Toscana: piccole grandi eccellenze che scompaiono...
Lettera aperta al Presidente Rossi e all'Assessore alla salute Saccardi.
Tiziana, questo è il mio nome. Il nome di una persona che, come tante altre, un giorno, si trova a fare i conti con il proprio cuore, non per motivi sentimentali, ma perché quel precisissimo motore che è in noi, ha deciso di fare i capricci.
Passata la fase critica, la paura di morire, quella vera, ci si interroga sul futuro, si comincia a prendere seriamente in considerazione il fatto che non è possibile far finta di niente e si inizia a valutare le varie possibilità in cerca di quella che al momento ti sembra la migliore.
Fortunatamente, fino ad oggi, la nostra regione ne offriva molte di opportunità, e questo metteva il paziente nella posizione di scegliere serenamente e con consapevolezza, il proprio “medico di fiducia”. Fiducia a volte dettata da “un nome” o da una semplice “questione di pelle”, come nel mio caso: Villa Maria Beatrice, quella “piccola clinica” (come è stata definita da qualcuno che da anni lavora per la sua chiusura!) in una altrettanto piccola strada di quella meravigliosa città che è Firenze, clinica che esternamente ha più l’aria di un Hotel che di un ospedale ma che appena apre le sue porte ti fa improvvisamente capire che la Buona Sanità esiste ed è lì.
Pensi subito che il tuo cardiologo ti ha ben consigliato: gentilezza “inverosimile” dello staff di accoglienza e nessuna attesa estenuante per la visita con il Dott. Popoff, che prima ancora di essere un cardiochirurgo di fama internazionale, è una persona squisita e di una disponibilità con la quale oggi, purtroppo, non siamo più abituati a confrontarci.
Intervento programmato, urgente ma non urgentissimo, attesa prevista di circa un mese, quel tanto che basta a preparare tutto, compreso la mia mente e i miei figli. E un mese non passa tanto velocemente quando aspetti un intervento che dovrà salvarti la vita, quando sai che dovrai varcare quella sottilissima linea di demarcazione che passa tra esserci ancora e non esserci più. Ma la paura quasi scompare quando arrivi di nuovo in quella “piccola clinica”: non sei un numero, un intervento, un organo, come spesso accade, ma sei “la Tiziana”, con l’articolo, come usiamo dire noi toscani. L’efficienza delle procedure dell’accettazione e della preparazione all’intervento, ti lasciano senza parole e allora nel giro di poche ore capisci davvero che sei nel posto giusto, sai che loro prenderanno tra le mani il tuo cuore ma senti che lo faranno con tutta la competenza e la professionalità di cui sono capaci e, vi garantisco anche da infermiera, che è veramente tanta.
E quella professionalità e quella umanità, (e per quest’ultima ci vorrebbe un articolo a parte) le respiri in ogni luogo di quella “piccola clinica”.
Ora mi chiedo, proprio in questi giorni che hanno visto un famoso cardiochirurgo alla ribalta delle cronache per la “mala sanità”, quali sono i criteri che hanno portato i vari amministratori a decidere per la chiusura di Villa Maria Beatrice? Forse perché l’eccellenza obbliga gli altri ad adeguarsi? E leggendo oggi il giornale qualcuno ne avrebbe avute di cose da imparare da quella “piccola clinica”!
Io sono una cittadina toscana e come tale, contribuendo anche ai vostri stipendi, credo di aver diritto ad essere ascoltata e ad avere delle risposte. Magari non comprenderò proprio tutto, o forse sì, lavorando in sanità sarò senza dubbio avvantaggiata, ma spero che nel cercare di farmi capire, forse, troverete spunti per tornare sulle vostre decisioni, quantomeno discutibili.
Un’idea tra mille: utilizziamo quella “piccola eccellente clinica” anche per alleggerire le liste di attesa di altre strutture, evitando che cittadini di questa regione, fino a poco tempo fa portata come esempio nella sanità italiana, debbano morire mentre aspettano un intervento per più di otto mesi.
Tiziana Deri