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Corte dei Conti. Danno da stravaso di chemioterapico. Assolti infermiera e medico specializzando. Non c’è colpa grave

Elsa Frogionidi
Elsa Frogioni
Pubblicato il: 31/08/2016

Leggi e sentenze

La Corte dei Conti, organo giurisdizionale della Regione Umbria, con sentenza n. 53/2016,  assolve  dalla richiesta di risarcimento da parte dell’azienda sanitaria di Terni, l’infermiera e il medico specializzando, chiamati in causa per il ristoro di un danno occorso ad una paziente per stravaso di chemioterapico parenterale. Le prove addotte dall’infermiera e il medico specializzando escludono la colpa grave, presupposto all’esistenza del danno erariale subito dall’ente pubblico.

Il caso

Il giorno 15/03/2012, una paziente in cura presso l’ambulatorio oncoematologico dell’Ospedale di Terni, con la prescrizione di un ciclo di chemioterapia parenterale endovenosa con Myocet, durante l’infusione subiva uno stravaso, con spandimento ed infiltrazione del tessuto perivascolare… “Da tale evento [è derivata] una tromboflebite e pannicolite del braccio ed avambraccio dx., complicata da sovrainfezione da S. hominis, evoluta […] in senso cicatriziale con riduzione di flusso del territorio irrorato dall’arteria radiale dx. in parte compensato dall’arteria ulnare e segni di sofferenza tronculare […] dei nervi mediani ed ulnare di dx, a partire dal terzo superiore dell’avambraccio”.

La paziente inoltrò una richiesta risarcitoria per euro 200.000 all’Azienda Sanitaria, che compensò infine  con il pagamento di euro 125.000.

Iter giudicante alla Corte dei Conti

Sull’Azienda Sanitaria,  grava Il danno erariale (L. 20/1994 Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti ), subito a causa dell’azione o dell’omissione dei sanitari che si occuparono della paziente, l’infermiera e il medico specializzando. La Procura Regionale dell’Umbria, istituisce quindi una causa con richiesta di  risarcimento delle somme versate, direttamente ripartite in parti uguali alle due dipendenti chiamate in causa, giacché ritenute responsabili delle lesioni patite dalla paziente …“mancato controllo della paziente [medesima] nel corso del trattamento e della inappropriata somministrazione della terapia, aggravatasi nei giorni successivi, che ha favorito l’estensione delle lesioni”.

Nello specifico, la Procura contestava  la colpa grave per entrambe le ascritte convenute. All’infermiera di “aver posizionato l’agocannula con estrema superficialità e di essersi poi allontanati, dedicandosi ad altri adempimenti.” L’infermiera avrebbe lasciato sola la paziente durante l’infusione  ed è stata allertata dell’avvenuto stravaso, dalla nuora della paziente. Inoltre l’infermiera non si sarebbe adoperata per riparare il danno subito. Il medico specializzando, al quale era stata affidata la paziente, non avrebbe visitato la paziente stessa “prima e durante l’infusione” e non si sarebbe recato a soccorrerla “quando, alle 13,30, le infermiere hanno chiesto l’ausilio del personale medico, non avendo ancora terminato il turno”, che scadeva alle ore 14,00. Il medico specializzando non si è mostrato sollecito nella successiva dovuta sorveglianza del quadro clinico e complicanze . 

La difesa del medico specializzando

Non possono rilevarsi profili di colpa per il medico specializzando  che non ha alcun rapporto di lavoro con l’amministrazione danneggiata. Lo specializzando non ha la competenza funzionale ad intervenire che è propria dei medici strutturati. La responsabilità della prescrizione e dell’esito delle terapie è del medico strutturato, mentre l’erogazione delle terapie è di competenza del personale infermieristico. Gli avvocati del medico chiedono la reiezione della richiesta risarcitoria.

La difesa dell’infermiera

Il giorno 15/03/2012 nell’ambulatorio erano presenti 2 infermieri e hanno  assistito ben 49 pazienti; data la carenza di organico, la sorveglianza della paziente fu realizzata con modalità periodica. Inoltre i medici non hanno considerato la proposta delle infermiere di eseguire una differente tecnica di somministrazione, ritenuta meno rischiosa per le condizioni del patrimonio venoso della paziente. L’infermiera ha quindi posizionato l’agocannula senza nessuna superficialità, nel fattivo rispetto del protocollo aziendale vigente. Il monitoraggio è stato continuo e la scoperta dello stravaso autonoma, senza l’ausilio della nuora, che peraltro non poteva entrare nella stanza delle terapie come da regolamenti interni.  La pompa infusionale era difettosa e non ha dato i segnali di allarme per la fuoriuscita del farmaco, che avrebbero consentito un intervento più immediato. L’errata manutenzione della stessa, non è attribuibile all’infermiera.

Il danno subito dalla paziente ha  concause addizionali, correlabili ai trattamenti medici successivi allo stravaso. Gli avvocati respingono l’addebito di responsabilità per colpa grave dell’infermiera ed insistono per la chiamata in garanzia della propria società assicuratrice. 

Conclusione

La sussistenza del danno erariale è in osservanza degli elementi soggettivi di responsabilità del professionista sanitario dipendente di un ente pubblico. La responsabilità amministrativa ha natura contrattuale con l’esistenza di un rapporto di servizio tra l'autore del danno e l'ente danneggiato, nonché la violazione di doveri inerenti a detto rapporto. Tale responsabilità, a sua volta, costituisce presupposto della giurisdizione della Corte dei Conti  che valuterà la conoscibilità ed evitabilità dell’evento, nel limite della colpa grave. Una colpa grave, imputabile a titolo di dolo ed identificata dall’art.43 del Codice Penale, nella negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Nella circostanza esposta, l’infermiera ha presentato delle prove circostanziali che nell’eziologia del danno, non vi è stata “intensa negligenza”, ne “sprezzante trascuratezza dei propri doveri”, nell’ “atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni”, nella “macroscopica violazione delle norme”, nel “comportamento che denoti dispregio delle comuni regole di prudenza”(M. SCIASCIA, cit. e C. Conti, SS.RR., 10 giugno 1997 n.56/A.). La colpa grave non è stata identificata nei comportamenti della professionista, la richiesta di risarcimento cassata.

 

Fonte

www.sanita24.ilsole24ore.com