malattie e il terzo campo, ignorato dai più, assicurarsi che quelle terapie vengano erogate correttamente.

Le checklist hanno cambiato le nostre vite di professionisti e quelle dei nostri pazienti, ed è incredibile come possono continuare a farlo.

Semplice, ma assai meno ovvio di quanto ciascuno di noi potrebbe aspettarsi. L’applicazione routinaria delle checklist richiede molte virtù: disciplina, rispetto delle regole e disponibilità alla collaborazione. Favoriscono il lavoro multidisciplinare e più di ogni cosa la comunicazione fra i vari membri del team assistenziale.

Come ricorda Atul Gawande “rimane integro uno spazio per il discernimento individuale, un discernimento guidato e addirittura acuito dal rispetto delle procedure”.

 

 

Come dimostrato, una delle principali cause dell’errore umano rimane la mancanza di comunicazione e nessuna checklist è in grado da sola di prevenire tutte le insidie che si nascondono dietro procedure complesse, ma il confronto dialettico va nella direzione di individuare prontamente i pericoli che incombono sul paziente e di migliorare i rapporti interprofessionali all’interno di un’èquipe.

Questo modo di intendere la medicina è il futuro della stessa medicina, che deve scrollarsi di dosso secoli di autoreferenzialismo e mirare ad un erogazione delle cure quanto più efficace e sicura. E l’uso di strumenti come le checklist va proprio in questa direzione.