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Spending review, scure per la Sanità: tagli per 1,5 mld. Si oppone la Lorenzin.

Giuseppe Provinzanodi
Giuseppe Provinzano
Pubblicato il: 16/09/2016 vai ai commenti

Editoriali

Secondo indiscrezioni il fondo sanitario nazionale nel 2017 sarà incrementato solo di 500 milioni invece che di 2 miliardi come previsto dal D.E.F. per cui saranno tagliati circa 1,5 miliardi nella prossima legge di Bilancio. La misura, trova tuttavia l’opposizione della ministra Beatrice Lorenzin che rilancia mettendo in campo una “compensazione” in grado di mitigare l’intervento: una microtassa da 1 centesimo a sigaretta da cui recuperare 700 milioni da riversare al servizio sanitario per l’acquisto dei farmaci anti tumorali. Il Tesoro non si opporrebbe, ma il Presidente del Consiglio Renzi si, come dichiarato ieri ai microfoni di"Unomattina". 

Nel 2017 i soldi per la sanità aumenteranno e non ci saranno interventi sui pacchetti di sigarette”, quindi “in modo categorico queste informazioni sono sbagliate”, ha chiuso Renzi commentando le indiscrezioni. “Certo il ministro della Sanità chiede dieci e magari otterrà uno, ma non è che ha avuto un taglio: voleva dieci e ha avuto uno”. Appunto. Il premier in pratica non ha affatto negato che l’aumento possa essere molto inferiore al previsto". Ha continuato dicendo - “no all’aumento né di tasse, né di accise, nemmeno sulle sigarette. Io non fumo, credo che fumare faccia male, però non è possibile che si prenda quella parte di cittadini che fuma e che si sprema. O dici che non si può più fumare in Italia o non è che li utilizzi come bancomat perché fumano”.

In una nota sui minori stanziamenti per la sanità, caldeggiati dal ministro dell’Economia Padoan e su cui la titolare della Salute, Beatrice Lorenzin, oppone resistenza, è intervenuta anche la Senatrice Barbara Lezzi (M5S): “È il caso di ricordare che l’anno prossimo, per legge, partono tagli per tre miliardi e mezzo. Quindi i tagli ammonterebbero a cinque miliardi. E dal 2018 sono previsti, per effetto del comma 680 dell’ultima Stabilità, tagli per altri cinque miliardi: è una mannaia ferocissima”.

Intanto la squadra dei tagliatori è prepotentemente ridiscesa in campo negli ultimi giorni sotto la pressione di Pier Carlo Padoan che da almeno una settimana sta conducendo un pressing per rispettare le indicazioni di Bruxelles all’insegna delle parole d’ordine di «frenata globale» dell’economia, revisione al ribasso delle stime di crescita, stop al taglio Irpef e alla ulteriore richiesta di flessibilità.

La linea emersa dopo il bilaterale Moscovici- Padoan di sabato scorso a Bratislava ha segnato la svolta, ha fatto rientrare i tentativi di far prevalere lo spirito di Atene, dove si sono riuniti i paesi mediterranei, e ha condotto ad accantonare l’idea, pur coltivata all’interno del governo, di forzare il rapporto deficit-Pil del prossimo anno per portarlo verso il 2,4 per cento, in linea con quello del 2016 ma senza riduzioni sensibili.

Il risultato è che si dovranno ridurre le ambizioni di spesa per bonus e altre misure e puntare su una manovra più asciutta, forse più tradizionale, ma in grado di superare l’esame della Commissione (che ci ha già messo nella lista degli “attenzionati”) e dei mercati che non si sono dimenticati del nostro debito pubblico e che guardano al referendum. Del resto lo stesso Renzi ha apprezzato l’operazione-verità sulla crescita di Via Venti Settembre e ha sempre sottolineato che tutto deve avvenire nel rispetto delle regole di Bruxelles.

La conclusione è che il deficit-Pil supererà forse l’1,8 per cento previsto, e in qualche modo già approvato nel maggio scorso dagli organismi comunitari, e arriverà magari al 2 o poco più. La linea di difesa approntata da Via Venti Settembre resta comunque il deficit strutturale, quello che tiene conto della cattiva congiuntura, con l’obiettivo di mantenere un miglioramento di almeno lo 0,1 per cento del Pil senza mollare sul pareggio di bilancio al 2019.

Per fare questa operazione bisogna tagliare e la novità dell’ultima ora è che Palazzo Chigi ha deciso di chiedere alla ministra Beatrice Lorenzin, che nei giorni scorsi aveva già fatto un fuoco di sbarramento, 1-1,7 miliardi di sacrifici. In pratica il Fondo sanitario nazionale, oggi a quota 111 miliardi, rimarrebbe sostanzialmente stabile senza salire ai 113 miliardi previsti dall’ultimo Def quota che le Regioni avevano già reclamato lo scorso anno in attuazione delle precedenti intese.

La posizione di Palazzo Chigi è che la sanità rappresenta circa il 25 per cento della spesa centrale dello Stato (cioè 420 miliardi al netto dei trasferimenti e degli intessi) e che non può rimanere fuori dalla spending review. Naturalmente il fronte delle Regioni è pronto alla reazione, dopo il tentativo subito lo scorso anno di ridimensionare esami e accertamenti, e potrebbe ostacolare il via libera all’arrivo delle previste nuove prestazioni sanitarie aggiuntive (i Lea). Per addolcire il taglio la ministra Lorenzin chiede di mettere in campo una sorta di “compensazione” cui il Tesoro non si opporrebbe: una tassa di un centesimo a sigaretta per oltre 700 milioni che dovrebbe servire a recuperare i fondi per l’acquisto da parte del servizio sanitario dei costosi farmaci anti-tumorali.

La partita della spending review non finisce qui. Un altro miliardo dovrebbe venire dall’intervento sulle spese delle Regioni mentre i Comuni sarebbero al riparo dai tagli: verrebbe confermato lo stop all’aumento delle addizionali Irpef e delle tasse locali ma si prevede lo sblocco della spesa degli «avanzi di bilancio» in funzione dell’intervento antisismico del progetto Casa Italia. Completano il quadro della caccia alle risorse la chiusura delle partecipate (si risparmierà sul ripiano dei debiti di quelle in perdita) e il potenziamento delle centrali di acquisto di beni e servizi.

Fonte: Repubblica/economia&finanza