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La selezione ed il merito come leva per il riassetto organizzativo in sanità

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 21/01/2015 vai ai commenti

Contenuti InterprofessionaliEditoriali

di Stefano Canitano

Medico Radiologo all’Istituto Tumori di Roma, Regina Elena IRCCS

 

Le parole, e le norme, sono importanti. 

E di solito le norme non sono un elenco di regole ma l’espressione di una filosofia che deve informare il funzionamento di un settore, di una struttura, di una società. Ed è per questo che si prestano ad interpretazioni che discendono della estrema varietà delle situazioni ma che spesso esprimono, in stile gattopardesco, una potente resistenza al  cambiamento.

È questo il caso delle “nuove” articolazioni dirigenziali mediche (vigenti da più di 15 anni!!), ma anche delle più recenti sanitarie, per le quali, invece di cogliere le innovazioni presenti in una filosofia che privilegi la pari dignità nella diversità dei ruoli, è stata mantenuta nei fatti una obsoleta mentalità di tipo gerarchico, all’interno delle singole categorie e fra diverse professioni sanitarie. Sicché c’è sempre qualcuno che vuole qualcun altro “sotto” di sé o che vuole “comandare” invece di dirigere e collaborare.

Il risultato è  che, adoperando la parola, già di per sé brutta e abusata, di “meritocrazia”, viene assegnato un improprio significato premiale agli “avanzamenti” di “carriera” (virgolette obbligatorie visto che nulla del genere è più previsto dai contratti di lavoro). 

Un incarico non è certo un “premio”, ma semmai una rogna, e deve essere inteso più che altro come una valutazione che il nominato abbia le competenze per potersela, se mi si consente “grattare”. 

Quella quota di stipendio in più non serve a determinare un “valore aggiunto” intrinseco all’essere del nominato, ma dovrebbe rappresentare solo il compenso per un lavoro comunque più oneroso e di maggiore responsabilità. Maggiori responsabilità, maggior lavoro e maggior compenso.

Non è la nomina che viene determinata dal Merito, ma piuttosto il premio eventuale, ove si siano raggiunti gli obiettivi previsti dal patto stretto fra chi nomina e chi è nominato. Obiettivi, almeno in sanità, irraggiungibili senza il concorso di tutti gli attori dei sistema. 

Per questo, come scrivo in queste poche pagine, ci sono strumenti da molti anni che non vengono utilizzati.  E che spesso non sono noti nemmeno ai dirigenti delle strutture e delle divisioni, prova ne sia l'attualità di uno scritto stilato ben 8 anni fa ed ancora utilizzabile, nelle reiterate vacanze contrattuali…

La speranza è che gli orpelli di una cultura medioevale che ancora è maggioritaria nel nostro Paese, luminaristica, medicocentrica, Primariale, insomma con quel po’ di fatale paternalismo appartenente ai secoli scorsi, lasci finalmente il passo alla cultura nella quale è il paziente a stare al centro delle attenzioni dell’intera società, a partire dai professionisti che gli ruotano intorno, allo scopo non di sfogare i propri istinti di riscatto sociale, desiderio di comando, realizzazione personale o interessi economici o di saziare la propria sete di vendetta professionale per anni di vessazioni, ma solo di fare il proprio dovere nel concorrere alle cure e, sperabilmente, in molti casi, alla guarigione dei malati.

Attitudine che, per chi fa un mestiere d’aiuto, costituisce, insieme al giusto stipendio commisurato alla fatica e alle responsabilità, sufficiente motivo di soddisfazione personale, senza che sia necessario condirlo con aspirazioni di altra natura che non siano il funzionamento del Sistema. 

 

da DROPBOX; di Stefano Canitano

 

L’invadenza della politica nelle organizzazioni sanitarie, che influisce sui contenuti tecnici, sulle nomine e sulla corruzione complessiva del sistema a danno della sua funzionalità e degli esiti, è una patologia del fisiologico controllo sulle politiche sanitarie, alla quale può essere addebitata parte dei difetti del sistema.

