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Opi Oristano: la quota sale a 100 euro - è polemica

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 30/04/2020

NurSind dal territorioSardegna

Ogni anno arriva puntuale e come tutti gli anni scatena sempre le solite trite e ritrite polemiche. Alcune fondate altre meno.
Parliamo della quota di iscrizione all’Ordine Professionale degli Infermieri che quest’anno ha acceso le polveri della polemica non già soltanto per l’atavica insofferenza verso quella che più che altro è considerata una tassa, quanto per l’aumento stabilito ad Oristano che passa dalla già notevole quota di 75 euro a 100.

Raffaele Secci Opi Oristano L’avviso ricevuto dagli infermieri oristanesi ha fatto drizzare i capelli a tutto il mondo infermieristico sardo perché si tratta di un aumento del 33,3%. Un aumento fuori da qualsiasi logica che non trova nessuna spiegazione plausibile e che ha mandato su tutte le furie i colleghi. Non ha contribuito a rasserenare gli animi la nota esplicativa pubblicata sul sito OPI Oristano dal presidente Raffaele Secci che ha spiegato come questo aumento sia legato a:
    • Aumento delle ore lavoro del personale dipendente.
    • Aumento delle spese di rappresentanza.
    • Aumento delle spese per consulenze esterne.
    • Aumento delle spese per la formazione degli iscritti.
    • Aumento delle spese per la formazione e l’aggiornamento dei componenti il consiglio direttivo.
    • Aumento delle spese per partecipazione ai consigli nazionali.
    • Aumento delle spese per acquisto software e licenze sito web e contabilità.
    • Aumento quota associativa FNOPI.
Nelle altre province i costi sono decisamente più contenuti e le quote vanno dai 50 euro di Nuoro ai 65 euro di Sassari e Cagliari. Sarà anche vero che nella provincia di Oristano gli iscritti sono di meno ma la differenza coi 50 euro di Nuoro fatica a trovare comprensione.

Dovrebbero rendicontare queste spese” ha commentato qualcuno, certificando però quanto la disaffezione e l’indifferenza verso l’assemblea degli iscritti sia pressoché totale. Ogni iscritto viene convocato alle riunioni dell’ordine proprio in occasione del bilancio, quando si può prendere visione di come siano spesi i soldi e si possono fare tutte le rimostranze e denunce del caso. La verità è che gli infermieri sentono l’ordine da sempre lontano dalle loro rivendicazioni, soprattutto perché queste sono sostanzialmente di natura sindacale e gli ordini stessi, da sempre, si dicono lontani e contrari a qualsiasi commistione. Una posizione nazionale che non è mai stata compresa da nessuno, giustificata dalla libertà di ogni infermiere di sostenere la sigla sindacale che preferisce che ha però fatto perdere molto tempo da quel lontano 1994, in cui la professione passava da ausiliaria a intellettuale.

Molti dei commenti di protesta dimostrano come all’ordine si chieda proprio un impegno nella rappresentanza della categoria al fianco delle rivendicazioni contrattuali che più di tutti il sindacato di categoria NurSind incarna, avendo rivendicato da sempre una contrattazione separata e la fuoriuscita dal comparto, unico strumento per arrivare alla giusta retribuzione e normativa contrattuale, specifica per la categoria più numerosa in sanità, cui è demandata la responsabilità dell’assistenza al paziente in ogni ambito e in ogni dove.

Commenti quali “è una tassa inutile che non ci restituisce nulla, potere contrattuale, considerazione, carriera, siamo mal pagati per le responsabilità che abbiamo” e come “ho sempre pagato puntuale, quest’anno il bollettino rimane appeso al frigo”, sono una sconfitta nei fatti non solo della funzione dell’ordine e di conseguenza di tutta la categoria.

L’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo e del pagamento della relativa quota di iscrizione, deriva dalla legge 43/2006 che al comma 3 dell’articolo 2, recita che: “l’iscrizione all’albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti”.
A riguardo giova però ricordare che NurSind sostiene da tempo come il pagamento della quota di iscrizione dell’infermiere dipendente pubblico che lavora quindi in regime di esclusività, debba essere in capo all’azienda pubblica. Sono numerose le cause pilota intentate in questo senso e l’iniziativa della segreteria di Pordenone è arrivata vincente fino all’appello, in cui il giudice ha confermato la sentenza di primo grado stabilendo che «quando sussiste il vincolo di esclusività del rapporto di lavoro, l’iscrizione all’albo è funzionale allo svolgimento di un’attività professionale svolta nell’ambito di una prestazione di lavoro dipendente, la tassa rientra tra i costi per la realizzazione di tale attività che dovrebbero gravare, in via normale, sull’ente che beneficia in via esclusiva di tale lavoro».
In sintesi, se un infermiere lavora esclusivamente per l’Azienda sanitaria, quest’ultima deve pagare la tassa dell’ordine, la cui quota varia in base alla provincia.

Una sentenza che pesa come un macigno sulla normativa di riferimento che solo sulla spinta di altre cause e di una forte consapevole rivendicazione collettiva, potrà portare alla modifica del caso. Un evento che potrebbe porre le basi per una nuova stagione di affezione verso l’ordine sempre che federazione centrale e direttivi provinciali, decidano di inaugurare una stagione convinta di rivendicazione, nel momento in cui l’opinione pubblica ha adottato gli infermieri e li ha eletti, loro malgrado, a nuovi eroi popolari.

Andrea Tirotto