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L'Ecografia: una risorsa per l'infermiere.

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 28/12/2014 vai ai commenti

Nursing

a cura di Chiara D'Angelo

 

Una lettura di sicuro interesse è il libro “Ecografia toracica”, pubblicato da Edizioni Medico-Scientifiche, scritto a due mani dal Dr. Roberto Copetti, Direttore del PS e Medicina d'Urgenza dell'Ospedale Civile di Latisana (Udine), e dal Dr. Gino Soldati, Direttore del PS e Medicina d’Urgenza dell’Azienda USL 2 Lucca.

"Il testo tratta argomenti di diagnostica bedside, point of care, focused e goal directed, che concretizzano al letto dell'ammalato i bisogni del clinico di giungere a una diagnosi rapida, economica, semplice ed efficace. La non invasività dell'ecografia, la sua ripetibilità, la miniaturizzazione delle macchine, ma soprattutto la possibilità di rispondere, in particolare nell'ecografia toracica, ai quesiti clinici nei termini binari sì/no, consentono di perfezionare le peculiarità dal punto di vista quantitativo. Questa opportunità è stata sviluppata nel libro e resa chiara attraverso numerose immagini originali e soprattutto videoclip, nel CD-Rom allegato, che illustrano aspetti dinamici specifici del polmone, non sempre facili da capire attraverso fotografie. Il libro ha lo scopo di integrare le conoscenze relative all'ecografia toracica, seguendo il doppio indirizzo della descrizione degli impieghi in campo pleuropolmonare e cardiaco, sul versante della traumatologia e su quello della patologia non traumatica".

 

L’interesse di questo specifico tema  (e di questo libro) per gli infermieri è testimoniato anche dalla tesi di Master in Ecografia del collega Gaetano Cutispoto, infermiere di lungo corso in Pronto Soccorso, di cui il Dr. Copetti, uno dei co-autori del libro, è stato tutor di tirocinio durante il Master. Nella tesi, intitolata “Ecografia: una risorsa per l’infermiere”, Cutispoto si sofferma sui temi dell’accesso venoso ecoguidato in emergenza e sull’ecofast, oltre che riportare un’interessante intervista al Dr. Copetti stesso che presentiamo di seguito.

 

1. Come l'ecografia ha modificato il management (gestione) della valutazione iniziale del paziente critico?

Nell’ambito dell’emergenza urgenza si è per molto tempo pensato che l’ecografia FAST fosse la sola applicazione possibile. Un impiego quindi limitato al paziente traumatizzato. A metà del decennio scorso si è fatta strada l’idea di estendere al torace la valutazione ecografia del paziente traumatizzato con l’intento di valutare l’eventuale emotorace o pneumotorace. Si è quindi consolidato il concetto di FAST estesa, l’E-FAST. Solo successivamente si è compreso che gli ultrasuoni risultavano estremamente utili nell’approccio a qualsiasi paziente critico, non solo traumatizzato. Si sta lentamente e a fatica, facendo strada la cultura dell’impiego clinico degli ultrasuoni nell’approccio ABCDE al paziente critico. Questo fa sì che il medico d’urgenza sia colui che si avvale di questo mezzo nell’approccio ai pazienti critici. La FAST e l’E-FAST veniva essenzialmente eseguita da medici radiologi. L’approccio ecografico ABCDE è eseguito necessariamente dal medico che ha in carico il paziente. Questo tipo di approccio è estremamente ampio e prevede conoscenze e abilità che necessitano di un percorso formativo non banale. La filosofia su cui si basa è peraltro semplice e prevede la possibilità di ottenere risposte del tipo sì/no a quesiti clinici fondamentali. Se ad esempio vi è il sospetto clinico di embolia polmonare massiva in un paziente in shock la valutazione del cuore si limita allo studio del ventricolo destro che se non dilatato permette in pochi secondi di escludere tale ipotesi diagnostica. La valutazione del cuore (dimensioni delle camere cardiache, valutazione della funzione biventricolare, apparati valvolari, versamento pericardio), del polmone (“asciutto” o “umido, presenza di versamento pleurico, pneumotorace, cinetica diaframmatici, presenza di consolidamenti) e della vena cava inferiore (diametro e variazioni in ed espiratorie) consentono in molti quadri clinici complessi di prendere decisioni e orientamenti diagnostici corretti in pochi secondi. Le procedure invasive (accessi vascolari, pericardiocentesi, toracentesi, paracentesi ecc.) sono state rese molto più semplici e sicure dall’ausilio degli ultrasuoni. Il monitoraggio ecografico degli effetti farmacologici (es. valutazione della contrattilità miocardia nel monitoraggio dell’effetto isotropo) si sta diffondendo e questo aiuta a superare empirismi o convinzioni non solo non corrette ma spesso pericolose.

 

2. In che modo l'ecografia ha contribuito a riconoscere in maniera precoce lo sviluppo di complicanze nel paziente traumatizzato nel corso dell'osservazione clinica?

