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Ricordando Giovanni Falcone... e il culto della legalità!

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 23/05/2015 vai ai commenti

NurSind dal territorio

a cura di Chiara D'Angelo

 

Il NurSind ricorda oggi Giovanni Falcone per commemorare tutte le vittime di mafia 

 

Giovanni Falcone nacque a Palermo il 18 maggio del 1939, dopo aver frequentato il Liceo classico "Umberto" fece una breve eperienza presso l'Accademia navale di Livorno. Decise poi di tornare nella città Natale per iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza e conseguì la laurea nel 1961.

Sempre più appassionato di diritto penale, nella seconda metà degli anni ‘70 ritornò a Palermo su richiesta di Rocco Chinnici e iniziò  a collaborare con Paolo Borsellino ad indagini antimafia che coinvolgevano anche criminali negli Stati Uniti. Alle prese con questo caso, Falcone comprense che per indagare con successo le associazioni mafiose era necessario basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie, che occorreva cioè ricostruire il percorso del denaro che accompagnava i traffici per avere un quadro complessivo del fenomeno.

La Sicilia degli anni '80 vedeva al potere il clan dei Corleonesi; anni di sangue che videro anche l’assasinio, tra i tanti magistrati ed esponenti della legge, di Carlo Alberto Dalla Chiesa e poi di Rocco Chinnici. Quest'ultimo venne sostituito da Antonino Caponnetto, che al suo arrivo creò il "pool" composto da FalconeBorsellinoDi LelloGuarnotta Ayala per occuparsi e per istruire al meglio i processi di mafia. Questa nuova concezione d’indagine e l’arresto di Tommaso Buscetta, che iniziò a collaborare con i magistrati, portarono al primo grande processo contro la mafia: il Maxiprocesso. Don Masino (così era chiamato Buscetta) fornì ai magistrati informazioni utili a delineare un quadro strutturale del crimine organizzato, oltre che delle modalità di gestione dei maggiori traffici illeciti.

Grazie alle indagini del pool, nel 1987 si ebbero 360 condanne per un totale di oltre 2600 anni di carcere; Cosa Nostra ne fu duramente colpita.

 

La battaglia contro la mafia sembrava definitivamente vinta e la vittoria portava le firme dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Nel gennaio 1985 il Consiglio Superiore della Magistratura, nella votazione fra Falcone Antonino Meli, basandosi sull'anzianità di servizio nominò il secondo a capo dell'Ufficio istruzione di Palermo al posto di Caponnetto, che aveva lasciato l'incarico per raggiunti limiti di età. Da questo momento in poi Falcone e il suo pool furono costretti a fronteggiare un numero sempre crescente di ostacoli alla loro attività e persino la Cassazione sconfessò l'unitarietà delle indagini in fatto di mafia affermata da Falcone e dall'esperienza del suo pool. Risale a questo periodo anche la vicenda del "corvo", una serie di lettere anonime diffamanti il pool antimafia e i suoi membri. Nell'autunno 1986 Meli sciolse ufficialmente il pool. Qualche tempo dopo Claudio Martelli, allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad interim, offrì a Falcone la dirigenza della sezione Affari Penali del Ministero.

In quel periodo,  dal 1991 alla morte del magistrato (1992), Falcone fu molto attivo, cercando in ogni modo di rendere più efficace ed incisiva l'azione della magistratura contro il crimine. Al Ministero Martelli e Falcone lavorarono al progetto della Superprocura antimafia.

Giovanni Falcone ha condiviso, com'è risaputo, la sua battaglia con un altro magistrato, Paolo Borsellino, suo amico fin dall'infanzia, quando giocavano a pallone nei quartieri popolari di Palermo, dove molti dei loro compagni di gioco sarebbero diventati, crescendo, dei mafiosi. Anche per questo, Falcone e Borsellino erano in grado di capire meglio la mentalità mafiosa e scardinarla alla base.

 

Il 23 maggio 1992, alle 17 e 56, Cosa Nostra mise in opera un attentato terroristico-mafioso senza precedenti, passato tristemente alla storia come "La strage di Capaci", in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della sua scorta Vito Schifani (27 anni), Rocco Dicillo (30 anni), Antonio Montinaro (30 anni). Quel pomeriggio un tratto dell'autostrada fra Palermo e l'aeroporto di Punta Raisi saltò in aria investendo il corteo di macchine che scortava Giovanni Falcone: un bieco attentato che tolse la vita a cinque persone mentre compivano il proprio dovere.

Quello che ufficialmente sappiamo oggi di quel tragico giorno è che il boss di Cosa Nostra Totò Riina incaricò Giovanni Brusca di premere un detonatore collegato a cinquecento chili di tritolo, una quantità di esplosivo tale da creare una voragine sull’autostrada.

 

Dopo meno di due mesi il 19 luglio, ancora a Palermo, un altro attentato massacrò un Grande amico e collega di Falcone, il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Le due stragi del 1992 segnarono il punto più alto del conflitto tra mafia e Stato. Un martirio che ha ferito profondamente le Istituzioni e la coscienza collettiva.

 

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati un simbolo come magistrati e anche come uomini! Magistrati e Uomini che nella lotta alla Mafia, nonostante tutto, hanno avuto il coraggio di seguire i propri principi, fino in fondo.

"La fine di Giovanni Falcone potrebbe essere letta come una sconfitta dei Giusti e dello Stato, come la fine di una speranza, ma in realtà la sua morte ha rappresentato l’inizio di una vera rinascita della società civile, che ha spinto le istituzioni statali a sferrare nei confronti della mafia un attacco tale da ridurre quasi al tappeto Cosa nostra. Tutti i più grandi latitanti, tranne Matteo Messina Denaro, sono in prigione e l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine non conosce soste. È importante, però, che l’azione non si fermi. Qualsiasi indecisione o allentamento della tensione giova a Cosa nostra. Per questo è fondamentale l’impegno delle istituzioni e, soprattutto, la vigilanza della società civile. Spetta a tutti noi, ai giovani, che saranno i  protagonisti del domani, mantenere alto l’esempio lasciato da Giovanni Falcone e fare propria la lezione di legalità, di professionalità e di amore per lo Stato che il magistrato ci ha lasciato". (da Fondazione Giovanni Falcone e Francesca Mordillo).

 

Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l'essenza della dignità umana!

(Giovanni Falcone)