Purtuttavia va considerato che tale invadenza non è solo causa ma anche effetto di una tradizionale cultura gerarchica dell’organizzazione sanitaria che distribuisce, insieme ad aree di competenza e cure, spazi di gestione del potere e di mercato finanziario all’interno del sistema, che garantiscano a chi “sale” un congruo ritorno in termini economici e di potere.

Molti meccanismi di tipo clientelare o nepotistico sono stati nel tempo messi in essere autonomamente dagli attori del sistema per mantenere un adeguato livello di potere del tutto estraneo alla funzione. Uno di questi, per esempio, come sottolineò Paolo Cornaglia Ferraris nel suo primo libro Camici e Pigiami, che destò un qualche scalpore per avere mostrato che il Re oltre che nudo era anche impresentabile, è la cosiddetta “Legge di Murri”, risalente ancora ai primi del secolo.

Il cattedratico Augusto Murri, peraltro insigne, progressista, estremamente cosciente del ruolo sociale della professione, ricordato per Leggi di ben altro spessore clinico (la teoria del compenso fisiopatologico del cuore), riteneva però, secondo Cornaglia, dover “mettere in cattedra” allievi mediocri, al fine di non rischiare di essere messo in ombra. E questo senza nessuna ingerenza della politica.

Le conseguenze della applicazione nel tempo di codesta legge sono immaginabili.

Non è possibile esaminare l’impatto di una necessaria inversione di tendenza senza analizzare l’attuale organizzazione del lavoro sanitario.

 

Struttura o organizzativa attuale

Nel ruolo medico la vecchia struttura verticale di tipo gerarchico, formata dalla piramide Primario-Aiuto-Assistente, trovava fondamento nella titolarità esclusiva dell’atto medico nelle mani del Primario che poteva delegarla all’Aiuto Corresponsabile, mentre l’Assistente ne era precluso.

Questa struttura è divenuta inadeguata quando è stata determinata l’obbligatorietà della specializzazione per l’assunzione nel Servizio Sanitario Nazionale, essendo impossibile privare della titolarità dell’atto medico uno specialista con anni di servizio in formazione.

Inoltre l’estensione del sapere medico ha reso impossibile che un solo medico all’interno di una organizzazione complessa possegga le qualità tecniche e tutte le conoscenze necessarie a decidere in modo monocratico, come ai tempi in cui le conoscenze erano meno articolate e meno vaste, sia sulla diagnostica sia sulle terapie.

Parallelamente, con una scelta discussa, e magari discutibile, ma definitiva, i medici dipendenti del SSN venivano inquadrati nel ruolo della Dirigenza Pubblica, formando il più numeroso esercito di dirigenti pubblici in rapporto al totale dei dipendenti.

L’organizzazione “orizzontale”, definita in modo conclusivo con il penultimo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) che prevede il livello unico dirigenziale con l’assegnazione di incarichi di diversa natura, avrebbe dovuto sancire la fine del rapporto gerarchico piramidale.

Si strutturano anche per il Livello Unico, come già dal 1996, incarichi gestionali, professionali, di studio e ricerca, ispettivi e di consulenza, senza aprioristica prevalenza gerarchica, determinata solo dalla organizzazione aziendale, od economica, determinata dalla gradazione delle funzioni, degli uni sugli altri; in particolare è detto, nel CCNL 1998-2001, che «la definizione della tipologia degli incarichi è una mera elencazione e non configura rapporti di sovra o sottordinazione degli incarichi» fatta eccezione per la Direzione di Struttura Complessa, il vecchio Primariato, pur tuttavia non più a vita ma con contratto rinnovabile.

Fa il suo ingresso la cultura degli obiettivi strategici e del risultato, insieme a quella della responsabilità personale non delegabile e della leadership diffusa e in qualche modo condivisa ed intercambiabile, a seconda delle qualità necessarie ad una realtà variabile, come nelle più moderne acquisizioni in termini di teorie organizzative.

