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25 marzo: Giornata internazionale del ricordo delle vittime della schiavitù

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 24/03/2022

AttualitàPunto di Vista

Oggi si celebra la XVIa Giornata internazionale del ricordo delle vittime della schiavitù, istituita dall’ONU nel 2007 al fine di onorare la memoria di tutte le persone uccise dalla tratta transatlantica e dal sistema schiavista insediato nei territori delle ex colonie europee, nel corso di oltre 400 anni. La giornata è anche un momento di riflessione sull’eredità contemporanea della tratta schiavista transatlantica, in termini di razzismo strutturale e neo-schiavismo.

Per tratta transatlantica degli schiavi si intende la rotta triangolare tra Europa, Africa Occidentale e Americhe, che ha costituito il sistema fortemente redditizio su cui gran parte della ricchezza europea si è fondata, in particolare quella inglese, olandese, spagnola e portoghese.

L’oceano Atlantico, tra il 1501 e il 1830, ha visto circa 17 milioni di persone, tra uomini, donne e bambini, sequestrate dai territori dell’Africa Occidentale, trasportate come merce in navi e destinate alla schiavitù nelle colonie di Nord, Centro e Sudamerica. Schiavizzazione e tratta transatlantica divennero dunque la base del modello economico, politico e sociale di colonizzazione europea verso le Americhe.

Anche se l’Europa tende a considerare il periodo di espansione coloniale come una sua sorta di diaspora, in realtà la diaspora è stata per lo più africana. 

“L’allora nuova tratta transatlantica di schiavi, ha trasformato la popolazione africana in oggetti, visti e venduti come beni materiali da e per gli europei”, ha dichiarato Gilbert Ndi Shang del gruppo di ricerca Africa Multiple dell’Università di Bayreuth, in Germania. 

Le persone schiavizzate venivano vendute il più velocemente possibile. Milioni di africani sono stati forzati a lavorare in piantagioni, miniere di proprietà europea, o come lavoratrici/lavoratori domestici in tutto il continente americano, compresi i Caraibi. Circa 2,4 milioni di persone sono morte durante i trasporti transoceanici e altrettanti all’arrivo a destinazione. Nel 1807 la Gran Bretagna ha approvato la prima legge di abolizione della tratta schiavista, seguita, nel 1815, da Olanda, Francia, Spagna e Portogallo. Nel 1820 anche gli Stati Uniti introdussero la pena di morte per tratta di schiavi.

Ma la schiavitù, legalmente abolita in tutte le regioni del globo, è davvero sparita dall’orizzonte dell’evoluto mondo contemporaneo? 

Purtroppo no. Anche se non si conosce ancora la dimensione precisa del fenomeno, la schiavitù esiste ancora di fatto in varie zone del mondo. Dalle prostitute thailandesi e nigeriane agli schiavi del Sudan e della Mauritania, dai bambini soldato della Sierra Leone a quelli impiegati nell’industria dei tappeti in India, Pakistan e Nepal, dalle domestiche filippine immigrate nel Golfo Persico alla manodopera utilizzata nel disboscamento della foresta amazzonica, ancora milioni di uomini, donne e bambini  vivono in condizioni di totale asservimento. Persino nelle città europee. Fonti accreditate stimano in duecento milioni il numero di esseri umani che ancora oggi sono in catene nei quattro angoli del globo.

La schiavitù si può e si deve combattere.

Come? Ad esempio diffondendo il più possibile l’istruzione nelle aree geografiche a rischio e sostenendo sotto l’aspetto psicologico, legale ed economico le vittime, accompagnandole in un sovente difficile e prolungato cammino di superamento dei traumi subiti e di progressiva conquista della libertà e dell’indipendenza.

Ma soprattutto, le nuove schiavitù si combattono sconfiggendo l’indifferenza dell’uomo della strada, promuovendo cioè la sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso la sofferenza di milioni di persone ancora colpite dalle più intollerabili forme di violenza fisica e psicologica e sviluppando la consapevolezza diffusa e la solidarietà del mondo ricco verso le vittime di commerci barbarici e umilianti, offensivi della dignità umana di tutti.