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Divise in plastica , informi e trasparenti. In Sardegna è polemica

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 05/06/2023

Punto di Vista

Trovate corretto che le divise di tutto il personale sanitario siano bianche e distinte solo per la colorazione di un piccolo colletto? E quand’anche, vi pare giusto che tali divise siano anonime, per metà di plastica, informi, poco coprenti, di misure standard e che lasciano intravedere gli indumenti intimi?

È esattamente quello che sta succedendo in Sardegna a seguito di una procedura regionale centralizzata che sta sollevando un polverone di proteste.

Ma prima di capire cosa sia successo, chiediamoci che rapporto hanno gli infermieri con la loro divisa?

L’amore che i militari nutrono per la loro è inconfutabile; i cuochi sono fieri e orgogliosi di indossare un copricapo tipico e distintivo che un’infermiera appena uscita dal parrucchiere troverebbe sconveniente; i vigili del fuoco sono immediatamente riconoscibili e la loro divisa assicura in chi la osserva un senso di autorità e protezione difficilmente riscontrabile nel bianco infermiere di antica memoria e in quello tornato di moda evidentemente.

In una vecchia dispensa della scuola per infermieri professionali si trovano le seguenti indicazioni: l’infermiera deve fare il bagno tutti i giorni, non mettere prodotti troppo profumati che potrebbero dare fastidio ai pazienti, indossare biancheria intima in buono stato, e pulita, la lunghezza della sottoveste dovrebbe corrispondere a quella del camice, il trucco troppo pesante non va d’accordo con la divisa pulita e i capelli devono essere protetti da una cuffia o un velo per evitare che germi o polvere possano cadere su ferite o alimenti, indossare scarpe silenziose; prima di presentarsi al lavoro sarebbe utile specchiarsi per controllare il proprio aspetto che dovrà essere ben curato e contribuirà a migliorare i rapporti personali con gli altri.

Comunque, a parte gli anacronismi di alcune delle indicazioni della vecchia dispensa, le istruzioni riportate testimoniano una cura dell’immagine distintiva del ruolo che francamente oggi è scomparsa.

Il bianco infermiere non ci è mai piaciuto ed ogni occasione o mezzo, erano buoni per cercare di acquisire un “prestigio” che la divisa standard proprio non riusciva a trasmettere.

Torneranno a fiorire penne e strumenti nei taschini, fonendoscopi d’ogni sorta esposti nei modi più originali pur di darsi un tono? Riprenderà la corsa all’acquisto degli zoccoli più originali pur di distinguersi dagli altri?

Però vi chiedo: se il nostro stipendio fosse di 3000 Euro al mese e la nostra fosse dunque una professione prestigiosa e ambita, saremmo qui a disquisire su questo o quel colore? Non sarà invece che l’onorabilità e il rispetto di una professione, passa soprattutto attraverso la competenza, l’appropriatezza e l’autorevolezza di chi la esercita?

Tutti bianco fior di latte allora, con un colletto di diverso colore ma soprattutto con un tessuto che le guaine di neoprene a confronto sono roba da sfigati del dimagrimento. Una spersonalizzazione come nemmeno il covid era riuscito ad attuare.

Colpa del solito amministrativo che non ha idea di cosa sia una divisa? E chi lo sa? Eppure a leggere il capitolato di gara, Regione Sardegna aveva imposto specifiche tecniche dei capi e del filato di tutto rispetto, adattamento alla conformazione fisica compreso.

E c’era da essere tranquilli a leggere le caratteristiche dei capi proposti dall’aggiudicatario che recitano: “Per rispondere al meglio alle vostre richieste nel bando di gara, (…) abbiamo scelto come primo tessile per la vestizione il più apprezzato dal mercato medicale italiano: un rasatello water al 100% con composizione fibrosa in puro cotone cardato, certificato organico in filiera. Un materiale di eccellenza che riesce a equilibrare perfettamente massimo comfort, comodità e funzionalità d’uso (…) massimizza le proprietà positive della fibra naturale del cotone, garantendo nella vestizione degli operatori: massima qualità, resistenza, morbidezza, reale comodità nell’utilizzo (…) evita completamente la trasparenza dei capi garantendovi la massima coprenza anche nel bianco, e gradevolezza al tatto”.

Divise di grande sartoria verrebbe da dire se non fosse che tra bando, gara, presentazione campionario e aggiudicazione qualcosa dev’essere successo se tutte le mirabolanti caratteristiche delle confezioni si sono perse per strada e sono state consegnate divise che col caldo, restituiscono la comodità di un acquitrino termale, la vestibilità di un sacco per la goliardica corsa e la dignità del taglio a kimono che un giapponese non indosserebbe neanche a carnevale.

Lungi da noi pensar male eh, ci mancherebbe, sia mai che qualche campione sia stato sostituito da uno più economico al momento della presentazione e il povero commissario di gara di turno stesse pensando alla pausa pranzo.

Quel che è certo è che quanto richiesto non è stato fornito e a piangere sono gli operatori di bianco vestito, tutti, molto democraticamente per una volta.

 

Andrea Tirotto