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“The good nurse”, storia di un infermiere serial killer e di una sanità omertosa

Isabella La Pumadi
Isabella La Puma
Pubblicato il: 08/02/2023

AttualitàEsteroNursing

Essendo cresciuta a pane e E.R. medici in prima linea sono naturalmente attirata da tutti i film/serie/documentari che trattano l’argomento sanitario. Da quando ho deciso di vestire la divisa da infermiera ho cominciato a porre più attenzione a come la nostra professione viene rappresentata nel piccolo e grande schermo, constatando che rispetto ai colleghi medici è sempre molto marginale, perfino in quei medical drama che sembrano più delle soap opera in stile Beautiful. Da un paio di mesi su Netflix è presente un titolo in cui questa marginalità viene decisamente meno, “The Good Nurse”.

Si tratta di una pellicola diretta da Tobias Lindholm, tratto dall’omonimo romanzo di Charles Graeber, che racconta la storia, purtroppo vera, dell’infermiere statunitense Charlie Cullen, responsabile di 29 morti avvenute nei reparti in cui ha lavorato, in diversi ospedali. Pare però che nei sedici anni di operatività (dal 1987 al 2003) in innumerevoli strutture sparse tra la Pennsylvania e il New Jersey il collega serial killer possa aver ucciso circa 400 persone.

La storia di Cullen si intreccia con quella di Amy Loughren, eccellente infermiera con una disastrosa situazione personale che trova conforto nell’amicizia con il nuovo collega, gentile e collaborante, appena arrivato in reparto. Le morti sospette però cominciano a turbare tutti, soprattutto Amy, che lavora spesso con Cullen e non riesce a capire come il tasso di arresti cardiaci possa essere cresciuto così tanto e improvvisamente nel suo reparto. Viene aperta un’indagine interna all’ospedale in cui è coinvolta la polizia.

Ben presto gli inquirenti si rendono conto che i dirigenti dell’ospedale non forniscono tutti i dati necessari ad effettuare le indagini. Lo stesso clima di omertà si presenta alla richiesta di informazioni dei detective verso gli ospedali in cui Cullen aveva praticato in precedenza. Nessuna struttura ospedaliera in cui il killer abbia lavorato, con conseguente aumento delle morti sospette, ha mai denunciato l’accaduto, ma si è limitata ad allontanare l’infermiere con scuse di vario genere.

Cullen dunque ha agito indisturbato, coperto dai dirigenti ospedalieri che minimizzavano i decessi come "eventi inspiegabili", anche se qualcuno ai vertici aveva ben compreso, dai referti di morte, i motivi dei decessi. Nessuno però scrive relazioni negative per evitare ombre sulle proprie cliniche. Il film descrive bene quello che le nostre Aziende Sanitarie stanno diventando. Aziende, appunto, che pianificano strategie per sopravvivere sempre e comunque, possibilmente incrementando gli utili.

Ma chi rompe la catena di silenzi e ostracismo su cui il serial killer più letale del nostro tempo cammina come un funambolo esperto? Una piccola, fragile ma incredibile infermiera, è lei la vera “good nurse”. Madre single, con una grave cardiopatia lavora senza sosta, con dedizione e professionalità, sperando di arrivare al momento in cui finalmente l’azienda per cui lavora le concederà l’agognata assistenza sanitaria, necessaria per il suo intervento salvavita. Emblematica la scena in cui paga 900 dollari per una visita con ecografia.

Nonostante la sua fragile condizione e nonostante l’affetto che nutre per Cullen, che con lei si mostra premuroso e gentile, Amy riesce a fare la cosa più difficile e spaventosa...la cosa giusta.

Questo non è un film dai grandi colpi di scena. In mano a qualche altro regista sarebbe forse stato più pregno di suspance e tensione, dato il soggetto. Immerso nella tipica fotografia danese dalle pennellate cupe non c’è un mostro da sbattere in prima pagina, dalle azioni macabre, dagli sguardi sadici, ma un ragazzo pacato, dallo sguardo dolce, terribilmente umano.

La cosa che viene dipinta in modo più mostruoso è l’assenza di etica all’interno degli ospedali in cui Cullen ha lavorato, sistemi deliranti in cui l’unica religione è il profitto e che piuttosto che scoperchiare una verità scomoda, con lo spauracchio di cause legali, si girano dall’altra parte lasciando che un assassino cerchi le sue vittime altrove. L’espressione impietrita e colpevole dell’ex infermiera promossa a Risk Manager che congeda ancora una volta Cullen per futili motivi (anche se sa benissimo chi ha davanti) mi ha lasciato davvero l’amaro in bocca. Cullen non è stato di certo l’unico mostro in questa vicenda.