I turni di 12 ore. Quanti infermieri li preferiscono? E che effetti hanno sui pazienti?
I turni di dodici ore sono stati un pilastro dei programmi infermieristici da quando sono iniziati come strategia per il personale negli anni '70 nei paesi anglosassoni, mentre in Italia, hanno preso piede durante la pandemia, per sopperire alle carenze organiche. Il dibattito però sui loro effetti sulla salute degli infermieri e sulla capacità di prendersi cura in sicurezza dei pazienti, è sempre aperto.
Gli studi hanno esaminato entrambi gli aspetti della questione. Per quanto riguarda il personale, i ricercatori hanno scoperto che la maggior parte degli infermieri e degli amministratori ospedalieri preferisce i turni di 12 ore come mezzo per raggiungere la continuità delle cure, la facilità di programmazione e, per gli infermieri, l'equilibrio tra lavoro e vita privata. Per quanto riguarda la qualità dell'assistenza ai pazienti, la ricerca ha mostrato un'associazione tra turni consecutivi più lunghi e più errori clinici.
Un recente studio della Washington State University mirava a testare quest'ultimo dato. Il team di ricerca ha reclutato 94 infermieri che lavorano in turni consecutivi di 12 ore per esaminare l'effetto cumulativo dei cambiamenti relativi al lavoro a turni sull'attenzione sostenuta, sull'efficacia cognitiva e sulla sonnolenza soggettiva. I partecipanti sono stati valutati in due situazioni di assistenza simulata di 20 minuti da altri infermieri formati per valutare le prestazioni. Gli infermieri che lavoravano su turni diurni e notturni sono stati randomizzati tra condizioni di affaticamento e riposo, definite rispettivamente come tre turni consecutivi di 12 ore o tre giorni consecutivi di riposo.
I risultati, che sono stati pubblicati nell'International Journal of Nursing Studies del novembre 2021, hanno mostrato che gli infermieri diurni e notturni si sono comportati bene nelle attività di simulazione clinica indipendentemente dall'affaticamento, ma sono state riscontrate piccole differenze nelle capacità di comunicazione, con gli infermieri notturni con capacità leggermente peggiori rispetto alle infermiere diurne . I cambiamenti nella sonnolenza non hanno influenzato in modo significativo le prestazioni. Gli autori hanno notato, tuttavia, che i partecipanti, in particolare gli infermieri notturni, erano più lenti, avevano più cali di attenzione e si sentivano più assonnati, il che potrebbe tradursi in errori di cura del paziente che le simulazioni non sono state in grado di catturare. Hanno anche notato grandi differenze individuali nell'efficacia cognitiva, che potrebbero informare la ricerca futura sugli interventi organizzativi per mitigare il rischio per i pazienti.