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Decreto Madìa sui "furbetti del cartellino", Benci: vera riforma o "arma di distrazione di massa"?

Pubblichiamo, in esclusiva, un interessante articolo del noto giurista Luca Benci sul tema dei cosiddetti "furbetti del cartellino", all'approssimarsi della data del 12 luglio allorchè entrerà in vigore il decreto Madìa, con cui il Governo ha introdotto un giro di vite sui licenziamenti disciplinari per coloro i quali compiono illeciti nelle timbrature e per coloro i quali omettono di denunciare o agevolano tali comportamenti.
Nella disamina di Benci si coglie il senso delle sue perplessità riguardo a questa cosiddetta "riforma" non certo nel merito di dover procedere disciplinarmente contro chi commette gli illeciti (cosa peraltro già prevista), ma sulle procedure e sulle tempistiche che vengono imposte.
Il dubbio sostanziale è che, innanzitutto, la stretta abbia più un valore simbolico-mediatico che contenutistico, limitando la possibilità di difesa e creando un'"arma di distrazione di massa", come la definisce Benci, in un momento in cui l'attenzione dovrebbe essere massima sulla prossima contrattazione per il rinnovo del contratto collettivo.
Il giurista coglie inoltre anche degli aspetti di incongruenza nel disposto legislativo.

 

Premessa

In principio fu Renato Brunetta e la sua lotta ai “fannulloni” su cui ha basato una buona parte della sua attività ministeriale. Dall’altro versante – centrosinistra –Pietro Ichino discettava con la sua fatica editoriale “I nullafacenti”. Memorabile è rimasta la disquisizione su come chiamare i dipendenti pubblici: per Brunetta geneticamente “fannulloni”, per Ichino “nullafacenti” per colpa dell’organizzazione.

Il Brunetta ministro prima ancora di varare la sua riforma anticipò alcuni contenuti in un decreto legge estivo in cui stralciò le norme sull’assenteismo per malattia con norme che lo stesso Brunetta, ripetutamente cambiò per arrivare infine, praticamente al punto di partenza. Le norme di Brunetta hanno creato più problemi di quelli che volevano risolvere e lo stesso ministro si preoccupò di cestinarle a brevissima distanza dalla loro emanazione. Il rischio di bocciatura costituzionale era evidente per molte di quelle norme. Alcune delle norme sopravvissute, non sono praticamente mai state applicate neanche dalla magistratura ordinaria.

Andiamo con ordine. Il Governo ora interviene – seguendo i dettami della c.d. “Legge Madia” 7 agosto 2015, n. 124 denominata “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, stralciando la delega dell’art. 17, comma 1, punto s) che prevede “l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”.

Il decreto legislativo viene pubblicato in gazzetta ufficiale in data 28 giugno 2016 ed entra in vigore il 12 luglio 2016. La forma è quella della “novella” legislativa e modifica il testo unico del pubblico impiego: “D. Lgs 20 giugno 2016, n. 116 Modifiche all'articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare.”

Non vi è un cambiamento complessivo della normativa disciplinare e neanche dei procedimenti disciplinari in genere. Si tratta solo ed esclusivamente di accelerare il procedimento disciplinare che comporta licenziamento per “falsa attestazione della presenza in servizio” introducendo cinque commi all’articolo 55 quater del decreto legislativo 165/2001 il quale al comma 1, lettera a) già prevedeva il licenziamento disciplinare per “giusta causa o giustificato motivo” per “falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia”. A questa fattispecie, di fatto, la riforma Brunetta aveva anche collegato, nell’articolo successivo, il reato di “false attestazioni e certificazioni” sanzionandolo con una pena da uno a cinque anni e con la multa da quattrocento a milleseicento euro”.

Quando nel dibattito dei mesi scorsi qualcuno sottolineava – alcune sigle sindacali e lo stesso Brunetta – che le norme erano già presenti si faceva riferimento alle norme citate.

Cosa cambia nel nuovo intervento del legislatore delegato allora?

In primo luogo una puntualizzazione della fattispecie della “falsa attestazione della presenza in servizio”.

Il nuovo comma 1 bis dell’articolo 55 quater introdotto recita testualmente:

Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.

