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A colloquio con uno dei giurati del Care Film Festival, (CFF), Paola Arcadi

Daniela Sardodi
Daniela Sardo
Pubblicato il: 20/09/2017 vai ai commenti

Le interviste

Il Care Film Festival  è  il primo concorso internazionale per cortometraggisul tema del “PRENDERSI CURA”  che si terrà A Monza il prossimo 21 ottobre.

Il NurSind  promotore dell’iniziativa, si pone come obiettivo statutario il “PRENDERSI CURA” di chi si “PRENDE CURA”, intende cioè promuovere e diffondere  l’ importanza del ruolo sociale degli infermieri  attraverso i vari mezzi  comunicazione.

InfermieristicaMente sarà presente all’evento in qualità di Media  Partner.

 

Paola Arcadi, Professore a contratto presso il CdL di Infermieristica dell’Università di Milano, Presidente dell’ASI ( Accademia delle Scienze Infermieristiche), un’associazione professionale senza scopo di lucro finalizzata alla condivisione di idee, iniziative, progetti  nell’ambito della disciplina infermieristica.

 

1)    Nella tua pratica didattica utilizzi principi e metodi della “ medical humanities” per cui ben conosci il valore di strumenti espressivi quale il cinema nella dimensione del “prendersi cura”. In che modo si sostanzia questa  relazione?

 

Le Medical Humanities rappresentano un potentissimo strumento nella formazione in ambito sanitario, perché aiutano a stimolare la riflessione sugli aspetti più profondi della cura, sulla sua dimensione antropologica.

La cura è relazione, è emozione, è contatto con il sé e l’altro, e dunque nella formazione dei professionisti è fondamentale dotarsi di strumenti utili a far emergere e ad analizzare le dinamiche relazionali che intercorrono nel processo di cura, nonché a riflettere sul proprio ruolo e sulle relazioni interprofessionali. Il cinema, in particolare, come ci ricorda Lucia Zannini “è in grado di sollecitare potentemente sia sul piano cognitivo, che su quello emotivo. Permette di fare esperienza di una realtà che non appartiene direttamente allo spettatore ma che ciononostante, può risultare estremamente significativa. Usare il film significa, a livello generale, aiutare gli spettatori a fare ricorso a forme di pensiero e registri, come quello notturno, emozionale, affettivo e simbolico, spesso misconosciuti nei processi di costruzione della conoscenza, specialmente nei contesti sanitari”

Al contempo, servirsi del cinema nella formazione dei professionisti della cura significa far vivere a loro esperienze che non li riguardano direttamente, in primis quella del malato, ma non solo, anche quella dei familiari, di modo che abbiano l’opportunità di cogliere da altre prospettive la realtà in cui sono immersi. Inoltre, il cinema permette di avere la visione di alcuni problemi così come una società ed una cultura li percepiscono, non ultima la rappresentazione del medico, dell’infermiere, ecc, prospettiva, questa, che a volte è difficile da cogliere quando si è completamente immersi nel contesto sanitario. E queste attività di decentramento, vedere l’esperienza di malattia con gli occhi del malato, capire come una società si rappresenta la figura del medico o dell’infermiere, rappresentano una finalità cruciale delle Medical Humanities.

 

2)    La tua personale visione del “ prendersi cura”.

La mia visione del ‘prendersi cura’ si rifà alla concezione di Heiddeger, che rappresenta la cura partendo dalla significato etimologico della parola, ovvero  intesa come “sollecitudine, grave e continua inquietudine, vigilanza premurosa”.  Il prendersi cura autentico è quello in cui si opera con il fine di aiutare gli altri ad assumersi la responsabilità delle proprie cure e quindi a essere liberi di realizzare il proprio essere,  piuttosto che porsi in una relazione di potere in cui ‘so io cosa è giusto per te’. Ecco perché preferisco parlare di ‘aver cura’, e non già di ‘prendersi cura’. Inoltre, faccio sempre mia la visione di cura che ci consegna Collierè quando dice  “Quando dico a qualcuno di “prendersi cura” delle mie piante nel momento in cui vado in vacanza, costui non penserà neanche lontanamente che “curare” le mie piante significa somministrare loro delle medicine. Bisogna provvedere a tutto ciò che è indispensabile alle mie piante perché sopravvivano, e questo in funzione delle loro abitudini di vita. Esse hanno tutte bisogno di bere, ma qualcuna in modo diverso. Lo stesso vale per la luce, il calore, le correnti d’aria’.

Insomma, aver cura come incarnazione del principio a noi caro della personalizzazione.

 

 

3)    Il cinema, il teatro e le altre forme espressive possono, secondo te, migliorare anche il  rapporto tra infermieri e società?

 

Sicuramente si, nel momento in cui la rappresentazione dell’infermiere è molto vicina all’identità professionale che sentiamo appartenerci. Sicuramente no, nel momento in cui invece vediamo una raffigurazione ancora molto legata agli stereotipi che purtroppo accompagnano ancora il pensiero della società rispetto al ruolo e alle funzioni dell’infermiere e ai rapporti con le altre professioni. Ecco perché l’iniziativa del Care Film festival rappresenta un’occasione per diffondere anche alla cittadinanza una visione della cura e dei professionisti orientata al bello, alla raffigurazione delle molteplici sfaccettature delle tematiche proposte e un contributo positivo da parte dei professionisti in tal senso.

 

 

4)    Questa iniziativa ha come obiettivo  non solo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore del “ prendersi cura”, ma anche di  permettere un riconoscimento di “coloro che si prendono cura”. Secondo te che altro bisognerebbe fare per operare in questo senso?

Rispondo molto sinteticamente: il  miglior modo per vedere riconosciuto il valore e le competenze di una professione è quello di dimostrare nell’agito quotidiano che la nostra presenza è fondamentale nel promuovere la salute e nel risolvere i problemi di salute delle persone che si rivolgono a noi.