Attualmente tale organizzazione è ben lontana dal realizzarsi, con l’interscambio delle esperienze e la suddivisione del lavoro in ragione di obiettivi strategici e risultati. Nella realtà, e nelle menti dei medici e degli amministratori, in modo meccanico i Direttori di Struttura Complessa sono divenuti i nuovi Primari, i Responsabili di Struttura Semplice i nuovi Aiuti ed i medici con incarico Professionale i nuovi Assistenti.

Si riproduce così la struttura piramidale ma con la sostanziale differenza che ai vecchi ruoli si accedeva per concorsi pubblici che, pur nelle storture, assicuravano una certa trasparenza nella valutazione delle competenze, mentre ai nuovi incarichi si accede per investitura, con caratteristiche di arbitrarietà mascherate da una procedura solo formalmente competitiva. Il risultato di questo equivoco normativo è il relegamento dei ruoli professionali all’ultimo gradino della organizzazione ed il congelamento della vecchia struttura gerarchica con un irrigidimento dei meccanismi di arbitrio.

Non più concorsi per avanzare in carriera ma solo il giudizio del Direttore, a sua volta soggetto all’arbitrio del Direttore Generale, che risponde alla politica, spesso non in relazione ai risultati ottenuti in termini di miglioramento dello stato di salute ma in termini di obbedienza, necessaria ad assicurarsi ulteriori avanzamenti.

Con l’aggravante della possibilità che un ottimo clinico od un eccellente chirurgo, non avendo a disposizione altre possibilità di carriera se non quella gestionale, determinino un disastro sistemico di una struttura che non sono adeguati a dirigere.

O che un medico dotato di buone, ma non efficaci, nozioni organizzative, oltre che di una efficace “copertura”, una volta divenuto Direttore, pretenda di arrogare a sé, come nel caso pericoloso delle chirurgie, ogni abilità operativa, anche al di sopra delle proprie capacità tecniche.

Nella organizzazione orizzontale pensata il Direttore, non più monarca a vita come il Primario, oltre ad essere un competente clinico, è un uomo-squadra, che sa valorizzare e formare gli altri dirigenti non più sotto di sé, assume le responsabilità che gli competono, cliniche e gestionali, sa delegare e motivare e persegue gli obiettivi di cui risponde in rapporto funzionale e non più gerarchico con gli altri dirigenti.

Il tipo di articolazione organizzativa descritta e prevista dalle norme esistenti potrebbe fra l’altro ridurre l’inutile e dannoso tasso di competitività interna, riducendo l’appetibilità selettiva, concentrata attualmente su poche posizioni destinate a porsi “sopra” le altre, per invece privilegiare il valore della collaborazione professionale e motivare il conseguimento di posizioni basate più sui contenuti che sulla gerarchia.

Questa realtà organizzativa è resa ancora più proficua dall’inserimento nel meccanismo degli esercenti le Professioni Sanitarie, che, abbandonando l’inutile ruolo ancillare, acquistano una cultura sanitaria complessa ed autonoma, interagiscono e collaborano con i professionisti medici a tutto vantaggio della qualità del servizio ai pazienti.

 

Merito e strumenti del sistema premiante

Il nodo su cui tutto il sistema dovrebbe reggersi è la qualità degli obiettivi, la loro misurabilità, la possibilità di valutarne gli esiti e di gratificare le capacità e l’impegno. L’unico sistema premiante attualmente disponibile è la quota di salario, chiamato variabile, legata in parte all’incarico dirigenziale assegnato (posizione) ed in parte al risultato relativo all’incarico, per il quale normalmente i fondi non sono adeguati a farne un efficace strumento di gratificazione.