Dunque “qualunque modalità fraudolenta” – es. timbrare e uscire – anche avvalendosi di terzi – lasciare il badge marcatempo al collega che provvede a timbrare – o comunque altro comportamento idoneo a trarre in inganno l’amministrazione della effettiva presenza in servizio del dipendente. Degno di attenzione è anche l’ultimo periodo del comma introdotto: “della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”. I destinatari della violazione – che appunto ha come conseguenza il licenziamento disciplinare – sono tutti coloro che abbiano “agevolato” con la propria condotta “attiva” o “omissiva” il comportamento fraudolento. L’individuazione della condotta attiva è semplice: la persona che si è sostituita nell’attestazione della presenza in servizio timbrando il badge in sua vece. Più ardua e più insidiosa è l’individuazione di coloro che abbiano agevolato tale fattispecie con una condotta di carattere “omissivo”. In particolare sono sotto attenzione il ruolo dei dirigenti, delle posizioni organizzative e dei coordinatori. Attenzione: l’agevolazione implica una volontà di favorire la condotta fraudolenta e non può essere equiparata alla disattenzione, alla negligenza o al puro mancato controllo della presenza in servizio del personale sotto-ordinato. Nella stessa fattispecie – quella omissiva – possono rientrare gli stessi colleghi che pur non avendo materialmente “timbrato” (e quindi sostituitosi) ne occultino, anche attraverso la mancata segnalazione, la presenza in servizio. Nel rapporto “tra pari”, dunque, si può rispondere per comportamenti “attivi” od “omissivi” mentre possiamo ipotizzare che nel rapporto con le gerarchie sovraordinate il superiore risponda essenzialmente di comportamenti omissivi.

Il decreto legislativo del Governo Renzi interviene, una volta che il fatto sia “accertato in flagranza”, inoltre sulla procedura disciplinare e sulla pressoché immediata sospensione del dipendente dal servizio con l’introduzione del “comma 3 bis” dell’articolo 55 quater.

Lo riportiamo per esteso

Comma 3 bis

Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all'assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato. La sospensione è disposta dal responsabile della struttura di appartenenza del dipendente o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio competente di cui all’articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione del suddetto termine non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva la responsabilità del dipendente che ne sia responsabile.

La norma si occupa, non prioritariamente, ma esclusivamente della falsa attestazione della presenza “accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di registrazione degli accessi”. In questa fattispecie di licenziamento disciplinare si fa quindi riferimento al concetto penalistico della “flagranza” che è caratterizzato dall’essere colti “nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima” (art. 382 cpp). Calandosi dalle fattispecie penali agli obblighi contrattuali possiamo ipotizzare, prima facie, che il dipendente sia “colto in flagrante” sostanzialmente da un suo superiore oppure, sfruttando le norme introdotte dal recente jobs act – D.Lgs 151/2015 – che, con modalità ancora da chiarire nel dettaglio, permette l’utilizzo degli “apparecchi audiovisivi” (la denominazione storica utilizzata dallo Statuto dei lavoratori per indicare le telecamere) da parte del datore di lavoro da applicarsi “agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. Le telecamere posizionate di fronte agli orologi marcatempo, diventate lecite con i recenti decreti del governo Renzi, possono quindi costituire la fonte di prova della flagranza del comportamento vista la difficoltà di cogliere sul fatto chi mette in essere il comportamento fraudolento. Ci risparmiamo in questa sede la discussione e il distinguo tra “flagranza” e “quasi flagranza” sviluppatosi in sede penale.

In caso di flagranza vi è l’obbligo per la struttura di sospendere “immediatamente” o comunque “entro quarantotto ore” senza retribuzione il dipendente e “senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato”. Registriamo quindi l’introduzione di una nuova fattispecie di “sospensione cautelare dal servizio”. Unica novità, rispetto al testo presentato alle commissioni parlamentari, è il riferimento all’assegno alimentare.

Tutta da interpretare è l’individuazione del soggetto a cui competa la sospensione del dipendente. La legge fa genericamente riferimento al “responsabile” o, se ne venga a conoscenza prima, all’ufficio competente per le sanzioni disciplinari. L’individuazione del “responsabile” è da individuarsi, sempre, in colui che ha un ruolo dirigenziale e non pare quindi estensibile, quanto meno nelle organizzazioni sanitarie, a titolari di funzioni di coordinamento e di posizioni organizzative.

Contestualmente alla sospensione il “responsabile” trasmette gli atti all’ufficio competente per le sanzioni disciplinari che deve concludere il procedimento “entro trenta giorni” come specifica il comma 3 ter introdotto dal decreto 11/2016 appena pubblicato che riportiamo si seguito:

Comma 3 ter

Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare di cui al comma 3-bis si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell'addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all'Ufficio di cui all'articolo 55-bis, comma 4. Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno quindici giorni e può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato. Fino alla data dell'audizione, il dipendente convocato può inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni. Il differimento del termine a difesa del dipendente può essere disposto solo una volta nel corso del procedimento. L'Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell'addebito. La violazione dei suddetti termini, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare né l'invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all'articolo 55-bis, comma 4.

