La contenzione fisica non è un atto terapeutico. L'infermiere può rifiutarsi di applicarla?
Lo scorso giugno la Cassazione ha sancito un principio importantissimo: “la contenzione è una pratica assistenziale-prescrittiva, pur non terapeutica, che richiede la valutazione del paziente, l'eventuale attuazione di azioni alternative, una valutazione prognostica su possibili esiti del trattamento, la sua rivalutazione”.
L’ha fatto alla fine di una lunga vicenda, transitata in 9 anni dal tribunale di Vallo della Lucania alla Corte d’Appello di Salerno e, infine, in Cassazione. Sto parlando del caso “Mastrogiovanni”, il maestro elementare morto in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, dopo 82 ore di contenzione, nell’ospedale di Vallo della Lucania il 4 agosto 2009.
La contenzione, quindi, non è un atto terapeutico. Poche parole per stravolgere un impianto radicato nella testa di molti operatori sanitari e, poiché così tenacemente fissato nelle supponenze scientifiche di molti, difficilissimo da estirpare.
Ma questo è già un buon punto da cui partire, un punto sul quale molte Aziende Sanitarie dovranno riflettere ed elaborare (o rielaborare) nuove procedure sulle contenzioni meccaniche.
Nella sentenza, la Cassazione ha sottolineato alcuni concetti fondamentali riguardo la liceità della contenzione, ovvero che può essere attuata solo se sussistono elementi contenuti nell’articolo 54 del Codice Penale, e cioè solo se vi è la compresenza di:
a) pericolo attuale di un danno grave alla persona;
b) inevitabilità del pericolo stesso;
c) proporzionalità del fatto.
In questi casi (e solo in questi casi) è lecito che il medico “prescriva” la contenzione meccanica, in particolare poiché è l’unico professionista che, avendo a disposizione una delle “ultime ratio” per sedare il paziente, ovvero la terapia farmacologica, solo lui può dire se non vi sono in quel dato momento farmaci o azioni terapeutiche atte ad evitare la contenzione meccanica (vedasi, in particolare, il punto b) “inevitabilità del pericolo stesso”).
Tuttavia, l’infermiere, in quanto anch’esso titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, può rifiutare (anzi, deve!) qualora ravvisi un abuso nei confronti dello stesso da parte della “prescrizione” medica.
Difatti, se non sussiste l’attualità del pericolo (quante contenzioni preventive abbiamo visto?) e/o la proporzionalità della misura, in riferimento al fatto, noi non dobbiamo contenere.
E infine, seppur ci fossero tutti gli elementi che giustificano una contenzione meccanica, questi elementi vanno rivalutati frequentemente, in modo da offrire al paziente un’opportunità di libertà nei movimenti quanto prima.
Questo articolo è volutamente breve, poiché vuol rappresentare un invito alla riflessione e non certo un esaustivo trattato sulla contenzione meccanica.
Con l’augurio che nessuno più la chiami “terapia meccanica” o “contenzione terapeutica”.