Purtuttavia le norme sono l’espressione di una filosofia e l’inserimento di questa consistente novità per il pubblico impiego sanitario, che risale al CCNL 1996, nel quale è ben descritto l’elenco delle capacità e delle caratteristiche che dovrebbero determinare l’articolazione degli incarichi e del salario corrispondente alla posizione, offre delle importanti opportunità, quasi mai colte.

Nel comma 2 dell’articolo 51, è facile notare quanto vi sia di totalmente inapplicato, nelle esperienze quotidiane. Basti solo citare come caratteristiche da valutare, su 13 voci, «affidamento di programmi di ricerca, aggiornamento e tirocinio», oppure «importanza e delicatezza della funzione», «grado di competenza specialistico funzionale o professionale», «utilizzazione di metodologie e strumentazioni significativamente innovative e strategiche», «ampiezza del bacino d’utenza per le Unità Operative e capacità di soddisfacimento della domanda di servizi espressa», «valenza strategica della struttura rispetto agli obiettivi aziendali purché collegata oggettivamente con uno o più dei precedenti criteri».

Compare il «premio per la qualità della prestazione individuale», previsto nell’articolo 63, e definitivamente esposto nell’art.66, sempre del CCNL 1996, descritto come «premio per il conseguimento di livelli di particolare qualità della prestazione con riferimento alla maggiore efficienza delle aziende ed enti, anche con riguardo alla qualità dei servizi».

La natura del risultato, in moltissime realtà considerata quantitativa, subordinata al rapporto costi/ricavi (Quanti esami? Quante visite? Quanti interventi?) è invece, nelle norme, largamente aperta a qualsiasi visione strategica aziendale, qualitativa, di risultati clinici, di ricaduta in termini di salute etc., con indicatori ormai disponibili.

La retorica politica delle liste d’attesa impedisce di vedere quanto di totalmente inutile (la parola esatta e tecnica è “inappropriato”) viene richiesto e prodotto, mentre una consistente riduzione della spesa sanitaria ed un conseguente miglior esito qualitativo potrebbe essere conseguito con adeguate strutture di filtro dell’inappropriato, che avrebbero costi presto ammortizzabili dai risparmi.

Questo permetterebbe di focalizzare sui risultati clinici il lavoro delle persone dipendenti del SSN, con la certezza del riconoscimento delle qualità professionali.

Chi ha anche solo un poco di esperienza sul campo in struttura pubblica sanitaria può stupirsi di quanto è già presente nelle specifiche per la valutazione di questo premio nel comma 3) dell’art. 66; vi si può trovare «capacità dimostrata nel motivare, valutare e guidare i collaboratori, generando un clima organizzativo favorevole alla produttività» oppure «capacità dimostrata nel gestire e promuovere le innovazioni» o «di far rispettare le regole senza burocratismi».

Altrove, nella descrizione della retribuzione di risultato, si possono trovare persino l’umanizzazione della funzione ospedaliera e la realizzazione di modelli organizzativi innovativi, oltre gli attesi risultati di efficacia, efficienza ed economicità.

Quindi il problema sostanziale nell’articolazione di un sistema che premi la qualità del lavoro sembra da un lato l’applicazione di quanto è già disponibile nelle norme e dall’altro il meccanismo valutativo, descritto in dettaglio nel CCNL 3/11/2005.

Anche il meccanismo di valutazione, affidato al Collegio Tecnico ed al Nucleo di Valutazione, è inspirato a criteri di trasparenza ed oggettività, difficili da praticare in assenza di obiettivi determinati cui riferire il risultato ed indicatori misurabili.

Nell’ambito della valutazione ai fini della retribuzione di risultato dovrebbero essere stabiliti criteri oggettivi di valutazione della crescita professionale, della capacità comunicativa medica, delle capacità di trasmettere il sapere, insomma delle caratteristiche che formano il capitale aziendale in termini di Beni Immateriali, sfida attuale delle contabilità aziendali in ogni campo, già disponibili in molta letteratura.