Il decreto delegato prosegue con il comma 3 quater che provvede a disciplinare i tempi per la segnalazione alla Corte dei conti e alla denuncia al pubblico ministero (15 giorni). La magistratura contabile deve intervenire per la quantificazione del danno di immagine tenendo conto, “equitativamente”, anche “della rilevanza del fatto per i mezzi di informazione”. Maggiore eco avrà avuto la vicenda sui giornali e maggiore dovrà essere il risarcimento che, comunque, non potrà essere inferiore a “sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento”. Il legislatore si contraddice nella parte in cui chiede l’intervento equitativo del giudice e nel contempo ne fissa anche la sanzione minima.

3-quater

Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall'avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L'azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L'ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.

Il decreto si conclude con l’articolo 3 quinques in cui introduce la fattispecie di licenziamento disciplinare per il dirigente che ometta la comunicazione del fatto, ometta l’attivazione del procedimento disciplinare e ometta la sospensione cautelare. Lo riportiamo per esteso.

3-quinquies

Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l'omessa attivazione del procedimento disciplinare e l'omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell'ufficio competente per il procedimento disciplinare, all'Autorità giudiziaria ai fini dell'accertamento della sussistenza di eventuali reati.

Nella formulazione originaria del governo era presente, per il dirigente, anche la denuncia per omissione di atti d’ufficio che è stata stralciata per il rischio di “eccesso di delega” che da più parti era stato paventato. Nella formulazione finale è rimasto solo l’obbligo di notizia all’autorità giudiziaria “ai fin dell’accertamento della sussistenza di eventuali reati”.

Conclusioni

Possiamo rilevare alcune incongruenze evidenti. Il governo prosegue con la strada della “pubblicizzazione” dei rapporti di lavoro del pubblico impiego intervenendo al di fuori del luogo naturale dei procedimenti disciplinari che è costituito dalla contrattazione.

In secondo luogo si stabiliscono norme che non tengono conto del principio di “gradualità” e di “proporzionalità” che sono fondamentali in ogni procedimento sanzionatorio. La sostanziale equiparazione di comportamenti, comunque passibili di sanzione, come il dipendente che si assenta per pochi minuti al comportamento del dipendente che risulta totalmente assenze, pone non soltanto ombre di incostituzionalità ma pone le basi per la sua non applicazione. Si pensi la reato introdotto dalla riforma Brunetta – precedentemente citato – che sanziona da uno a cinque anni la falsa attestazioni in servizio e i certificati compiacenti con sanzioni che prevedono la pena detentiva da uno a cinque anni anche per il medico che ha stilato il certificato. Al medico deve inoltre essere applicata la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo. L’eccessiva durezza della norma ne ha comportato la non applicazione. I processi per le timbrature per altri e per i certificati compiacenti hanno seguito il classico reato di truffa e pressoché mai il reato introdotto da Brunetta.

Inoltre vi è stata una revisione solo parziale dei procedimenti disciplinari che, per il resto, seguono le vie e i tempi ordinari. E’ curioso notare che nei casi di licenziamenti disciplinari i tempi di contestazione erano, fino a oggi, raddoppiati rispetto agli altri procedimenti, per valutare compiutamente i fatti di una rilevante gravità e quindi di rilevante conseguenza. Oggi quei tempi – e solo per i fatti gravi – vengono più che dimezzati ponendo un problema non secondario di diritto alla difesa. Si pensi se la contestazione possa essere operata d’estate durante il periodo classicamente feriale per i procedimenti giudiziari dove può essere quasi impossibile trovare un avvocato in termini così stretti.

Sembra il classico decreto destinato più all’opinione pubblica che non a governare il sistema come sono state tante norme contenute nella riforma Brunetta.

E’ significativo il fatto che questo sia al momento il primo di una serie di decreti legislativi che devono generare dalla riforma Madia e che il governo ne abbia deciso l’anticipazione rispetto al resto dei provvedimenti che dovranno riguardare le dotazioni organiche, la revisione dei concorsi, la revisione dei sistemi di valutazione ecc.

Il Consiglio dei ministri decide di cavalcare l’onda mediatica – o forse la subisce – rinunciando, al momento, di provvedere a veri atti di “governo” del personale come il cambiamento dell’organizzazione, la motivazione, i sistemi premianti, lo sblocco del turn over (che si è addirittura inasprito) e, ultimo ma non ultimo, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego il cui blocco, come è noto, è stato dichiarato anticostituzionale.

Tutti hanno a cuore l’efficienza della pubblica amministrazione ma questa deve essere perseguita attraverso una politica complessiva.

In questi mesi, invece, il problema del pubblico impiego sembra essere solo la lotta ai “furbetti del cartellino” diventata vera e propria arma di distrazione di massa rispetto a provvedimenti che non si prendono o che vanno in una direzione contraria al c.d. “efficientamento” dei servizi pubblici.

E’ verosimilmente corretto affermare che il termine “riforma” – quanto meno nella sua accezione più nobile – debba essere negato a simili provvedimenti come quello di cui ci siamo occupati.

 

Luca Benci

giurista

 

- DECRETO "Furbetti del cartellino" QUI