Personalmente ritengo che nel paziente traumatizzato l’ecografia dia il meglio di sè quando non venga intesa come una diagnostica per immagini. E’ noto che lo studio dei parenchimi è molto poco accurato e la valutazione precoce sia spesso poco affidabile quando ad esempio l’emoperitoneo è nelle fasi iniziali. Sono convinto che l’ecografia non possa sostituire la TC con mezzo di contrasto nelle situazioni in cui il paziente è emodinamicamente stabile. Nei pazienti che non eseguono la TC l’ecografia addominale va eseguita frequentemente e non ci si deve fidare di una sua negatività alla prima valutazione.


3. Che importanza ha assunto l'ecografia nella diagnosi differenziale della dispnea nella prima valutazione del paziente?

Sono convinto che l’ecografia del polmone sia la prima indagine da eseguire in qualsiasi paziente con dispnea indifferenziata. L’ecografia è di fatto un gold standard per differenziare il polmone “asciutto” da quello “umido”. Questo viene fatto al letto del paziente in pochi secondi. Una dispnea a polmone “asciutto” esclude la natura cardiogena ed orienta verso altre possibili cause (es. pneumotorace, polmonite, BPCO riacutizzata, asma, embolia polmonare). Un polmone “umido” con linee B bilaterali e simmetriche, con un gradiente che va dalle basi agli apici, orienta verso la natura cardiogena della dispnea ed impone la valutazione ecocardiografica al fine di comprendere il meccanismo fisiopatologico (disfunzione contrattile? Patologia valvolare ecc…)

 

4. In che misura l'ecografia con il mezzo di contrasto ha determinato una riduzione degli esami TC nel paziente traumatizzato?

Personalmente ritengo che nell’ambito dell’emergenza urgenza il ruolo dell’ecografia con mezzo di contrasto sia ancora troppo poco definito e convincente. Ribadisco che allo stato attuale la TC con mezzo di contrasto debba essere considerato l’imaging insostituibile.

 

5. Quanto più sicura ha reso l'ecografia l'esecuzione di pratiche invasive, sia eseguite nell'urgenza che in elezione, come ad es. la toracentesi o la paracentesi?

Le procedure ecoguidate sono state una sorta di rivoluzione Copernicana. L’ecografia ha completamente stravolto le regole delle tecniche “blind”, basate su reperi anatomici o rilievi di semeiotica (percussione essenzialmente), introducendo una filosofia nuova: “si punge dove si vede e se si vede c’è”. E’ ovvio che le procedure siano diventate più sicure e fattibili anche in condizioni cliniche complesse. La paracentesi ad esempio con la tecnica “blind” prevede la puntura in fossa iliaca sinistra. L’ecografia prevede di pungere in qualsiasi posto dove il liquido non solo è presente ma anche più abbondante. Le stesse considerazioni sono valide anche per la toracentesi. Per quanto concerne gli accessi venosi ormai anche la letteratura più recente e accreditata impone l’impiego degli ultrasuoni.

 

6. Quali ambiti dell’utilizzo dell’ecografia dovrebbero diventare patrimonio indispensabile per un infermiere che opera in area critica?

Allo stato attuale credo che gli accessi venosi periferici difficili, il posizionamento di PICC e Mieline e la valutazione della vescica siano competenze che un infermiere di area critica dovrebbe o potrebbe acquisire.

 

7. L’ecografia potrebbe integrare la fase di accertamento del triage per identificare le priorità assistenziali e determinare il livello di priorità e urgenza?

Assolutamente sì. Se penso che in molte realtà gli infermieri escono sui mezzi di soccorso senza il medico, credo che un uso più estensivo degli ultrasuoni potrebbe essere ragionevole e sicuramente utile. Mi riferisco alla valutazione del polmone nella dispnea grave (polmone “asciutto” o “umido”?), del cuore nelle condizioni di arresto o periarresto (dimensioni del ventricolo destro, versamento pericardio, contrattilità del ventricolo sx.) e della vena cava inferiore (“piccola” o “dilatata e ipomobile”). Vedo meno fattibile e utile l’impiego degli ultrasuoni nel contesto del triage fatto in Pronto Soccorso.

 

8. Rispetto agli obiettivi di cui a 6 e 7, quali le migliori e più efficaci (cost/effectiveness) modalità di apprendimento per l’infermiere?

Penso che l’Università dovrebbe avere un ruolo fondamentale nel formare gli infermieri all’utilizzo degli ultrasuoni. Sarebbe logico fosse una materia di insegnamento e di studio inserita nel programma durante il corso di laurea. Allo stato attuale questa è fantasia allo stato puro. Alcune Società Scientifiche hanno individuato corsi specifici per infermieri sui cui credo ci siano concrete possibilità di ampliamento dei contenuti.

 

9. Quali strumenti per certificare le competenze acquisite?

La certificazione delle competenze acquisite potrebbe essere vagliata da commissioni di esperti nominate dalle Società Scientifiche o dall’Università.

 

10. Con quali modalità e con quale cadenza ricertificare il possesso della competenza?

La risposta non è semplice. Credo che un esame teorico-pratico possa essere nel concreto l’unico modo. Una volta certificate le competenze credo non sia ragionevole pensare necessarie ulteriori verifiche. Potrebbe essere più utile individuare strutture e ambiti in cui l’ecografia viene eseguita routinariamente e da personale molto esperto in cui poter trascorrere periodi di frequenza e di studio.