Così come recenti esperienze (IRCCS Regina Elena) confermano che la valutazione in cieco, affidata all’esterno, dei progetti di ricerca è il miglior modo di assicurare una selezione efficace, scevra da personalismi e da ricatti.

La selezione dei migliori Taiichi Ohno, artefice negli anni Settanta della progressione dell’industria dell’auto Toyota da una condizione di arretratezza ad una posizione di leadership mondiale, sosteneva: «noi otteniamo risultati brillanti da persone di media capacità che operano e migliorano processi brillanti. I nostri concorrenti ottengono risultati mediocri da persone brillanti che operano con processi difettosi e quando incontrano difficoltà cercano di assumere persone ancora più brillanti.»

Tipicamente latina, e molto italiana, è la scuola di pensiero che invece affida in modo esclusivo a Grandi Luminari e Professori i destini delle persone e delle strutture sanitarie, negando il fatto che la medicina non sia un mestiere per solisti ma per orchestra.

Questa visione, spesso figlia delle necessità del mercato e della finanza sanitaria più che dall’oggettività dei dati e dei risultati clinici, ha gravi ripercussioni sull’accesso alle prestazioni, sulla qualità e l’equità dell’assistenza e sulla possibilità di prevenire l’errore clinico, per la quale è indispensabile umiltà professionale, confronto fra pari e lontananza dagli interessi finanziari, molto consistenti nel mondo sanitario.

Anche per questo diventa difficile conseguire la trasparenza nella selezione dei professionisti per collocarli nei ruoli che sono loro più congeniali e dove possano produrre maggior vantaggio per le strutture e per la qualità dell’assistenza.

I meccanismi di nomina devono prevedere la valutazione trasparente dei titoli e dell’esperienza adatte al ruolo, nonché delle “competenze sociali” necessarie a svolgerlo. Per un docente universitario sarà la valutazione delle pubblicazioni e delle capacità didattiche, meno cogenti per un Direttore di Struttura ospedaliera, per il quale casistica, ma anche capacità di rimanere aggiornato e gestire un gruppo, saranno essenziali. Inutile ribadire l’indispensabilità del rapporto esclusivo per chi dirige, sintomo della non alterità dei fini..

Se quindi da una parte non è possibile eliminare del tutto l’arbitrarietà determinata da un rapporto fiduciario, fra chi assegna un obiettivo e chi lo deve perseguire, e questo vale a cascata dall’assessore, al direttore generale, al direttore di struttura, questo deve escludere comunque che si determini una nomina di tipo politico nel senso più deteriore del termine, intesa come fedeltà ad un gruppo, ad una parte politica o, peggio, ad un sindacato.

In sostanza per affrontare senza timidezze i temi del merito e della selezione non è necessario pensare di dover tornare ad una stagione del tutto immaginaria in cui erano premiati i migliori ed esclusi i peggiori ma considerare una nuova e più attuale concezione di merito, nella quale i migliori siano coloro che alle elevate documentate competenze uniscano le migliori capacità e volontà di tutelare la salute e valorizzare il ruolo sociale della propria professione, anche all’interno della stessa équipe.

 

Abstract

La qualità dell’assistenza sanitaria è legata alla competenza ed alla coscienza del ruolo dei professionisti che vi operano ed è necessario poter valutare oltre agli esiti clinici anche le capacità dei singoli all’interno del sistema. Molti strumenti sono già disponibili ma per poterli applicare serve un cambiamento radicale di mentalità.

 

 

Suggerimenti Bibliografici

- Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro della Dirigenza Medica, 1996-2008

- G.Cosmacini, La qualità del tuo medico, per una filosofia della medicina, Laterza, Bari, 1995

- A. e C. Galgano, Il sistema Toyota per la sanità, Angelo Guerini e ass., Milano, 2006 P.M. Senge,

- La quinta disciplina, Sperling e Kupfer 1992 A. Beretta Zanoni, Il valore delle risorse immateriali, Il Mulino, 2005